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21/08/2011 13:04 CEST - Verso gli Us Open

Us Open 1981: la guerra dei mondi

TENNIS - Trent'anni fa, a Flushing Meadows, il tennis entra nell'era moderna. Sulla scena approda Lendl, che inventa per sé un nuovo ruolo, l'attaccante da fondo. L'ottavo con Gerulaitis è il confronto di generazioni. Quell'anno vincerà l'americano, e in finale andranno Borg e McEnroe: sarà l'ultima tra due giocatori che usano le racchette di legno. In più, nasce il Super Saturday. Alessandro Mastroluca

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Dove sta andando lo sport? Da una parte, un mese fa, la qualificazione del “Blade Runner” Oscar Pistorius per le Olimpiadi ha scatenato le paure degli apocalittici, convinti che le Cheetah costituiscano un vantaggio e che la bionica non debba entrare nella competizione. Dall’altro, a pochi giorni di distanza, la risposta dell’uomo sulla tecnologia è arrivata dall’acqua clorata dei Mondiali di Nuoto di Shanghai. Nell’ultima giornata Sun ha battuto il leggendario record del mondo di Grant Hackett nei 1500 metri stile libero che resisteva da dieci anni, l’unico che i costumoni in poliuretano, banditi dalla FIN proprio per l’eccessivo vantaggio che garantivano nel ridurre l’attrito con l’acqua, non erano riusciti a scalfire.

Due grandi prestazioni, che hanno l’indubbio pregio di porre al mondo dello sport domande sul futuro, sul senso e sulla direzione del progresso. Domande cui non scampa certamente il tennis, tra standardizzazione del gioco, racchette over-size e potere dei muscoli sulla creatività, per non parlare dell’omologazione delle superfici.

Interrogativi sulla modernità, o sulla post-modernità, che sono iniziati esattamente trent’anni fa, nel teatro forse più adatto, Flushing Meadows, costruito apposta per massimizzare le potenzialità del professionismo. E allora riavvolgiamo il nastro della memoria e torniamo all’estate del 1981: l’anno in cui il mondo del tennis è cambiato per sempre.

Il primo segno del passaggio del Rubicone ha un volto e un nome precisi: Ivan Lendl, il primo top-player che arriva a giocare a Flushing Meadows senza aver vissuto la stagione di Forest Hills. Il ceco arriverà ad amare il torneo e gli Usa a tal punto da chiedere il passaporto statunitense, ma questa è un’altra storia. Lendl è maniacale nella preparazione. Vuole che i campi su cui si allena siano preparati dagli stessi addetti che curano la superficie al National Tennis Center, e vuole che lo facciano il giorno dopo, altrimenti potrebbero dimenticare la quantità di sabbia usata.

È il primo a usare le racchette midsize, prodotte prima dall’austriaca Kneissl e poi dall’Adidas. Il suo gioco è il paradigma del tennis moderno, il ponte tra McEnroe e Borg: l’attaccante da fondo. È con lui che nasce il killer forehand, è con lui che la preparazione atletica, l’attenzione alla nutrizione diventano parte integrante di una vita da professionista. La sua è una vita di disciplina, che ha imparato da sua madre che gli diceva sempre: “Devi fare qualcosa di straordinario per andare via da qui”, dal regime comunista.

Il quarto turno contro Gerulaitis è la sfida delle generazioni, è il passato delle racchette di legno e del serve and volley, contro il futuro. Per l’ultima volta, l’arte riuscì a imporsi. Gerulaitis, il tennista “tutta Vitas”, amico di Andy Warhol, sempre presente allo Studio 54, che riusciva a combinare nightlife, cocaina e volée, vince i primi due set: 6-3 6-4. Mentre Lendl si chiede dove sia finita la sua solidità, Gerulaitis fa l’unica cosa che non deve fare: comincia a giocare da fondo nel terzo. Il ceco ritrova il controllo e con un doppio 6-3 spinge il match al quinto.

Un doppio fallo, sul 3-3, porta Lendl 0-40; sulla seconda palla break, manda un rovescio largo. Gerulaitis si trova così a servire per il match sul 5-4. va 0-40, salva tre palle break e vince 6-4. La seconda palla break è particolarmente eloquente: Gerulaitis serve e scende, Lendl prova il passante di dritto, ma Gerulaitis ci arriva e chiude con la volée. Quattro mesi dopo i due si ritroveranno al Madison Square Garden, per il Masters: Gerulaitis, in un altro momento chiave, tornerà a battere e scendere, Lendl di nuovo proverà il passante di dritto sul dritto dell’americano. Ma stavolta non ci sarà la volée, e non ci sarà nemmeno la vittoria per Vitas. Gerulaitis, dopo il successo, uno dei più importanti della sua carriera, viene multato perché non si è presentato alla conferenza stampa. Scappa nella sua Rolls Royce gialla perché, dice, “devo andare a fare la spesa”.

In finale, in quel 1981, andranno Borg e McEnroe. Sarà il requiem per l’Assassino di Ghiaccio, sarà l’ultima finale degli Us Open tra due giocatori che usano le racchette di legno, l’ultima senza Lendl negli anni Ottanta a Flushing Meadows.

Ancora più eloquente la semifinale di doppio: è la battaglia delle ere, è il grido d’orgoglio del dilettantismo contro il tennis come lavoro. Stolle e Newcombe (80 anni in due, che quando non giocavano i match di doppio commentavano gli incontri per la CBS) contro Fleming e McEnroe. I due sono amici, ma il rapporto si incrinerà quando Fleming inizia a soffrire la popolarità e la genialità del compagno. È lui a coniare uno dei giudizi più illuminanti sulla disciplina del doppio: “Qual è la migliore coppia al mondo?” si chiede in risposta a un giornalista. “Semplice: McEnroe con chiunque altro”. Eppure McEnroe con Peter Fleming, che non è esattamente uno qualunque, sono spinti fino al quinto set dai reduci dell’era pre-1968. Vincono, ma in fondo perdono. Perché il pubblico parteggia per gli altri, che escono sorridenti accompagnati dall’ovazione dei tifosi. Mentre per i giovani quell’orgoglio appare una lesa maestà: come possono non capire che il mondo è cambiato, si chiedono, come possono non capire che adesso il tennis è un lavoro. “Anche nella vittoria” commenterà Thomas Boswell sul Washington Post, “gli uomini possono essere umiliati”.

Dopo due giorni, il 12 settembre 1981, 18,892 spettatori riempiono il Louis Armstrong, il numero più alto mai registrato sul Centrale di Flushing Meadows. Ma quello non è un giorno qualunque. È un sabato speciale, un sabato americano. Impareremo a chiamarlo il “Super Saturday”, dal 1984, con la finale femminile incastonata tra le semifinali maschili. È stato pensato per la CBS. Perché modernità vuol dire anche sacrificare le esigenze dello sport in nome del denaro e della televisione.

Il resto, come si dice in questi casi, è storia nota.

Alessandro Mastroluca

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