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24/08/2011 13:04 CEST - L'ARGOMENTO

Ma "combined" è davvero bello?

TENNIS - Si è chiusa con Cincinnati l’esperienza combined (ad altissimo livello) per il 2011. La formula è stata introdotta per ridurre la differenza con gli Slam e aiutare il circuito femminile in crisi di pubblico… Ma piace davvero a tutti? Vizi e virtù di un sistema che convince a metà. E non dovrebbe diventare "combined" il torneo che più di tutti avrebbe bisogno di esserlo: il Masters di fine anno. Roberto Paterlini

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L’idea dei tornei “combined” – vale a dire con uomini e donne a giocare sugli stessi campi nella medesima settimana – pur presentata da ATP e WTA come l’uovo di Colombo del 2011, non è in realtà nulla di nuovo. Tralasciando gli Slam, da diversi anni sia tornei minori (mi vengono in mente Sydney, Estoril, Eastbourne), che di fascia superiore (Indian Wells e Miami), mettono in campo uomini e donne nello stesso periodo, ma da questa stagione altri grandi appuntamenti hanno rimpolpato il gruppo, come quelli di Roma, Madrid (che in realtà è nato combined già alla sua prima edizione), Canada (il Virtual Combined così ben spiegato nelle scorse settimane dai nostri inviati) e ultimo, la settimana scorsa, Cincinnati.

Immagino che l’idea alla radice di questa scelta sia stata quella di far somigliare potenzialmente tutte le settimane dell’anno, o quanto meno le più importanti – anche se, sia per gli uomini che per le donne, al momento restano fuori gli ultimi 2 grandi appuntamenti dei rispettivi circuiti, Shanghai e Bercy da una parte, Tokyo e Pechino (sarà combined con il medesimo ATP 500, però di fascia inferiore) dall’altra – a quelle dei suoi tornei più prestigiosi, vale a dire gli Slam, soprattutto da quando gli stessi giocatori, con la loro condotta più (le Williams) o meno (Nadal e Federer) consapevole/sfacciata, hanno teso a sottolineare l’enorme differenza tra questi ultimi e qualsiasi altro torneo dell’anno, svuotando di fatto d’importanza gran parte della stagione. D’altra parte, il primo torneo combined, inventato negli anni ’80, era stato quello di Miami, quando ancora si chiamava Key Biscayne, e che non a caso si era posto – o almeno c’aveva provato – da subito come quinto Slam dell’anno.

Il secondo grande motivo alla base di questa invenzione / non invenzione è poi stato quello di aiutare il circuito femminile, da anni in grande difficoltà di pubblico - non casuale, mi vien da dire: quando combattevano, con enorme dedizione tutte le settimane, Seles, Graf, Navratilova, Sabatini, Capriati e compagnia, anche gli stadi rosa erano sempre strapieni e in qualsiasi luogo del mondo - facendolo trainare dalle superstar maschili. È facile riportare alla mente, e anche per lo spettatore occasionale di tennis – o, mi duole dirlo, di tennis femminile – la tristezza delle prime giornate persino dei grandi appuntamenti WTA negli anni passati, per noi in particolare a Roma, dove il contrasto con il tutto esaurito della finale maschile della domenica rendeva ancora più imbarazzanti gli spalti vuoti delle prime giornate femminili (pur a prezzi di molto ridotti). Molto candidamente Jelena Jankovic, finalista la scorsa settimana, ha ammesso questo aspetto, estasiata dall’atmosfera del suo incontro serale contro la nostra Schiavone, evidentemente trainato dal match precedente tra Federer e Blake: “I nostri match sono visti da spettatori che originariamente erano venuti per Federer, Nadal, Djokovic, Murrray… Anche a me piace guardare il tennis maschile, mi diverte e imparo!”

