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16/08/2011 02:33 CEST - L'EMERGENTE

Ecco Bellotti, italiano d'Austria

TENNIS - Classe 1991, nato a Vienna, Riccardo Bellotti si è aggiudicato ad Innsbruck il suo primo torneo in carriera. Attualmente è numero 716 ATP, ma lunedì prossimo scalerà parecchie posizioni. "E' vero che sono nato in Austria e sono seguito da due coach austriaci, ma mi sento italiano. Pensare che Gilbert Schaller mi negò una wild card proprio perchè sono italiano!" Antonio Burruni

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«E’ stata una settimana bellissima, ho giocato bene, mi sentivo carico!! Già nelle settimane scorse ho giocato bene e speravo di vincere al più presto un Future... Quando ho battuto per la seconda volta la testa di serie numero 2 (il ceco Michal Konceny, battuto nella semifinale di Inssbruck 6-1 7-5, dopo averlo superato già a fine luglio, con un periodico 6-3, al primo turno del Future austriaco di Bad Waltersdorf, ndr), ho capito che la finale sarebbe stata mia. Poi ho visto giocare Flock ed ho solo pensato di giocare bene. Alla fine mi sono regalato una grande soddisfazione e l’ho regalata anche alla mia famiglia ed ai miei allenatori. Spero di continuare adesso ad andare avanti così, perche ho visto che me la gioco con tutti». A raccontare la sua settimana speciale è il ventenne azzurro Riccardo Bellotti, che ha appena conquistato il suo primo torneo internazionale, vincendo il Future di Innsbruck (Austria, 10mila, terra battuta).

C’è una persona a cui vuoi dedicare la tua prima vittoria?
«Si, ad Andrea Stucchi».

Eravate amici?
«Si, eravamo molto vicini».

A che età e perché hai cominciato a giocare a tennis?
«Ho cominciato a sei anni, per caso. Mia nonna mi ha mandato al tennis club, perchè correvo tanto»

Quali sono il tuo colpo e la tua superficie preferita?
«Sicuramente il diritto. Mentre non ho una superficie preferita, mi vanno bene sia veloce sia terra».

Rispetto all’anno scorso, in cosa sei migliorato?
«All’inizio mi sono allenato tanto e poi ho iniziato a giocare bene tante partite, anche nelle qualificazioni, che mi hanno aiutato molto. Ora so gestire meglio il gioco, ho più esperienza. Ho giocato contro giocatori forti ed ho visto come affrontarli. Sono molto più calmo nella partita, più tranquillo».

Qual è il tuo obbiettivo per fine anno?
«Mi soddisferebbe giocare bene, poi, se sono 400 o 500 quello non è importante per me. Voglio giocare bene e magari vincere ancora un future in Austria. Il prossimo anno voglio giocare tornei più grandi, questo mi darebbe la soddisfazione più grande».

Quali sono i tuoi programmi ora?
«Lunedì parto per Wels e martedì gioco. Poi ci sono altri due tornei in Austria ed a settembre penso di tornare in Italia».

Sei nato a Vienna e ti alleni in Austria. Alcuni appassionati ti considerano più austriaco che italiano. Cosa gli vuoi dire?
«Dico che è vero che i miei coach sono austriaci, Wolfgang Thiem e Günther Bresnik, che è vero che vivo a Vienna, ma sono italiano. So che tanti dicono che sono austriaco o metà italiano, ma io sono nato con il passaporto italiano, mi sento italiano ed allora voglio essere considerato come italiano». (sorride)

Sei stato un ottimo juniores quando giocavi con l’Austria (Top 100 nel 2009), che rapporti hai con le due federazioni?
«Con l’austriaca non bene e con la federazione italiana non ho mai avuto un contatto. Due anni fa, quando giocavo per l’Austria, dovevo prendere una wild card per un torneo. Poi, due giorni prima del torneo e venuto il mio allenatore e mi ha detto che Schaller (ai tempi capitano di Coppa Davis austriaca) la wild card non me la dava più. Il motivo? Perche ha detto che io ero italiano, e da li sono cominciati i problemi con la federazione austriaca. In questi due anni, in Italia mi hanno dato solo due wild card, una nel tabellone principale di Cividino ed una per le quali a Foggia, sempre perché le ho chieste io. Effettivamente, quando ho deciso di giocare per l’Italia, ho pensato che forse un piccolo aiuto dalla federazione italiana sarebbe arrivato…».

Ed invece non è arrivato...
«No».

Ti hanno parlato, ti hanno promesso qualcosa?
«No, non mi hanno proprio contattato, ne niente...».

Antonio Burruni

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