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13/12/2011 11:57 CEST - Fed Cup

Fed Cup, tutto in famiglia

TENNIS – Judy Murray capitano di Fed Cup della Gran Bretagna al posto di Nigel Sears, papà della fidanzata di Andy. A ottobre, la LTA aveva riorganizzato le cariche e affidato l’incarico a Leon Smith, uno dei primi coach di “Muzza”, che sarebbe rimasto in carica anche in Davis. Scelta logica o solo un modo per attirare l’attenzione? La ex signorina Erskine ha un passato "ibrido" come giocatrice, dirigente e coach. Alessandro Mastroluca

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La LTA sta lentamente andando sulla strada giusta”. Così Darren Cahill, che lavora part-time insieme a Sven Groenefeld con Andy Murray, ha commentato sulla sua pagina Twitter la scelta della LTA di affidare a Judy Murray il ruolo di capitano della squadra britannica di Fed Cup. “È una decisione logica e decisamente meritata”. A parte la politica di razionalizzazione delle spese, cosa esattamente motiva una scelta del genere? Essere la mamma del numero 4 del mondo è un criterio sufficiente per ottenere questo tipo di incarico?

Il posto era vacante da Wimbledon quando Nigel Sears, padre di Kim, la fidanzata di Andy, ha lasciato per diventare il nuovo allenatore di Ana Ivanovic. Nella riorganizzazione decisa a ottobre, la Lawn Tennis Association aveva provvisoriamente assegnato la doppia responsabilità di capitano di Davis e Fed a Leon Smith. Il 35enne di Glasgow, più giovane capitano britannico dai tempi di Paul Hutchins (1975), è stato “national performance officer” per la federazione scozzese nel 1998 ed è ora a capo del tennis maschile alla LTA. Ma soprattutto è stato uno dei primi allenatori di Murray. L’ha seguito dagli 11 ai 17 anni: con lui Andy ha vinto l’Orange Bowl under-12 e cinque Futures e ha maturato la prima convocazione in Davis. Sono rimasti in buoni rapporti, tanto che era al suo angolo durante il Roland Garros 2006, e questo ha senza dubbio facilitato i contatti tra la federazione e Judy Murray.

La Gran Bretagna, una delle quattro nazioni ad aver partecipato a tutte le edizioni della competizione, non ha mai vinto la Fed Cup. Ha giocato quattro finali (1967, 1970, 1972, 1981), ma negli ultimi sette anni è sempre rimasta confinata nel Gruppo 1 Euro-Africano. A “mamma Judy” è affidato il compito di mettere a frutto il mix di esperienza (Baltacha, Keothavong) e giovani talenti (Robson e Watson).

Judy debutterà in Israele, dal 1° al 4 febbraio. Dato che la squadra parte qualche giorno prima, sarà difficile vederla sugli spalti in caso Andy dovesse raggiungere la finale degli Australian Open, fissata per il 29 gennaio. Ma il ruolo di Judy Murray non sarà limitato alla Fed Cup, che negli ultimi anni per la Gran Bretagna è stato ridotto a qualche match di round robin a inizio stagione. Ha accettato un ruolo di consigliere per i coach impegnati nel tennis femminile, che rappresentano il 24% dei coach “a libro paga” della LTA: un impegno che potrebbe tenerla lontana dalle partite del figlio per un centinaio di giorni nel 2012.

Al di là dei possibili benefici per Andy, che pure sostiene che la madre non sia poi così insistente o invadente, che esperienze ha maturato Judy Murray per essere scelta? Anche limitando l’attenzione ai capitani che hanno vinto la Fed negli ultimi 20 anni, si possono individuare tre macro-categorie: gli ex giocatori di vertice (Marty Riessen, Yannick Noah, Billie Jean King, Guy Forget, Corrado Barazzutti e, in misura minore Petr Pala, che ha all’attivo solo una finale persa al Roland Garros in doppio), i direttori tecnici o sportivi delle federazioni (Ivo Van Aken, direttore tecnico della Lega Fiamminga quando ha portato il Belgio al titolo nel 2003, o Miguel Margets Lobato, che ha vinto con la Spagna quattro edizioni), i coach (Klaus Hofsass, 22 Slam con Steffi Graf, ha seguito anche Becker e ora gestisce un’accademia a Malaga).

