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09/01/2012 17:55 CEST - IL RACCONTO

L'Era “Closed”: i "pro" ante-1968 (1)

TENNIS - Il tennis è diventato Open nel 1968: da allora è aperto a tutti, dilettanti e professionisti. Come si guadagnavano da vivere i giocatori di tennis prima di quella rivoluzione? Ecco una breve introduzione a quel periodo semisconosciuto. Il professionismo nasce sin dai tempi di Bill Tilden e Suzanne Lenglen. I più forti giocatori degli anni 40, 50 e 60 sono tutti passati tra i "pro". Enos Mantoani

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Immaginate di saper fare bene una cosa, qualsiasi cosa. E immaginate che molta gente venga a vedervi fare quella cosa. Gente ricca che lo fa per divertimento. Immaginate pure che siate poveri, oppure non molto ricchi. E la gente viene a vedervi e vi dica pure: bravo! Oppure che venga a vedervi e ci paghi sopra, ma quei soldi non siano per voi…Immaginate che dopo qualche tempo venga qualcuno a offrirvi dei soldi sotto banco. Oppure che qualcuno vi offra, piuttosto di stare in quel posto, seppur bello e pieno di fascino e di lusinghe, soldi, anche tanti soldi, per fare in un altro posto quella stessa cosa che fate bene, e che la gente paga per venire a vedere.

A un certo punto vi verrebbe pure la voglia di tornare nel posto di prima, che era così glorioso e fascinoso: ma non vi faranno entrare, perché vi siete venduti; anche se pure il pubblico non si curerebbe poi molto, poiché viene a vedervi fare quella cosa, e non gliene importa punto che voi guadagniate diverse sterline…Immaginate anche che questa situazione vada avanti per anni, per quasi un secolo, e che non ci troviamo nel Medio Evo, e neppure prima della Rivoluzione Industriale, bensì nel pieno XX secolo. Quando l’Uomo si preparava ad andare sulla luna, votavano quasi tutti, gli autori e gli scrittori venivano pagati, i ciabattini pure (seppur poco), gli attori un po’ di più e gli sportivi invece no (ufficialmente almeno). Poi si sarebbero rifatti con gli interessi, d’accordo, ma intanto, i tennisti fino al 1968 erano tutti dilettanti. Se non lo erano, erano giocatori professionisti di tennis, spesso bistrattati.

L’intento di questo articoletto è quello di provare a dare qualche cenno storico (e non è facile, vista la mancanza di fonti certe e definitive) su quel fenomeno parallelo che era il circuito professionale ante il 1968. Penso si possa perlomeno concordare tutti nel dividere in tre periodi la storia del professionismo nel tennis.

Il primo periodo è quello che va dalla nascita del tennis alla fine della seconda guerra mondiale. In questo periodo prevale il dilettantismo (anche se, vedremo poi, spesso e volentieri, e soprattutto tra le due guerre, molti erano i dilettanti pagati sottobanco): si gioca solo per la Gloria.

Il secondo periodo va dal 1947 al 1968: i professionisti escono allo scoperto e, non riconosciuti dai tornei per dilettanti, creano dei circuiti paralleli che via via acquistano sempre maggior peso: si gioca per i soldi o per la Gloria, alle volte pretestuosamente per la Gloria, guadagnando anche qualche bel soldino.

Il terzo periodo parte dal 1968 e arriva fino a noi: tutti i tornei diventano Open, cioè aperti a tutti e dotati di un montepremi sempre più ricco e goloso; i soldi accompagnano la Gloria e alle volte si gioca solo per i soldi.

