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03/09/2011 15:47 CEST - Us Open

Donald Young è diventato uomo

TENNIS - Dopo la vittoria su Wawrinka, Donald Young ha ricevuto i complimenti anche di Patrick McEnroe, responsabile del programma di sviluppo della USTA. Messa alle spalle, dunque, la polemica dello scorso aprile quando Young attaccò la Federazione per non avergli concesso la wild-card per il Roland Garros, e aver deciso di organizzare un play-off a sei per scegliere il beneficiario. Alessandro Mastroluca

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Anno Domini 2005. George Bush inizia il suo secondo mandato: è il 43mo presidente degli Stati Uniti. Sul “Who’s Next”, il doppio numero speciale che Newsweek realizza alla fine di ogni anno e raccoglie i possibili protagonisti degli anni a venire, c’è anche la foto di colui che diventerà il 44mo a entrare nella Sala Ovale: Barack Obama.

Insieme alla sua, c’è anche quella di un mancino di colore che era diventato il più giovane di sempre ad essere diventato il numero 1 del mondo a livello junior e a vincere uno Slam, gli Australian junior. “Non esistono scommesse scontate nel tennis” diceva di lui Jim Courier, “ma con quello che ha fatto a 15 anni, è vicino a diventarlo”. Quel ragazzo col diamante all’orecchio è Donald Young. E ha impiegato sei anni per vincere la sua scommessa.

Ognuno ha una luce dentro” ha detto dopo aver sconfitto Wawrinka 76 36 26 63 76 in 4 ore e 20 minuti, “la mia si è accesa adesso”. Ha messo a posto i pezzi del suo gioco, mescolando aggressività, anche se non ha ancora, e forse non ce l’avrà mai, un “killer shot”, e l’intelligenza, la visione del gioco, che invece si porta da casa. E’ sceso a rete 56 volte, e ricavato 37 punti, ha forzato Wawrinka a commettere 72 errori gratuiti, ha fatto letteralmente implodere lo svizzero, che ha portato a casa solo un punto nel tiebreak decisivo.

Per Young, che pochi giorni fa era entrato nella storia degli Us Open come il primo americano a vincere un match sul nuovo campo 17 (avranno ragione a dire che il 17 porta fortuna negli Usa?), è la prima vittoria al quinto set, ma quando si arriva al parziale decisivo l’americano ha un record molto positivo: 19-8 alla vigilia degli Us Open. “Oggi Donald è diventato un uomo” ha detto Patrick McEnroe, responsabile del programma di sviluppo della USTA.

L’ascia di guerra è stata seppellita.

 

Twitter: cinguettare con cura

L’avevano sollevata le parole di fuoco pubblicate da Young su Twitter alla fine di aprile. DY, reduce dalla prima vittoria contro un top-10, Andy Murray, e dal successo al Challenger di Tallahassee, credeva di avere diritto a una wild-card per il Roland Garros. Ma la USTA decide, invece, di scegliere il beneficiario attraverso un playoff a sei: chi vuole andare a Parigi, insomma, deve meritarselo sul campo. Young arriva in finale, ma perde 67 64 63 62 da Thomas Smyczek, 23 del Wisconsin che sulla terra parigina raccoglierà sette game al primo contro Chela.

Poche ore dopo, su Twitter, Young scriverà: “F**k USTA! They’re full of s**t! They have screwed me for the last time” (che suona, più o meno, “vaff**** USTA! Siete pieni di m**da! M’hanno fregato per l’ultima volta!”).

Non è la prima volta che Young usa Twitter per lamentarsi: alla fine dell’estate 2010 si era lamentato che McEnroe, capitano di Davis, avesse scelto Harrison (n.220 del mondo allora) e non lui (che era n.100) per completare la squadra. “Perché ha scelto Harrison nei quattro di Davis prima di me?” Risposta (non ufficiale): perché Harrison aveva appena battuto Ljubicic, testa di serie numero 15, a Flushing Meadows.

McEnroe si dice offeso dall’ingratitudine di Young, soprattutto a nome dei coach che hanno lavorato per lui e pretende delle scuse, se Young vuole ancora lavorare con la Federazione.

Il giocatore prova a smussare la controversia e dopo qualche giorno cancella il suo account Twitter. Uno degli aspetti che Patrick McEnroe “rinfaccia” a Young sono i pesanti investimenti che la Federazione ha messo in campo per la sua crescita (una scelta che, secondo Jon Wertheim di ESPN ha un connotato razziale che agisce come sottotesto, under the surface), cui si aggiungono quelli degli sponsor, IMG e Head. Anche se adesso Young gioca con una Prince senza il logo.