Judy non appartiene a nessuno di questi profili, ma ha elementi di tutti e tre. Lavora per la LTA dal 2007, ma ha praticamente fatto nascere il movimento tennistico in Scozia. Judy Erskine (questo il suo nome da nubile), è figlia di sportivi. Suo padre, Roy, è stato un calciatore professionista di seconda fascia, cresciuto nel vivaio dell'Hibernian e con 46 presenze nelle serie minori con le maglie di Stirling Albion e Cowdenbeath. Con sua moglie giocava spesso a badminton. Judy, alla Morrison's Academy di Crieff, era nelle squadre di netball, nuoto e hockey. Una volta iscritta all'università di Edimburgo, ha giocato a pallavolo e squash. Ma ha soprattutto rappresentato la Gran Bretagna ai Giochi Mondiali Studenteschi nel tennis.

La sua attività nel tour si segnala per un’amicizia con Mariana Simionescu, all’epoca fidanzata di Borg, e poco altro. Dopo aver insistito dieci anni per convincere, invano, la Federazione scozzese a investire sui giocatori, abbandona il suo ruolo ed entra nella Lawn Tennis Association.

Spirito e dedizione non le mancano di certo. È più difficile pensare che con un carattere come il suo, con una personalità forte, possa riuscire a dirimere i conflitti interni e le piccole rivalità che possano nascere all’interno del team. E spingere le giocatrici a dare il massimo e di più, a esaltarle in un contesto di squadra cercando quello che Noah chiamava “l’atleta interiore”. Sarà poi capace di dare indicazioni tattiche, di suggerire strategie e piccoli accorgimenti per cambiare la partita? È vero che non è necessario essere stati grandi tennisti per conoscere e capire i segreti del tennis ma in un certo senso vale quello che Ruskin disse a proposito dei pittori nella causa contro Whistler del 1878: “Nessuno all’infuori di un artista può essere un critico competente”. La carriera agonistica di Judy Murray la rende competente abbastanza perché i suoi consigli durante i match siano ascoltati e messi in pratica? Qualche dubbio, in proposito, mi resta.

E credo che sia una scelta figlia della voglia di far tornare i riflettori su una competizione finita nell’ombra, ora che Heather Watson e Laura Robson lasciano intravedere spiragli di luce per una nazione da troppo tempo in attesa dei nuovi Fred Perry e Sue Barker.

Allo stesso, l’incarico affidato a una figura interna alla federazione rispecchia le esigenze di razionalizzazione delle spese, di ottimizzazione del rapporto costi/benefici, che ha spinto la LTA a ridurre a 23 (dai 43 del 2009) il numero di atleti del cosiddetto “Team AEGON”, che ricevono i più cospicui aiuti dalla LTA, fino a 75 mila sterline l'anno. Ne fanno parte nove donne, tra cui Baltacha e Keothavong, e 14 uomini, come il vincitore degli US Open junior Oliver Golding, scelti attraverso un database computerizzato (il “Player Matrix”) che analizza i risultati di tutti e dovrebbe far sì che gli aiuti vadano ai più meritevoli. Non c’è Jamie Murray, che è pure aiutato dalla federazione, ma non può appartenere al Team AEGON per via di un contratto di sponsorizzazione con la Royal Bank of Scotland.

È fuori anche il doppista Ken Skupski, e questo lascia ipotizzare che la LTA abbia già definito le coppie su cui puntare per le Olimpiadi: Jamie e Andy Murray, Colin Fleming e Ross Hutchins. Una politica che Andy approva: “In Gran Bretagna riceviamo troppo quando siamo troppo giovani e restiamo attaccati a questi aiuti troppo a lungo”.

Inglesi “mammoni”? Detto da un ragazzo che, è vero, a 14 anni è andato in Spagna, ha fatto dei giri immensi nella scelta del coach ma è poi tornato da mamma Judy, fa perlomeno sorridere. Ma chissà, magari ha ragione Cahill.

Alessandro Mastroluca

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