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01/09/2011 20:58 CEST - Us Open

Nel segno di Jack Sock

TENNIS - Viene da Lincoln, ma è esplosa in Kansas la nuova promessa del tennis a stelle e strisce. Jack Sock, due volte campione nazionale U-18 e vincitore degli Us Open junior l'anno scorso, ha vinto 80 partite su 80 in high school, perdendo solo un set, dal fratello. Il successo di Gicquel, primo a livello Slam della sua carriera, gli porta in dote lo scontro generazionale con Andy Roddick. Alessandro Mastroluca

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From the town of Lincoln, Nebraska. Il futuro del tennis statunitense arriva da qui, dalla città un tempo nota per la storia della coppia di teenager fidanzati e serial-killer, Charles Starkwater e Caril Fugate, che hanno ispirato il film Badlands di Terrence Malick e la murder ballad che dà il titolo a uno degli album che segnano più di tutti la carriera artistica di Bruce Springsteen, “Nebraska” appunto.

È un futuro dai capelli biondi e dalla faccia pulita, il volto del bravo ragazzo della porta accanto: il volto di Jack Sock, che alla seconda partecipazione a Flushing Meadows ha ottenuto la sua prima vittoria in uno Slam, battendo in quattro set l’esperto Gicquel 6-4 6-2 1-6 6-4. Il dritto inside-out da sinistra è il suo colpo preferito. “Quando gioco dalla parte sinistra del campo, sono in paradiso”. In effetti, aggira spesso il rovescio per tentare lo sventaglio diagonale di dritto: il movimento è fluido, ma è una palla flottante, colpita un po’ frontale, che sale spesso alta sopra la rete. Più efficace la frustata da destra. Non che il rovescio sia disprezzabile: il lungolinea bimane viaggia con buona velocità e profondità. Lo colpisce però molto piatto, per questo può perdere il controllo se gli arriva una palla che rimbalza bassa. Costruisce bene lo scambio anche con il back, quasi solo coperto, difensivo. E’ un attaccante da fondo, contro Gicquel è sceso a rete 25 volte, con 19 punti conquistati: una statistica che va saputa leggere, però. Quasi sempre, infatti, la discesa a rete non è il passaggio finale di una strategia, ma una scelta figlia delle contingenze, dell’avversario che accorcia, l’appendice finale di un punto praticamente già vinto.

Sock entrato in tabellone grazie a una wild card, dopo essere diventato il primo dopo Donald Young a vincere per due anni di fila il titolo di campione Usa Under-18 ai Nationals. L’anno scorso ha vinto gli Us Open junior, in finale su Kudla, nel primo title-match tutto Usa a Flushing Meadows nel tabellone Boys dai tempi di Ginepri-Roddick. E sarà proprio A-Rod il suo prossimo avversario, in quello che potrebbe diventare un rito di passaggio per il tennis a stelle e strisce.

La carriera a livello di high-school, non sempre indicativa, è vero, del valore di un giocatore è ancora più impressionante. A 10 anni si sposta con la famiglia a Overland Park, Kansas. Sin dai tempi della middle school si allena Mike Wolf. Alla Blue Valley North High School, dove lo segue Ann Dark, diventa una stella. Vince quattro titoli consecutivi dello stato del Kansas classe 6A, il primo a riuscirci dopo Rhain Buth di Wichita Southeast (1987-1990). Nel quadriennio vince 80 partite su 80. Perde solo un set, dal fratello maggiore, Eric. “Era avanti nel tiebreak del terzo set” ricorda Jack, “è stata dura perché era il suo anno da senior e io a un certo punto non sapevo cosa fare: alla fine sono riuscito a tornare sopra e vincere 10-8”.

Il talento più splendente che abbia giocato in Kansas, che non ha dimenticato le sue origini e continua a essere fan dei Nebraska Cornhusker (squadra della NCAA, il campionato universitario di basket), ha offerte di borse di studio praticamente da ogni college del Paese. Non è il primo, e non sarà l’ultimo, davanti al bivio tra studio e carriera. Quasi tutti, in passato, hanno scelto il college, almeno fino agli anni Ottanta. Oggi è una scelta più rara, una scelta utile, comprensibile per la vita del ragazzo, ma che rischia di compromettere la carriera del tennista.

