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17/12/2011 13:10 CEST - Storie di tennis

Il tennis al tempo dello scià

TENNIS - Nel 1952 lo scià dell'Iran, Reza Pahlavi, poteva telefonare all'ex campione di Wimbledon Sidney Wood e organizzare un doppio al Waldorf di New York. Il suo regime finisce nel 1979, con la rivoluzione di Khomeini. L'ayatollah proibisce il tennis, considerato troppo americano e capitalista. Una decisione che frena la carriera del più grande giocatore iraniano, Mansour Bahrami. Quel torneo che valeva la libertà. Alessandro Mastroluca

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Nel novembre del 1952, il mio centralino annunciò una chiamata da una segretaria di Sua Maestà Imperiale, lo Scià dell’Iran”. Inizia così il racconto dell’incontro con Reza Pahlavi che compare nel libro “The Wimbledon final that never was” di Sidney Wood, più giovane di sempre nel maindraw (esordio a 15 anni e debutto sul Centrale contro Renè Lacoste) e unico vincitore dei Championships per walk-over dell’avversario.

La finale cui si riferisce il titolo è quella del 1931 che lo rese il più precoce campione di Wimbledon almeno fino al 1985, anno del primo dei due trionfi consecutivi di Boris Becker. In quella finale avrebbe dovuto giocare contro l’amico e compagno di camera Frank Shields, nonno dell’attrice Brooke, prima moglie di Agassi. Ma Shields si era infortunato al ginocchio sul 4-3 nel quarto set della semifinale vinta 75 36 64 64 contro Jean Borotra. Shields e Wood, due giorni prima della finale di singolare, giocarono e persero la semifinale di doppio 64 75 62 contro Henri Cochet e Jacques Brugnon.

Una settimana dopo i Championships, gli statunitensi persero 3-2 contro la Gran Bretagna nella finale inter-zona di Coppa Davis. Gli Usa arrivano alla terza giornata in vantaggio 2-1. Ma Wood si arrende a Perry (che aveva battuto in semifinale a Wimbledon) 6-3 8-10 6-3 6-3 mentre Shields cede a Bunny Austin, che si prende la rivincita dopo i quarti dei Championships, 8-6 6-3 7-5.

Vent’anni dopo, Wood è il partner dello scià Pahlavi in un doppio organizzato a New York dal Dipartimento di Stato. Due giorni dopo riceve la telefonata da cui siamo partiti per raccontare questa storia. Giocano di nuovo, contro Stanley Rumbough e Henry Breck, “molto più che due semplici giocatori di club”; Pahlavi deve servire anche per Wood, che ha uno strappo al tendine della spalla. Dopo la partita partecipano a una cena per la festa del Ringraziamento al Waldorf. Al loro tavolo ci sono due figlie dell’ambasciatore brasiliano e Mary Martin, l’attrice di South Pacific e Tutti insieme appassionatamente. Wood intrattiene i commensali “descrivendo un episodio comico durante una finale di doppio misto al Roland Garros con l’incomparabile Helen Wills Moody come mia partner (avevo già in corpo due Courvoisier doppi)”.

Reza, prosegue Wood, “era del tutto modesto, un compagno divertente e impulsivamente caloroso, che sapeva essere serio o spensierato a seconda della situazione. Sul campo da tennis, dove spesso si manifestano i tratti più autentici del carattere di una persona, dimostrava di essere un partner con cui non bisognava essere indulgenti, che seguiva le indicazioni con attenzione e riconoscenza, che giocava con entusiasmo ed era la quintessenza della sportività”.

Non è esattamente la stessa descrizione che nello stesso periodo danno di lui i servizi segreti inglese e statunitense durante il tentativo di colpo di stato per destituire il primo ministro Mohammed Mossadeq.

