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15/12/2011 10:59 CEST - GIOVANI & SUPERFICI

Gli USA ripartono dalla terra battuta

TENNIS - Il prestigioso Orange Bowl, uno dei tornei junior più importanti del mondo, si svolge ogni anno in dicembre, in Florida. Dopo i suoi primi 51 anni sulla terra battuta, 13 anni fa si è spostato sul cemento, per non essere "anti-americano", ma ora che è evidente come gli statunitensi siano allergici al mattone tritato si è tornati alla terra verde. Un percorso diametralmente opposto al "Progetto Campi Veloci" attuato in Italia. Francesca Sarzetto

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E' un periodo di vacche magre per gli USA. Roddick sta tristemente abbandonando il tennis che conta, come le sorelle Williams, e il tardo fiorire di Fish non maschera le lacune. Dietro, Isner se la cava, Querrey ha i suoi problemi, all'orizzonte si affacciano Harrison e Young, ma il movimento decisamente non è più proficuo come un tempo. Che sia un problema di attitudine, dalle radici profonde?

Intanto, la USTA ha autorizzato un cambiamento importante, tramite il suo manager per lo sviluppo dei giocatori, Patrick McEnroe. Il prestigioso torneo Orange Bowl, uno dei massimi appuntamenti junior internazionali, dopo 13 anni di esperienza di gioco veloce sul cemento (per favorire gli statunitensi) è tornato alle sue origini, alla terra verde americana. I tabelloni under 16 e 18 si sono giocati presso il Frank Veltri Tennis Center a Plantation, Florida, abbandonando la sede precedente, la stessa del torneo Masters 1000 di Miami, Crandon Park.

Questo per cercare di ovviare all'evidenza: che i giocatori americani sono troppo abituati a punti veloci, servizi potenti e gran bordate da fondocampo, oggi elementi essenziali del gioco, ma non gli unici. I ragazzini provenienti da altri paesi, più abituati alla terra battuta, imparano meglio a costruire i punti, ad aspettare il momento giusto per crearsi un'occasione, e il concetto che a volte vincere - o perdere - vuol dire metterci sangue, lacrime e sudore. Inoltre, la terra fa meno danni su un corpo in sviluppo, rispetto al duro cemento. "Sono contento di questo cambiamento" dice Patrick McEnroe. "Fa parte di un progetto a lungo termine. Sapevamo che non avremmo avuto buoni risultati all'inizio, ma non è questo il punto. Quello che conta è lo sviluppo".

"Più che avere un torneo sulla terra, l'importante è allenarsi su questa superficie", dice Gottfried, ex n.3 mondiale negli anni '70, un americano che giocava serve&volley ma sapeva muoversi bene anche sulla terra, arrivando in finale al Roland Garros. Oggi allena giovani promesse. "E' questo che permette di formare l'istinto tattico del tennis. Non basta avere gran servizio e gran dritto". Gli fa eco Patricio "Pato" Rodriguez, noto allenatore cileno ed ex coach di Andres Gomez e Jaime Yzaga. "I ragazzi, dovendo giocare sulla terra, soffriranno di più in campo. Soffrono di più, giocano punti più lunghi e non si aspettano di colpire sempre e subito il vincente, ogni volta".

I protagonisti invece non l'hanno presa benissimo. Molti capiscono il motivo di questa decisione, ma qualcuno si lamenta, come Alexios Halebian, promessa americana under 18. "Ovviamente mi piaceva di più Crandon Park. So che vogliono che gli americani si abituino alla terra battuta, lo capisco perfettamente. Ma non con così poco preavviso. Avrebbero dovuto aspettare un altro anno per organizzare meglio il calendario Junior, ma non dico che sia una decisione sbagliata".

McEnroe sa che la terra non piace a tutti. Qualcuno protesta, dicendo che un torneo americano dovrebbe giocarsi su una superficie che favorisca gli americani. Lui però non scompone davanti alle critiche. "Non so se lo capiscono, e a dire il vero non mi interessa se lo capiscono o no. Non importa quello che pensano i ragazzi e i loro genitori. E' il nostro lavoro di allenatori, educatori, leader insegnare loro il modo giusto di giocare. Quando la gente dice che gli americani non sono abbastanza forti, non è colpa loro; è colpa nostra".

Secondo me, questa non è una cattiva idea. Molti si lamentano dell'eccessivo rallentamento delle superfici, ma allo stesso tempo anche del tennis super-atletico e della prevalenza di randellatori da fondo, che stanno facendo scomparire la tecnica e la tattica. Negli anni '90 però il tennis stava diventando tiro al piccione, grazie ai progressi di racchette, corde e palline, e anche quello non era divertente. La terra verde americana è un po' più dura e più veloce della terra rossa, e fare abituare i giovani ad un gioco più articolato e tecnico consentito da questa superficie forse può portare ad un giusto equilibrio tra il tennis tutto potenza, servizio e dritto, tipico del cemento, e gli scambi infiniti consentiti dalla terra rossa, superficie che favorisce troppo i difensori. In Italia, invece, ci si muove esattamente nella direzione opposta. Qualche tempo fa, la FIT ha lanciato il "Progetto Campi Veloci" per sviluppare e favorire la costruzione di campi in cemento nel nostro territorio. E' una scelta giusta, poichè in Italia circa il 90% dei campi sono in terra rossa, e abituarsi a superfici diverse produce giocatori più completi. Al contrario, non c'è alcuna novità sul "Progetto Campi Coperti" di cui si parlava qualche mese fa. Cambio di idee?

Francesca Sarzetto

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