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15/08/2011 15:07 CEST - IL RACCONTO

I was a tennis slave...Lew Hoad

TENNIS - Il gemello diverso di Ken Rosewall. Forse non in odor di GOAT, ma comunque un grandissimo del tennis. Fu numero uno tra gli amatori nel 1956, anno nel quale sfiorò per un soffio il Grande Slam. Dal 1958 fu uno dei professionisti più pagati e applauditi, ma si ritirò per problemi alla schiena pochi anni dopo per lasciarci prematuramente nel 1994. Enos Mantoani

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Premetto subito: fino a qualche mese fa non conoscevo affatto Lew Hoad. Certo, sentito nominare, ma mai avevo ritenuto degno di attenzione la storia di questo tennista australiano. Ahimè, come mi sbagliavo! Un mese fa, preparando l’articoletto su Rosewall era giocoforza imbattersi in Lew Hoad. Mi son perciò ripromesso di fare qualche piccola ricerca sul gemello di Rosewall, appassionandomi a questa figura.

L’impressione è che Hoad sia sottovalutato. Certo, la sua parabola è stata repentina, ma tanto rapida quanto fulgida. Da quello che ho letto emerge inoltre un carattere forte e una personalità estremamente interessante. Forse dai più è ricordato solo come il “gemello” di Rosewall. Io credo che non meriti di vivere nei ricordi di luce riflessa, ma che abbia una sfera importante nella storia del tennis come la ebbe da giocatore sul campo. Tanto sono ricordati assieme quanto diversa è stata la loro parabola sia professionale che umana. Sia nel fisico che nel tennis erano agli antipodi e insieme furono imbattibili per diversi anni. Coetanei, mentre uno, Rosewall, era minuto, agile, maestro di tattica e precisione, l’altro, Hoad, era irruento, potente, imprevedibile. Il primo ebbe una carriera lunghissima e regolare, praticamente senza infortuni; il secondo una carriera breve, costellata da infortuni, il più grave dei quali, alla schiena, lo costrinse al ritiro quando ancora non aveva trent’anni.

Lewis Alan "Lew" Hoad (23 November 1934; Glebe, Australia - 3 Luglio 1994 Fuengirola, Spagna) nacque tre settimane prima di Rosewall nei dintorni di Sydney da una famiglia di operai. Come sottolineava acutamente anche lo stesso Hoad nel suo libro My Game: “mentre in America il tennis è riservato ai giovani figli di ricchi, in Australia ogni figlio di operaio poteva iscriversi ad un club; i figli degli operai in America giocano invece a baseball”. Rosewall e Hoad crebbero dunque insieme nelle scuole di tennis sviluppando amicizia e rivalità assieme. All’inizio Lew perdeva sempre dal regolare e attendista Ken; poi però, sviluppata la sua forza, vinse più spesso l’amico-rivale. Infatti Hoad sviluppò una notevole forza fisica, e spinto dall’istinto tirava vincenti da ogni angolo del campo. Non c’era attendismo o tattica nel suo gioco. Non aveva colpi deboli nel suo repertorio. Certo, come anche per Vines e per questo tipo di giocatori (Safin?) la questione era un’altra: o erano in palla dal punto di vista fisico e psichico, oppure c’era il rischio di vederli uscire subito dai tornei… Quando erano in palla però, che spettacolo… C’è da dire che alle volte Hoad appariva svogliato sia in campo che negli allenamenti…