Pahlavi il temporeggiatore
Dopo la seconda guerra mondiale, i movimenti nazionalisti chiedono con insistenza che non venga rinnovata la concessione alla Anglo-Iranian Oil Company: vogliono la nazionalizzazione dell’industria petrolifera. Il primo ministro Razmara, che vi si opponeva, viene ucciso da un fanatico. Il parlamento, il Majlis, elegge Primo Ministro Mossadeq che nel maggio 1951 approva la nazionalizzazione. Nascono così compagnie come la National Iranian Oil Company. Gli inglesi reagiscono imponendo il blocco economico e iniziando a pensare, insieme ai servizi segreti Usa, all’ipotesi di un colpo di stato. Questa parte segreta della storia la racconta Donald N. Wilber, un esperto di architettura persiana e tra i principali “cospiratori”, in un rapporto inviato alla CIA nel 1954.

L’amministrazione Eisenhower era preoccupata per gli sviluppi nell’area, e soprattutto per il ritorno del Partito Comunista, il Tudeh, formalmente fuori legge ma tollerato da Mossadeq. Per contrastarlo, il 4 aprile Allen W. Dulles approva un finanziamento di un milione per il piano. Il generale Fazlollah Zahedi è l’uomo scelto per guidare il colpo di stato.

La strategia viene messa a punto a giugno tra la CIA e l’intelligence britannica. Presto arriva a Teheran anche il capo della divisione Vicino Oriente e Africa della CIA, Kermit Roosevelt, un nipote di Theodore. Il piano prevede che lo scià firmi due decreti per destituire Mossadeq e nominare il generale Zahedi nuovo primo ministro. Ma la firma arriva solo il 13 agosto e l’annuncio viene dato il 17, con lo scià a Baghdad.

Anche se un ufficiale dell’esercito svela alcuni dettagli del piano a Mossadeq, e nonostante lo scià decida di partire per Roma insieme alla principessa Soraya, la strategia funziona. Proprio quando sembrava che fosse troppo tardi, la mattina del 19 in ogni piazza si formano gruppi di sostenitori dello scià. Il piano anglo-americano aveva funzionato. La strategia sarà poi replicata in Guatemala nel 1954 e nella nefasta spedizione alla Baia dei Porci del 1961.

Non è uno sport per tutti
E’ il 1957 quando la famiglia Bahrami si trasferisce a Teheran dal nord. Il padre di Mansour diventa giardiniere nel più grande impianto sportivo del Paese: pedane di lotta, campi da pallavolo, da calcio, 3 piscine e 13 campi da tennis. Ma il “gioco dei Re” era riservato solo ai ricchi e ai figli dei diplomatici stranieri. A cinque anni, Mansour diventa un raccattapalle e si innamora del tennis. Si allena a piedi nudi nell’alveo di una delle piscine colpendo qualche palla dimenticata con qualunque utensile che ricordi una racchetta: palette, scope, soprattutto padelle e tegami.

Per il suo decimo compleanno, il suo idolo Taghi Akbari gli regala una Dunlop Maxply. Ma appena Mansour va su un campo per provarla, le guardie lo raggiungono, lo picchiano e gliela spaccano. Servono altri tre anni perché gli amici dello scià in federazione si accorgono che Mansour è un giovane talento. Tanto che nel 1973 gli assegnano un “sorvegliante” e lo spediscono a giocare il singolare junior a Wimbledon. Al primo turno viene sorteggiato con Billy Martin, teenager Usa che Inside Tennis Magazine nominerà “Junior Player of the Century”; entrato nella Hall of Fame nel 1996 è l’unico ad aver vinto il titolo NCAA a squadre sia da giocatore (1975) che da coach (2005).

Bahrami resta tre giorni chiuso in albergo finché la sua guardia del corpo lo chiama: “vai in campo tra un’ora” gli dice. Bahrami non ha mai visto un campo in erba, ha solo due racchette, Martin 15. Naturalmente il teenager Usa vince facile e conquisterà il titolo nel ‘73 e ‘74 senza cedere più di due game a set. Nel ‘74 Bahrami debutta in Davis: perde 60 60 62 da Roger Taylor, ma vince 9 dei successivi 11 singolari giocati nella competizione prima che il tennis venga vietato dall’ayatollah Khomeini, che lo considera uno sport americano, capitalista e decadente.

