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09/10/2011 01:25 CEST - L'approfondimento

Ritirarsi o no? Eterno dilemma

TENNIS – Qual è il momento giusto per appendere definitivamente la racchetta al chiodo? Borg e la Henin hanno lasciato mentre erano al vertice a soli 26 anni, salvo poi pentirsi e fare marcia indietro. Sampras ha chiuso dopo l'ultimo grande trionfo. Ci sono invece ex campioni caduti in basso che non si rassegnano, come Hewitt e Ferrero. E negli altri sport? I casi di Platini, Jordan, Schumacher e Armstrong. Alberto Giorni

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Uno dei video più cliccati su YouTube negli ultimi giorni è quello in cui Andy Roddick risponde piccato a un giornalista che gli aveva chiesto se non fosse ora di dare l’addio al tennis: "Sei tu che dovresti ritirarti, non io!", ha ringhiato l’americano, punto nell’orgoglio. Roddick è indiscutibilmente in declino e ad agosto è uscito dai top 20 per la prima volta negli ultimi dieci anni (salvo poi ritornarvi). E’ assai improbabile che possa ottenere ancora un successo importante, ma non intende rassegnarsi. Come altri ex numeri uno caduti in basso: Juan Carlos Ferrero e Lleyton Hewitt (ora n°199 Atp), che continuano a frequentare il circuito con grande dignità, ma allo stesso tempo suscitando un po’ di tristezza negli appassionati che li ricordano nel loro periodo migliore. Fanno bene a proseguire oppure sarebbe saggio da parte loro farsi da parte prima di scivolare ancora più in basso?

Gli unici a lasciare quando erano al vertice sono stati Bjorn Borg (da n°2) e Justine Henin (n°1): dopo anni di vittorie, allenamenti e sacrifici hanno detto basta a sorpresa a soli 26 anni. Forse anche troppo presto, visto che entrambi non hanno resistito a fare marcia indietro, con risultati patetici per quanto riguarda lo svedese. Più felice la seconda vita di Kim Clijsters, campionessa di tre Slam da mamma. L’ideale sarebbe chiudere, se non proprio allo zenit, almeno durante un tramonto luminoso. E’ quello che ha fatto Stefan Edberg nel 1996.

Lo svedese annunciò in anticipo che sarebbe stato il suo ultimo anno, trasformatosi in una passerella trionfale: a ogni torneo riceveva meritate standing ovation. Edberg non si limitò a fare atto di presenza, ma si tolse qualche soddisfazione. Al Roland Garros si vendicò di Michael Chang, che sette anni prima gli aveva fatto un clamoroso sgambetto; agli US Open diede una lezione di tennis a Richard Krajicek, campione di Wimbledon pochi mesi prima, e sfiorò la Coppa Davis in finale con la Francia. In tanti gli chiesero di continuare, ma fu irremovibile: "Mi ritiro perché non tutti i giorni si riesce a giocare al meglio, e il brutto è che non si capisce il perché".

Dieci anni dopo, anche il tramonto di Andre Agassi è stato romantico. Al suo ultimo torneo, gli US Open 2006, ha fatto sfoggio della sua classe vincendo un match indimenticabile con Baghdatis in sessione serale, raccontato in apertura della sua autobiografia. Chissà cosa avrebbe dato per essere nei panni di Pete Sampras quattro anni prima. Faceva male vedere Pistol Pete negli ultimi tempi, preso a schiaffoni da avversari che in precedenza avrebbe battuto giocando con la mano sinistra: grida ancora vendetta la sconfitta a Wimbledon con il carneade svizzero Bastl sul campo n°2, il famigerato "Cimitero dei campioni".

Per fortuna, Sampras si è riscattato alla grande trionfando pochi mesi dopo agli US Open 2002, battendo in finale proprio il carissimo nemico Agassi nell’ultima partita di una leggendaria carriera. L’auspicio è che anche Roger Federer possa togliersi una soddisfazione così prima di appendere la racchetta al chiodo. E le analogie con Sampras a dieci anni esatti di distanza (l’americano nato nel 1971, lo svizzero nel 1981; Pete vinse il primo Wimbledon nel 1993, Roger nel 2003) fanno presagire qualcosa di grande per Federer nella prossima stagione...

Un ulteriore elemento da valutare nei ritiri dei campioni è il ritorno alle competizioni, più frequente in altri sport. Il primo a venire in mente è Michael Schumacher, che ha lasciato le corse nel 2006. Una chiusura del sipario da applausi, con sette titoli mondiali in bacheca e un’ultima gara da urlo in Brasile, dove rimontò dal penultimo al quarto posto. A 41 anni ha deciso di tornare, ma ha collezionato solo figuracce: al volante della Mercedes non è mai salito sul podio e in classifica per il secondo anno di fila è dietro al compagno di squadra Rosberg, che guida la stessa monoposto. Valeva la pena rovinare il ricordo dei passati successi in questo modo?

Stesso discorso per Lance Armstrong: avrebbe fatto meglio a non tornare sui suoi passi dopo il primo ritiro nel 2005, con 7 Tour de France consecutivi nel cassetto. A 37 anni si è riattaccato un numero sulla schiena, con l’obiettivo di conquistare ancora la Grande Boucle. E’ arrivato terzo, salendo sul podio agli Champs Elysées di Parigi, ma poi ha raccolto solo delusioni. Anche il nuotatore Ian Thorpe, ritiratosi nel 2006 dopo aver vinto tutto, si sta allenando per le Olimpiadi di Londra.

L’unico a lasciare da vincente e a tornare sull’Olimpo è stato il simbolo per eccellenza del basket: Michael Jordan. "Il migliore che ci sia mai stato, il migliore che mai ci sarà", come recita la targa accanto alla sua statua davanti allo stadio di Chicago. Dopo tre titoli consecutivi vinti con i Bulls, nel 1993 Jordan provocò uno choc annunciando il ritiro per mancanza di motivazioni. Tentò di sfondare invano nel baseball, ma un anno e mezzo dopo il richiamo del parquet si fece troppo forte. "I’m back" fu il suo grido di battaglia e trascinò i Bulls ad altri tre anelli. Jordan fece in tempo a ritirarsi un’altra volta e a tornare a 38 anni con i Washington Wizards: incorreggibile.

E i calciatori? Da questo punto di vista sono più coerenti, non cambiano idea ogni minuto. A lasciare da vincenti, prima del previsto, sono stati due bandiere juventine: Giampiero Boniperti e Michel Platini. Nel giugno 1961 Boniperti scese negli spogliatoi e comunicò il suo ritiro al magazziniere consegnandogli le scarpe da gioco: "Dalle a qualcun altro, a me non servono più". Anche Platini nel 1987, al termine della partita con il Brescia, disse adieu e non pensò neanche per un attimo a rimangiarsi la propria decisione.

Non manca molto all’uscita di scena di altre bandiere moderne come Alessandro Del Piero e Francesco Totti, che possiedono ancora lampi di classe con cui deliziare gli appassionati, senza la continuità di un tempo. Se qualcuno presto chiederà loro, come a Roddick, quando pensano di togliere il disturbo, potrebbero rispondere con le parole del vecchio Eddy Merckx. Arrivato ultimo al Mondiale di ciclismo del 1977, quando un giornalista gli chiese se non fosse umiliante per un fuoriclasse come lui, il Cannibale rispose: "Il mio dovere l’ho fatto fino in fondo. Tanti altri sono già in albergo sotto la doccia e non perché sono arrivati prima di me, ma perché non sono arrivati affatto". 

Alberto Giorni

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