Una decisione che, recentemente, ha fatto Blake, che ha passato due anni a Harvard (è stato il primo nominato All-American al primo anno ad Harvard, e al secondo è stato eletto Giocatore dell’Anno ITA), Peter Luczak (Fresno), Bobby Reynolds (Vanderbilt), Benjamin Becker (Baylor), Kevin Anderson (Illinois, con cui ha conquistato la finale NCAA 2007 e ha vinto tre titoli di doppio), Jesse Levine (Florida, dove è stato eletto National Rookie of the Year).

Ha provato anche Sweeting, in Florida, con la squadra dei Gators, ma abbandona il college dopo un mese passato all’Accademia del fratello di Roddick, e dopo che nell’inverno del 2006 viene scoperto dalla polizia con in macchina bevande alcoliche e sostanze senza prescrizione che fanno ipotizzare agli agenti un tentativo di spaccio (accusa che finirà per cadere).

Il tennis e il college
Curioso che, nella stessa giornata, quasi in contemporanea, abbiano giocato Steve Johnson (battuto in cinque set, in rimonta da sotto 0-2 da Bogomolov), che non dichiarerà il prize money del primo turno per completare il senior year all’Università della California; Somdev Devvarman, due volte campione NCAA in singolo e doppio con l’Università della Virginia tra 2007 e 2008, e John Isner, battuto dall’”indiano d’America” nella finale del 2007, che si è laureato in communication speech all’Università della Georgia.

Peter Bodo ha sottolineato come il college dello stato della Georgia sia diventato uno dei contesti più competitivi degli Usa e abbia giocato un ruolo significativo, come sostiene anche Pat McEnroe, per forgiare il carattere e lo spirito combattivo di Isner. “Non direi che sono sorpreso del mio livello attuale, credo di essere diventato così grazie al college. Certo, il carattere un po’ è innato, ma penso che in gran parte sia appreso. I match al college possono essere molto duri, e ti rendono più duro: una delle cose che ho guadagnato al college e che altri, che hanno scelto di passare subito da pro, non hanno è proprio questo tipo di esperienza. Ho giocato 60-70 match all’anno per quattro anni, e ho avuto la fortuna di vincerne parecchi. E ancora oggi ne sto godendo i frutti”.

Non esiste un’età, una soglia, un limite ideale per decidere di iniziare la carriera da pro. La discriminante, infatti, non è tanto anagrafica. Secondo Paul Goldstein, ex professionista (best ranking di n.56 del mondo) con una laurea in biologia a Stanford, sostiene che un giovane che sta considerando di iniziare una carriera da pro deve rispondere a due domande: “1) Sono preparato ad avere un grande impatto nel tour? 2) Ci sono sponsor che mi forniscono abbigliamento e racchette e sono disposti a sostenermi?” Se la risposta a entrambe le domande è sì, allora è il caso di abbandonare i libri.

Tutto merito dei burritos?
Sock ha chiaramente risposto di sì a entrambe le domande. La personalità c’è, il carattere pure, la voglia di migliorarsi non manca: l’ha notato anche Federer, che l’ha scelto per allenarsi con lui un paio di giorni a Miami, durante il Masters 1000. Hanno giocato due set, vinti dallo svizzero 6-4. Ci sono anche gli sponsor, Adidas e Babolat, che credono in lui. E che l’hanno convinto a non ripetere le abitudini dell’anno scorso.

Un’estate fa, Sock ha infatti cenato per 18 sere di fila al Chipotle, un fast food che offre cibo messicano, e ha ordinato sempre burrito, patatine e limonata, scaramanticamente convinto che la routine l’avrebbe portato a vincere gli Us Open junior. Il titolo l’ha vinto davvero. Ma quest’anno il manager e la famiglia l’hanno spinto ad allargare gli orizzonti gastronomici. Sock non ha del tutto gradito, soprattutto il cibo russo, ma i primi risultati sembrano dare ragione alla famiglia.

Il salto di qualità, ora più che mai, è questione di dieta.

Alessandro Mastroluca

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