L’altro sono le 13 wild card che gli sono state riconosciute dal 2004 in diversi tabelloni degli Us Open, tra main draw e quali, junior e senior. Troppe. Un errore. Un “auto-sabotaggio”, come l’ha chiamato Wertheim nella sua Mailbag del 27 aprile scorso.

Una scelta, quella di farlo partecipare ai grandi tornei, motivata anche da ragioni economiche. Non lo nasconde Donald senior, che dice di non essere stato pressato dall’IMG. Anzi, ha sempre sostenuto che l’IMG non abbia fatto abbastanza per monetizzare la fama di Young quando è diventato numero 1 del mondo juniores.

Che tutti questi inviti non gli facessero proprio bene l’aveva capito Mike Bryan, nel 2007. Lo scriveva in una mail al Team Young: “Molti pensano che abbia avuto troppi inviti per lo show troppo presto. Donnie ha bisogno di andare avanti del suo passo, di giocare tanti Futures e Challenger. Lasciate che ne vinca qualcuno lungo la strada e poi dategli le wild card per i grandi eventi quando sarà pronto”.

Certo non era pronto nel 2009. La USTA voleva che trovasse un nuovo coach, invece di continuare a farsi seguire dal padre. Per alcuni giorni prova a farsi seguire da un allenatore di primo piano che, però, abbandona subito: “Non posso rimanere con uno che non ha la minima idea di come si lavori”.

 

Il padre allenatore e il ruolo della famiglia

Ancora adesso, Young è seguito nel tour dal padre, Donald Senior, nato a Chicago e figlio di un ex giocatore professionista di baseball. Ha iniziato a giocare a 16 anni, per Alabama State ma dopo una breve parentesi nel circuito satellite ha abbandonato. La madre Ilona, cresciuta in Missouri, non ha giocato a tennis da piccola perché costava troppo ma si è innamorata di questo sport al college. Quando si è trasferita a Chicago per lavorare prima nella pubblicità poi per Fannie Mae, ha insegnato tennis. Ha incontrato Donald Senior su un campo da tennis, in un torneo di doppio misto. Erano avversari, ma hanno entrambi compreso che avrebbero vinto molto di più se fossero diventati una coppia sul campo. Hanno finito per esserlo anche fuori.

Entrambi sanno i sacrifici necessari nei primi anni perché un giovane talento diventi un professionista di livello, per questo Ilona ha fatto anche da maestra a Donnie (ha un certificato di idoneità all’insegnamento professionale). Il loro supporto non è mai mancato verso l’atteso figlio prodigio che a 3 anni riusciva a tirare colpi sopra la rete con una racchetta in mano.

A 10 anni, grazie anche a Gary Swain dell’IMG, che diventerà il suo agente, scambia con McEnroe. L’ex SuperBrat di lui dirà: “E’ la prima persona che vedo che ha mani come le mie”. Nel 2001, a 11 anni, vince i campionati nazionali Under-12. Tra il pubblico c’è anche Brad Gilbert, che apprezza il gioco completo di Young, che usava già molto spin e non aveva paura di scendere a rete.

Negli anni, però, di Young si parla più per le innovazioni di look, il cappellino all’indietro, il diamante all’orecchio che scrivono un nuovo capitolo nella moda tennistica dopo i pantaloncini di jeans e le maglie senza manica, che per i risultati. L’immagine non era tutto, ma rischiava di diventarlo.

Cresceva così rischio che Young potesse essere etichettato come il Kwame Brown del tennis. Nel 2001 Brown è stato la prima scelta assoluta del Draft, scelto dagli Washington Wizards di Michael Jordan, primo giocatore di high-school a raggiungere questo traguardo, ma non è riuscito a reggere le aspettative se non per un breve periodo ai Lakers nel 2006.

Proprio nel 2006, anno in cui tra l’altro ha perso 6-0 6-0 a Miami da Berlocq, che non aveva mai vinto un match ATP prima, Young ha pensato di lasciare il tennis. Voleva tornare a casa, uscire con gli amici, ha trovato una nuova fidanzata, con cui però si è lasciato presto. “Sentivo di non essere abbastanza bravo” ha detto, “di non appartenere a quel mondo”.

Probabilmente allora non stava cercando solo la sua strada, la sua carriera. Stava negoziando la sua adolescenza. Che è davvero finita una sera di settembre a New York. Ha ragione McEnroe. Ora, Young è diventato un uomo.

Alessandro Mastroluca

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