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21/10/2011 12:41 CEST - APPRENDIMENTO

Come insegnare tennis ai bambini

TENNIS - I bambini devono giocare in condizioni adatte alla propria struttura fisica. I campi per adulti sono inadeguati per un corretto processo di approfondimento. In Italia ci si è mossi con grande ritardo, ma senza un vero e proprio supporto scientifico. C'è tuttavia l'associazione RITA che propone una metodologia innovativa, già riconosciuta a livello internazionale. Michele Pisaturo

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Fareste allenare e gareggiare bambini nel basket nel medesimo campo degli adulti, nel getto del peso con un attrezzo di 7,260 Kg o nei tuffi dalla piattaforma a 10 metri di altezza? E li fareste allenare e gareggiare nello stesso campo di Federer e Nadal? Nel tennis italiano si stenta a dare una risposta chiara e di conseguenza vi è un impreciso adattamento della specialità alle caratteristiche dei bambini, a un modello di gioco evoluto e a finalità educative. Anche il metodo RITA, illustrato nel libro “Dal bambino al campione di se stesso”, nato da studi italiani e riconosciuto al livello mondiale, continua a scontrarsi con una diffusa tendenza alla specializzazione precoce e all’insegnamento dei colpi a scapito del gioco e dello sviluppo dei presupposti motori e cognitivi della prestazione.

Tutte le Federazioni sportive hanno ragionevolmente ritenuto opportuno adeguare aree di gioco, attrezzi e regolamenti delle rispettive discipline alle caratteristiche antropometriche, condizionali, coordinative e cognitive dei piccoli praticanti, dando vita al mini sport. Alcune possono vantare una antica tradizione in tal senso, per evidente incompatibilità in termini di opportunità e di sicurezza, altre per effetto di sensibilità pedagogica e competenze scientifiche dei propri tecnici. Ma non mancano sport reticenti nell’adattare la propria specialità ai bambini.
Il tennis come si è comportato in passato e cosa è cambiato in questi ultimi anni?
Sin dalla sua codificazione, nella seconda metà del diciannovesimo secolo, lo sport della racchetta, contrariamente a molti altri giochi sportivi, non ha previsto differenza alcuna tra uomini e donne, se non nella durata dei match. Suggestivamente potremmo azzardare in tale aspetto un presagio della scarsa sensibilità in epoca moderna ad adattare il gioco alle caratteristiche dei praticanti anche quando l’età di avviamento è divenuta molto precoce. Basti pensare alle racchette di legno di dimensioni e peso (ma anche qualità) inferiori in uso fino agli anni settanta alle quali spesso si preferivano vecchi fusti segati. La diffusione del rovescio bimane era spesso dovuta all’impossibilità dei bambini a manovrare attrezzi troppo pesanti piuttosto che a considerazioni tecniche, didattiche o semplicemente a spirito di emulazione. Per avere adattamenti sulle palle o sulle dimensioni dei campi molto tempo ancora doveva trascorrere e ancora oggi permangono forti resistenze. Negli ultimi anni è aumentata la sensibilità verso un modello attento alle esigenze dei bambini, forse anche per effetto di considerazioni meramente commerciali. La Francia, patria della psicomotricità e del miglior sistema formativo istituzionale del mondo basato sull’attività motoria, ha rappresentato un valido esempio di metodo centrato sulla formazione del bambino.