Non c’è dubbio che il circuito femminile abbia tratto giovamento e continuerà a trarne dai tornei combined. Contemporaneamente si può affermare con buona certezza che nemmeno quello maschile, almeno a livello d’immagine, sia stato danneggiato dalla nuova formula. Altrettanto sicuramente il pubblico sul posto ha il vantaggio di avere spesso un doppio spettacolo al prezzo di un unico biglietto; e le organizzazioni dei tornei, a parità di diritti televisivi (che sono rimasti invariati) si sono evitate molte giornate a incasso praticamente zero ma con tutti i costi della gestione, recuperando con l’universale tutto esaurito di tutte le sessioni del torneo – rimpolpando in alcuni casi la sessione serale, come ad esempio a Roma - e con la prima domenica, precedente alla settimana vera e propria di gare, ma durante la quale già vengono messi in campo diversi incontri di primo turno.

Meno entusiasti, però, alcuni giocatori. Jo Wilfried Tsonga, interrogato sulla questione, si è limitato a dire: “Se al pubblico piace così, per me va bene,” ma che di fronte alla domanda se seguisse il tennis femminile ha risposto con un poco diplomatico: “Passiamo alla prossima…” Rappresentante dei giocatori nel council ATP, anche Rafa Nadal non si è detto del tutto convinto della formula, soprattutto il relazione alle strutture e alla possibilità di utilizzo da parte dei giocatori, essendo rimasto identico il tempo a disposizione ma raddoppiata l’utenza (soprattutto per quei tornei, come appunto Cincinnati, che non hanno modificato le proprie strutture in vista del combined, e considerando che il raddoppiamento nel singolare si è trascinato dietro anche quello del doppio): “Non è questione che non ci piaccia giocare con le donne, ma di spazio… Non lo dico per me, che sono fortunato da questo punto di vista, ma so che molti giocatori faticano a trovare campi per allenarsi.” Identica, o quantomeno simile la questione sollevata da Sam Stosur: “Non puoi fermarti un solo secondo in più di quanto ti è stato concesso, perché tutti sono ansiosi di scendere in campo.”

La sensazione è poi quella – forse lo è anche dalle mie parole, e forse lo è perché è proprio così – che questi tornei combined siano in realtà più “hosted”, vale a dire che gli uomini siano i padroni di casa (e non a caso non è stata cambiata una sola sede dei tornei maschili per andare in contro alle donne, laddove è stato invece inventato da zero il torneo WTA di Madrid per raggiungere il Masters 1000 degli uomini e alzato di categoria il torneo femminile di Cincinnati, che solo nel 2008 era appena un 175.000$) e le donne siano ospiti, chissà quanto davvero gradite.

Personalmente trovo che l’idea dei tornei combined sia in sé molto buona ma quasi solo per chi ha l’occasione di seguire il torneo sul posto, vedere uomini e donne assieme e respirare aria da Slam. Per chi invece è costretto a guardare tutto attraverso la televisione, la separazione dei diritti – almeno in tutta Europa, con in parte l’eccezione della Spagna, c’è Eurosport a proporre l’appuntamento femminile e la pay-tv di turno (ancora con l’eccezione della Spagna) a seguire quello maschile – sta alla radice degli innumerevoli “not before” che imperversano lungo tutte le giornate, causando diverse pause, e porta molti incontri maschili di sessione serale (pensiamo a Indian Wells) a giocarsi ad orari improponibili per il pubblico europeo, soprattutto per via delle lacune sugli incontri notturni di Eurosport così ben spiegate la scorsa settimana da Riccardo Bisti nella sua rubrica.

Inoltre, affinchè combined sia davvero combined, almeno alcuni tornei maschili dovrebbero trasferirsi nelle località tradizionalmente femminili (non sarebbe un grade sforzo spostare Shanghai ATP a Pechino, e invertire semplicemente ATP 1000 e ATP 500), ma soprattutto dovrebbe diventare combined il torneo che, sia da una parte che dall’altra, più ne avrebbe bisogno, vale a dire il Masters di fine anno, che in quel modo potrebbe proporre un numero significativo di incontri al giorno – è ridicolo che il Master di Londra sia spalmato su 8 giorni per proporre solo un incontro di singolare a sessione… e poi non lasciare nemmeno 24 ore tra la seconda semifinale e la finale – e forse trovare un modo per ovviare alla tanto criticata formula a gironi.

Roberto Paterlini

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