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02/11/2011 22:06 CEST - PERSONAGGI

"Che emozione il ritiro di Agassi"

TENNIS – Il sito di “Marca” ha realizzato un’interessante intervista con il giudice di sedia Enric Molina, uno dei sei arbitri top dell’ITF. “Nel tennis, a differenza di altri sport, l’arbitro è un professionista rispettato. Ricordo con emozione di aver arbitrato l’ultimo match di Andre Agassi e la grande semifinale di Melbourne tra Safin e Federer. Ma le situazioni più difficili si incontrano in Davis”. David Menayo, trad. a cura della redazione

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Un paio di settimane fa, Enric Molina è stato nominato responsabile ITF per l’arbitraggio mondiale. Il giudice di sedia catalano ha dedicato più di metà della sua vita al tennis, prima come aspirante giocatore e poi come uno dei migliori arbitri del mondo. Rispettoso e rispettato, è uno a cui piace vivere alla giornata e godersi il momento. Avrebbe aneddoti per scrivere un libro, ma per il momento dobbiamo accontentarci di ascoltarli dalla sua viva voce. Nonostante non sia un giocatore, è uno dei personaggi più noti del tennis mondiale. I giovani chiedono di potersi fare una foto con lui, o magari avere un autografo. Lui è sempre gentile e disponibile. Con squisità puntualità e modi di fare molto gentili, ha condiviso un tavolo con il giornalista di “Marca” presso il bar de “La Ciudad de la Raqueta de Madrid”, club dove in questi giorni si sta giocando un torneo Future e dove la scorsa settimana ha tenuto un corso di arbitraggio internazionale. “La professione è via via sempre migliore. Siamo più professionali, si nota nei ragazzi che stanno iniziando con l’arbitraggio. Si può dire che, a differenza di quanto accade in altri sport, nel tennis l’arbitro è un professionista rispettato” dice Enric, che ha mosso i primi passi in questo mondo all’età di 20 anni, appena tramontati i sogni di diventare un giocatore professionista. “In Spagna c’è un buon vivaio. Il merito è sia della federazione nazionale che delle federazioni regionali: alcune di essere hanno un’area di formazione nel campo dell’arbitraggio”.

“I giocatori di oggi sono molto corretti”
Insieme a Alison Lang, Pascal Maria, Jake Garner, Louise Engzell e Carlos Ramos, fa parte degli arbitri che possiedono il “Gold Badge” dell’ITF. Sono una piccola famiglia che si suddivide le finali dei tornei più importanti. “Trovarsi in una cerchia così ristretta ti fa sentire fortunato. Quando ho iniziato la mia carriera sognavo di arrivare a questi livelli, ma lo vedevo come un obiettivo molto lontano. Piano piano si sono realizzati i miei sogni, e adesso non mi resta che continuare a migliorare” dice Molina, che attualmente vive a cavallo tra Londra (dove c’è la sede dell’ITF), il quartiere San Gervasio di Barcellona, sua città natale, dove risiedono la moglie Patricia e la figlia Adriana. “Quando sei giovane non è un problema viaggiare, però quando invecchi e vuoi creare una famiglia si fa tutto più difficile”. Da quando ha iniziato ad arbitrare (nel 1997), Molina ha arbitrato oltre un migliaio di partite: spiccano tre finali di Coppa Davis (Croazia-Slovacchia del 2005, Stati Uniti-Russia del 2007 e Serbia-Francia del 2010), una finale di Fed Cup e tre finali Slam (Federer-Agassi allo Us Open 2005; Sharapova-Ivanovic all’Australian Open 2008, Federer-Murray all’Australian Open 2010). “La gente crede che queste siano le partite più importanti da arbitrare, ma io ricordo partite con ricordi più emotivi, come l’ultimo match di Andre Agassi allo Us Open 2006, anche perché era il mio idolo quando ero piccolo. Oppure ricordo con piacere la semifinale dell’Australian Open 2005, quando Marat Safin battè Federer in cinque set”. Se gli chiediamo quali sono gli ambienti più difficili, Molina non ha dubbi: “Le partite di Coppa Davis sono quelle in cui si avverte di più la pressione dell’ambiente, specialmente quando sono coinvolti i pasi sudamericani. A livello personale, il match che ho vissuto peggio è stato un doppio di Davis con in campo Serbia e Australia, uno spareggio per accedere al World Group. Dovetti dare un warning dopo il primo game perché il pubblico (24.000 spettatori!) non smetteva di gridare! Come si avverte anche in altri sport, quella serba è una tifoseria rumorosa e non ha ancora sviluppato la cultura del tennis”. Molina temporeggia un po’ di più quando gli si chiedono i nomi dei giocatori più difficili: “Grazie a Dio non ci sono tennisti come John McEnroe o Ilie Nastase. La generazione attuale è cresciuta con la mediazione di arbitri professionisti e, in generale, sono sempre molto rispettosi e corretti”

Olimpiadi e una pensione ancora lontana
Il pubblico, tuttavia, non è il principale fattore di rischio per un arbitro. I torcicollo e i dolori cervicali sono una costante di questi protagonisti secondari che sopportano stoicamente match anche molto lunghi senza mai alzarsi dalla sedia. Molina, per esempio, ha sofferti di due ernie al disco e gli si è bloccato il collo in quattro occasioni a causa di tensione, stress o postura. “Problemi del mestiere” dice. La sua professione impone un rapporto “cordiale ma non personale con i tennisti”. Molina è anche d’accordo con le rimostranze dei giocatori in merito alla durezza del calendario, ma non vede una facile soluzione al problema: “Non credo che si arrivi allo sciopero. Non conviene a nessuno. E’ chiaro che i giocatori disputano tante partite e tanti tornei all’anno, ma se vogliono ottenere i premi che ottengono, beh, è necessario. La teoria del riposo perde incisività se quando possono fermarsi vanno a giocare le esibizioni. D’altra parte è una scelta rispettabile, poiché con le esibizioni si guadagnano tanti soldi”. Il 2012 sarà un anno speciale per Molina, che a Londra parteciperà alle sue quarte Olimpiadi. “I Giochi sono un’altra dimensione. Non tanto a livello di importanza, quanto per il clima che si respira durante l’evento. Partecipare alla cerimonia inaugurale, stare nel villaggio olimpico e condividere le esperienze con gli arbitri delle altre discipline…”. Laureato in pubblicità e vero poliglotta (parla spagnolo, catalano, inglese, francese e italiano), Molina non ha ancora deciso per quanto tempo rimarrà in questo mondo. “Non so quanto durerà tutto questo (di solito i giudici di sedia diventano supervisor oppure vanno in pensione intorno ai 50 anni di età), però al momento non mi passa per la testa di smettere. Mi vendo seduto su un seggiolone fino a quando la vista reggerà”

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David Menayo

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