Sliding doors: la fine dello scià, il nuovo inizio di Bahrami
Pochi mesi dopo il debutto di Bahrami a Wimbledon, il 16 ottobre 1973, nel cuore della guerra del Kippur, l’Iran e gli altri Paesi dell’OPEC alzano il prezzo del petrolio da 2,90 a 5,11 dollari al barile. Il valore toccò gli 11 dollari il giorno dopo. Lo scià, che era sempre stato un bon vivant e si concedeva anche partite di caccia con oltre venti persone al seguito ciascuna sul proprio cavallo, indulge in ogni sorta di spesa superflua, tra feste imperiali, sfarzi e villeggiature chic. Ordina di raddoppiare gli investimenti, di importare prodotti d’alta tecnologia, di costruire mezzi militari e infrastrutture.

Ma non ha calcolato il lato oscuro dell’improvviso afflusso di denaro: inflazione, disoccupazione e povertà. In più lo scià mostra una vocazione militarista e poliziesca, come suo padre. Organizza una potente polizia politica, la SAVAK, e assume il ruolo di “gendarme dell’America” nell’area, specie durante la presidenza Nixon.

Ma Nixon lentamente lo abbandona. Affida all’ex direttore della CIA Richard Helms il ruolo di ambasciatore Usa in Iran. Lo allontana perché non aveva voluto che l’Agenzia aiutasse il presidente a coprire le sue responsabilità nello scandalo Watergate e insieme sfrutta i suoi buoni rapporti con lo scià, di cui era stato compagno di scuola a Le Rosey. Ma la sua politica fanno crescere le proteste degli ulema, dei dissidenti e del ceto mercantile dei bazari. Gli Usa lasciano Pahlavi, malato di cancro al suo destino. Quando Khomeini di fatto lo esilia dall’Iran, solo l’Egitto è disposto ad accoglierlo. Gli Usa però gli concedono diritto di asilo per motivi umanitari. Gli studenti iraniani, temendo che gli Stati Uniti stiano tramando per riportarlo al potere come nel 1953 assaltano l’ambasciata americana a Teheran e tengono 52 dipendenti in ostaggio per un anno.

Bahrami non gioca più a tennis da tre anni, sopravvive grazie al backgammon, ma continua a chiedere al nuovo governo di avere almeno la possibilità di competere. Alla fine il governo cede e organizza la Coppa della Rivoluzione, a Teheran, per l’ultima settimana di luglio 1980. In palio un visto per Atene.

In finale arrivano Bahrami e il suo amico d’infanzia Ali Madani, che rappresentano due modi diversi di intendere il tennis. Madani aveva un gioco percentuale, Bahrami si affidava all’ispirazione e si concedeva le sue proverbiali palle corte che toccavano terra e tornavano indietro. Bahrami, che non aveva mai battuto Madani prima di quel match, vince 6-2 0-6 7-5. Per Madani è l’inizio della fine: dovrà aspettare due anni per avere il visto e lasciare l’Iran, ma il treno è passato e non tornerà.

Per Mansour, invece, è la fine dell’inizio. La sua fidanzata dell’epoca lo convince a provare a cambiare il visto e comprare un biglietto per la Francia, dove già viveva una numerosa comunità di esuli iraniani. Un amico riesce ad ottenere documenti e biglietto per Parigi direttamente dal Ministro degli Esteri Sadeh Ghotbzadeh. 18 mesi dopo, Ghotbzadeh, un intellettuale che Khomeini considerava alla stregua di un figlio, viene condannato a morte con l’accusa di aver tramato contro il regime.

Bahrami ora gioca esibizioni in giro per il mondo. Ma i tempi d’oro del tennis in Iran, quando lo scià giocava con un campione di Wimbledon, sono ormai solo un lontano ricordo buono per i libri di memorie.

Alessandro Mastroluca

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