Gianni Clerici dedica un interessante paragrafo de i “500 anni di tennis” al fenomeno del dilettantismo e del professionismo. E a uno dei più grandi innovatori: Jack Kramer. Come detto, il professionismo, considerato come remunerazione di prestazioni sportive, si era già insinuato nell’epoca in cui, in teoria, esistevano solo i dilettanti. Ad esempio, il grande Bill Tilden (e siamo già tra le due guerre mondiali) aveva tentato, in parte riuscendoci, a creare delle manifestazioni tennistiche aggiudicandosi campioni della racchetta come Vines, Budge e Perry. Lo stesso Tilden che fu accusato di professionismo dalla sua federazione (lui che per il tennis, oltre che per le sue attività artistiche, si era letteralmente ridotto in povertà).

Si consideri infatti che all’epoca era accusa infamante oltre che un potente spauracchio agitato dalle varie federazioni per controllare i propri giocatori. Anche Suzanne Lenglen, per scomodare un altro nome importante, dovette difendersi da questa accusa (e anche lei passò al professionismo seppur brevemente e a fine carriera). Se lo possiamo però considerare un fenomeno collaterale in quel periodo, dal 1947 inizia una nuova epoca che rese sempre meno nobili le liste dei partecipanti ai tornei del Grande Slam. In quell’anno, infatti, Jack Kramer si impose prima come professionista, dopo aver sbaragliato i dilettanti, e poi come impresario di tournée e tornei tennistici e, disponendo di grosse somme di denaro e di una notevole influenza sui giocatori, “rubò” o, meglio, “comprò” le più valide racchette dell’epoca che, non potendo più partecipare ai vecchi tornei, resero estremamente competitive e di altissimo livello le stagioni professionistiche per un ventennio, nonché più poveri i tabelloni amatoriali.

Amateurisme marron, shamateurisme: così francesi e inglesi chiamavano il dilettantismo remunerato in nero attraverso rimborsi spese, inviti a partner, etc… E queste spese spesso bastavano a dilettanti che già erano ricchi di famiglia, ma che rimanevano comunque molto legati alle proprie federazioni. Ad esempio, e siamo negli anni ‘30, Henri Cochet, uno dei Moschettieri, aveva una percentuale sugli incassi del Roland Garros: ufficialmente non era pagato per giocare, ma ufficiosamente i franchi arrivavano. Chi invece non godeva di queste prebende, dalla metà degli anni ’40 in poi sceglieva il professionismo, soprattutto americano. E siccome molti fortissimi giocatori iniziavano dalla gavetta della vita, è sempre più difficile credere, fino al 1968, alle statistiche basate sui tornei dello Slam. I giocatori che sono considerati i più forti degli anni ’40, ’50 e ’60 sono: Kramer, Gonzalez, Rosewall e Laver. A parte Laver, che fa caso a sé, Gonzalez e Rosewall non vinsero nemmeno un Wimbledon, Kramer uno solo.

Poi ci sono le eccezioni fantasiose: tipo Bobby Riggs che scommise su sé stesso per autodotarsi di un montepremi…Ma sentiamo alcune voci dei protagonisti dell’epoca come assaggio e anticipo della prossima puntata, in cui andremo ad analizzare un po’ meglio come erano organizzati i primi tornei e le tournée pro:

Jack Kramer (1955): Quando ero campione degli Stati Uniti come amatore: non ero un amatore!

Hoad (1957): “I was a tennis slave… Ero uno schiavo del tennis, perché l’accordo con la federazione mi rendeva proprietà della federazione stessa. Se dopo Wimbledon chiedevo un periodo di riposo, mi dicevano di no perché c’erano accordi per giocare di qua e di là…”

Arthur Ashe: "Tutti noi meritiamo degli Oscar come amatori…"

Gordon Forbes: "Sono un amatore di professione"

MacKay (1961), passato al professionismo: "Mi sento pulito per la prima volta, non devo più prendere soldi sottobanco…"

Althea Gibson (1968): "Essere una campionessa è buono e bello, ma non puoi mangiare una coppa…"

Serena Williams (2003): Sono sempre stata motivata a vincere gli US Open, perché pagano molto. Quest’anno sarà probabilmente 950.000 dollari. Chi non vorrebbe vincerli?

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