E l’Italia? Le istituzioni preposte, a nostro avviso, hanno una scarsa propensione alla formazione attraverso il movimento, a cominciare dall’educazione motoria nelle scuole dell’infanzia ed elementari. I programmi federali sono fondamentalmente basati all’imitazione dei campioni o di un modello stilistico. Infatti le prime fasi di apprendimento, a prescindere dall’età dell’allievo, sono state tradizionalmente strutturate sulla formazione del “tennista”, prevedendo movimenti a vuoto per “fissare i gesti corretti” fino alla fine degli anni settanta e successivamente, con i bambini, su una non ben precisata multilateralità, spesso tradotta nell’inserimento del calcetto nelle scuole tennis a scopo principalmente di divertimento, visto che il tennis proposto divertiva poco. Le competizioni under 10, quando previste, si differenziavano solo per la durata dei match (ricordate i tornei under 10 definiti incomprensibilmente “non agonistici”, con campi e palle standard e set a 9 games?). Poi si sono visti progressi con la comparsa di campi mini e midi, anche se approssimativi, uso di palle di vario genere… Comunque l’esplicitazione dei principi metodologici di riferimento continua a essere inadeguata se non assente. Attualmente per gli under 10 si è adottato nuovamente il campo standard con palle midi, mescolando per i bambini acido nitrico e glicerina. Una visione rigidamente biomeccanica del gioco (con prevalenza netta della “meccanica” sul “bios”) e lo studio analitico dei “colpi da campione” hanno consolidato gli elementi analitici e “tenniscentrici” del metodo italiano.

Tuttavia proprio nel nostro Paese, dalla seconda metà degli anni novanta, si è avviata in maniera strutturata una ricerca permanente sulla formazione dei bambini attraverso il tennis, da parte di una associazione, RITA (Italian Tennis Research Association), la quale attraverso ricerche, studi e applicazione sul campo ha prodotto pubblicazioni e attività basate su un metodo centrato sul discente, con precise indicazioni operative e soprattutto riferimenti alla letteratura scientifica internazionali (informazioni in merito potete trovarle sul sito www.tennislab.it). RITA si fonda sull’impegno di tecnici e studiosi provenienti da differenti aree, autofinanziata, caratterizzata dalla autonomia culturale e intellettuale sia pur nella piena disponibilità a fornire consulenze e condividere studi con enti istituzionali come Università, centri di ricerca, federazioni sportive nazionali e internazionali, con alcune delle quali sono state avviate costruttive collaborazioni. Tra queste l’ITF. Infatti sin dal 2003 RITA, unico esponente italiano, presenta lavori alla base della propria metodologia in occasione dei Congressi della Federazione Internazionale. Il modello RITA persegue obiettivi di formazione dell’individuo attraverso lo sviluppo dei presupposti necessari alla prestazione sportiva, coniugando due elementi talvolta considerati in antitesi. La competizione viene adattata alle caratteristiche dei destinatari tanto da poter essere costruttivamente proposta sotto forma di “campionato” fin dai 5 anni di età, apparentemente stravolgendo le modalità di gioco ma in realtà rispondendo contestualmente a esigenze educative, alle capacità dei bambini e ai requisiti della prestazione nel tennis. Inoltre il tennis per bambini proposto da RITA combina il vantaggio di poter accogliere funzionalmente un elevato numero di allievi nel medesimo campo elevando la qualità dell’efficacia didattica con il contenimento dei costi. Sotto la potente spinta alla specializzazione precoce e alla mera, dannosa, imitazione di un tennis improponibile per i bambini, questa opportunità è stata spesso trascurata o addirittura travisata nel corso degli anni anche in presenza di vantaggi evidenti in termini di possibilità di gareggiare sin dalle prime lezioni con conseguente riduzione del numero di abbandoni e soprattutto di risultati tecnici di rilievo. Anche se la validità della proposta RITA non ha mancato di riscuotere consensi in ambito pedagogico, medico e tecnico. Basti pensare che nel Convegno del 2007 la stessa ITF ha presentato il proprio modello denominato “Play & Stay”, con moltissimi punti in comune, sia pur mancante di opportuni riferimenti bibliografici, che si spera possa costituire una importante opportunità di diffusione di una didattica del tennis rispettosa delle caratteristiche dei piccoli in un ambiente ancora troppo legato all’insana imitazione dei grandi.

LO SPOT ITF che rispecchia alcuni concetti espressi da RITA

Michele Pisaturo è maestro nazionale FIT, preparatore fisico FIT, tecnico del Registro dell’Associazione Italiana Psicologia dello Sport (AIPS), nonchè Coordinatore del settore psicopedagogico di RITA

Michele Pisaturo

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