Sia come sia, Hoad fu una vera icona del tennis degli anni ’50, prima da amatore e poi, com’era consuetudine, da professionista alla corte di Kramer, il quale di lui dice che era amato da tutti e che aveva un gioco brillante: nei giorni giusti era il migliore di tutti; mancava dunque di continuità sia all’interno delle partite, sia nella stagione. Hoad fu membro della nazionale australiana tra il 1952 e il 1956 vincendo la Davis Cup ben quattro volte. Spesso è ricordato per l’epica partita di finale contro lo statunitense Tony Trabert del 1953 dal punteggio di 13–11, 6–3, 3–6, 2–6, 7–5; Lew aveva 19 anni. Il 1956 fu l’anno d’oro per Hoad: vinse tre quarti del Grand Slam perdendo in finale da Ken Roswell, il quale doveva dimostrare la sua bravura per strappare un buon contratto a Kramer. Lew avrebbe raggiunto l’amico l’anno successivo dopo che lo stesso Kramer ebbe ad offrire il miglior contratto fino a quel momento per avere il biondo australiano con sé, il quale ormai non aveva più rivali tra gli amatori. Chiuse la sua carriera con 4 titoli dello Slam all’attivo (due Wimbledon, nessun US Championships); vinse anche una volta il singolare a Roma (1956, facendo scrivere a Gianni Clerici che Hoad scagliava fulmini dalla sua racchetta e che solo gli déi potevano competere con lui) e per due volte il doppio (’56 e ’57 con Drobny e poi con Fraser, battendo sempre abbastanza nettamente i nostri Pietrangeli e Sirola).

Sull’esperienza amatoriale in un articolo del 1957 ebbe a dire “I was a tennis slave… Ero uno schiavo del tennis, perché il contratto con la federazione mi rendeva proprietà della federazione stessa. Se dopo Wimbledon chiedevo un periodo di riposo, mi dicevano di no perché c’erano accordi per giocare di qua e di là…”. Ahilui non penso che gli anni da professionista gli portarono maggiore libertà. Sicuramente gli portarono lauti guadagni e sfide epiche con Rosewall, ma anche e soprattutto con Gonzales che lo temeva e lo rispettava moltissimo. Gonzales fu il re incontrastato di quegli anni da pro, eppure diceva: “Hoad è l’unico a potermi battere anche quando sono al massimo della forma”. Gonzales, sottolineando come il tennis fosse lo sport più duro di tutti all’epoca, diceva che “si gioca ogni notte senza possibilità di essere sostiutiti” e racconta di come Hoad finì una partita addirittura dopo aver sbattuto contro un muro e aver perso conoscenza.

Dev’essere stata una stagione memorabile per il tennis professionistico americano, basti immaginare che Rod Laver, dopo il Grande Slam del 1962, perse 19 incontri su 21 contro Rosewall e Hoad nella sua prima stagione da pro. Poco prima della metà degli anni ’60, Hoad si ritirò definitivamente dal tennis giocato per problemi alla schiena; chiudiamo la parentesi della sua carriera con le parole di Gonzales, rilasciate nel 1995 al New York Times: “Penso che il suo tennis fosse il migliore di sempre, anche del mio. Aveva più colpi di tutti, le sue volée erano ottime, il suo smash letale. Aveva una mente nata per il tennis e il suo corpo era il più adatto per questo gioco.”


Più di queste parole e dei suoi successi, mi hanno colpito le vicende della sua vita privata. Nel 1955, in pieno Wimbledon, a 21 anni, sposò in gran segreto Jennifer Staley, una brava tennista australiana che sarà la compagna della sua vita; fu un matrimonio contro il parere di tutti, per la gioia della stampa rosa britannica e per la felicità della coppia. Nel 1968 si trasferì con la famiglia (la coppia ebbe tre figli) a Fuengirola, vicino Málaga, dove con la moglie mise in piedi un tennis resort (forse il primo di sempre?) e dove per più di trent’anni riceveva amici e personaggi famosi come Sean Connery, Kirk Douglas e Charlton Heston. In questo periodo non amò molto avere incarichi, anche solo di rappresentanza, nel mondo del tennis. Preferì avere questa vita: giocare a tennis, al caldo spagnolo, con le persone che amava (come dargli torto…)!

Sciaguratamente, si ammalò di leucemia e morì nel 1994 all’età di quasi sessant’anni. Il giorno prima Pete Sampras vinceva Goran Ivanisevic e la finale di Wimbledon. Durante quello stesso torneo, Ken Rosewall, ancora in ottima forma fisica, lui che era sempre considerato il più gracilino dei due, si era esibito sul Central Court nel doppio over 45. Trentotto anni prima, su quello stesso campo, la coppia dei Gemelli Stregoni, Hoad e Rosewall, vinceva per l’ultima volta il titolo più prestigioso.

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