ITALIANO ENGLISH
HOMEPAGE > > Il re è sempre Novak Djokovic, gli altri si mettano il cuore in pace (Valenti, Clerici, Semeraro, Azzolini, Lombardo; Giua).

30/01/2012 14:56 CEST - Rassegna Stampa del 30 Gennaio 2012

Il re è sempre Novak Djokovic, gli altri si mettano il cuore in pace (Valenti, Clerici, Semeraro, Azzolini, Lombardo; Giua)

30.01.2012

| | condividi

Rubrica a cura di Daniele Flavi

Il re è sempre Novak Djokovic, gli altri si mettano il cuore in pace.

Gianni Valenti, la gazzetta dello sport del 30.01.2012

Il serbo numero uno al mondo ha ricominciato da dove aveva finito. Cioè vincendo un altro Slam, il terzo consecutivo. Prima di lui c'erano riusciti solo Laver (poker), Sampras, Federer, e Nadal. Il tris agli Australian Open, secondo di fila, dice senza ombra di dubbio che sarà lui l'uomo da battere anche in questa stagione impreziosita da un appuntamento davvero speciale, le Olimpiadi a Wimbledon. Nole (foto Reuters) è arrivato alla settima finale di seguito vinta contro Nadal al quale però stavolta va reso ampiamente l'onore delle armi. Lo spagnolo è tornato su livelli molto alti e ci ha regalato a tratti i colpi migliori del suo repertorio. Non s'arrendeva al quinto set in una finale dal lontano 2007 quando usci sconfitto da Federer sull'erba londinese. Il match di ieri l'ha perso ancora una volta nella testa. La soggezione nei confronti dell'avversario-tabu forse ha pesato meno del solito ma nel momento cruciale s'è risvegliata. Sul tabellino, segnata in rosso, resta infatti la grande chance sprecata da Rafa sul 4-2, 15-30 (serviva Djokovic) nella quinta e decisiva partita. Con quel rovescio comodo da metà campo sparacchiato in corridoio assieme alla possibilità dell'allungo che poteva essere determinante. E non è stata solo stanchezza. Al serbo regali così non si possono proprio fare. Anche allo stremo delle forze Nole, se vede uno spiraglio, ci si infila ricaricandosi come una Duracell. Gli basta buttare l'occhio in tribuna verso i tanti stendardi del suo Paese e ricordarsi che dietro c'è tutta la Serbia che spinge. Allora alza il pugno e si batte il petto. Una, due volte. Poi urla. E tornano le forze. «Io vivo per vincere queste partite», aveva confessato dopo la sfida con Murray. Questo è Djokovic. Potrà essere simpatico o meno, qualcuno magari stigmatizzerà certe sue piccole sceneggiate. Ma intanto è il campione che ha dato nuovo slancio a questo sport. La finale di ieri è stata la più lunga della storia degli Slam ed ha tutti gli ingredienti per entrare nella hit parade delle più belle di sempre. Fatela rivedere ad un giovane che deve scegliere come divertirsi e si innamorerà del tennis. Cinque ore e 53 minuti raccontano meglio di ogni altro dato come sia stata una battaglia, giocata sui nervi, fino all'ultima goccia di energia. L'intensità degli scambi e la violenza dei colpi da fondo campo fanno passare in secondo piano il fatto che abbiamo annotato più errori gratuiti che colpi vincenti. Incredibili il quarto e quinto set. Djokovic è stato più regolare e incisivo con il dritto a sventaglio. Rispondendo spesso in modo efficace al servizio di Nadal. Statistiche. Che per una volta possono essere messe da parte. Se il buongiorno si vede dal pattino quest'anno ci sarà da divertirsi. Djokovic-re è sul piedistallo, Nadal e Federer cercheranno lo scacco.

Djokovic batte Nadal nel più lungo match del Grande Slam

Gianni Clerici, la repubblica del 30.01.2012

Desideroso di otte n e re una conferma del mio pronostico, favorevole a Nole Djokovic, mi sono recato, prima della finale, a China Town, dove si svolgeva l'ultima giornata del Capodanno Cinese, tra apparizioni di dragoni e scoppi di mortaretti. Un amico di qui, Giancarlo Giusti, mi aveva organizzato un incontro con la più celebre delle cartomanti, Lu Su Yang, che, pare, azzecca i190 % dei pronostici. L'indovina ha cominciato col chiedermi le date di nascita dei due finalisti, e, saputele, ha osservato che Nadal, del 1986, era rappresentato dalla Tigre, eDjokovic, 1987, dal Coniglio. Venuta poi a sapere i rispettivi giorni di nascita, ha rigirato il fondo di una tazza fitta di foglioline misteriose, per osservare «tu pensi forse che la tigre possa sbranare il coniglio, ma questo non avviene, se lui non la lascia avvicinare. E, se la corsa diventa troppo lunga, la tigre può esaurire il fiato, e essere preceduta al traguardo. Tutto dipende insomma dall'usura della tigre». Ritornato allo stadio, dal tetto semichiuso per paura della pioggia, in un giorno intriso di una calura da svenimento, ho ripassato i compiti, ricordando che Djokovic aveva vinto qualcosa come le ultime sei Rata si è ribellato alla sua inferiorità, ma Nole ha saputo batterlo per la 7' volta consecutiva partite, a partire dal torneo di Indian Wells 2011, sia che si disputassero sul duro sull'erba o sulla terra. Con un quoziente, tra l'altro, di quattordici set a quattro. Con simili precedenti qualsiasi tennista di club non sarebbe neppure sceso in campo, o, in altri tempi, avrebbe chiesto un handicap. Non Rafa, che mi spingeva ad ammirare il suo coraggio paradossale, oltre ogni razionalità. Aveva oggi dalla sua, quell'infantile energumeno, un Djokovic non ancora simile al dominatore dell'anno passato, il tennista capace di smani-re sul campo un solo match, prima che i ritiri e gli infortuni issassero il suo passivo a sei partite. Era, il Nadal di oggi, un tennista che giocava per lo più in difesa, costretto a perdere campo ma spesso graziato da un avversario superiore quanto tatticamente cieco, incapace di chiudere a rete gli scambi, e totalmente dimentico della smorzata, colpo che sarebbe divenuto irraggiungibile per un avversario incollato ai teloni di fondo. Il lettore aficionado avrà probabilmente seguito su Eurosport la partita, ritrasmessa da Milano. E, come me, sarà rimasto incredulo di fronte alle umana ribellione di un giocatore che non accetta la propria inferiorità. Nel ripercorrere il punteggio di queste incredibili cinque ore e 53 minuti, si comincia con Djokovic capace di smarrire il primo set in cui era in vantaggio per 5-4 dopo più di un'ora di palleggi estremi. Un Djokovic che tarda a strappare il secondo dopo un vantaggio di 5-2, e 3 vani set point in tre games consecutivi. Si giunge allora a ben due ore e mezza di partita, e pare che quella sorta di involontario rimpiattino abbia fine con il serbo che comandane ttamente sino al 6-2, rendendo felice l'inconsapevole fidanzata, non lontana dal pope Boba, anch'egli in tribuna a invocare la divina grazia ortodossa. Un quarto set che appare ai più definitivo, vede Djokovic incapace di tradurre in vantaggio aritmetico una superiorità trascinata sino al 6 a 5, e smarrita al tiebreak. Gi effetti psicologici della nuova occasione mancata sembrano far sì che Djokovic, incredulo di fronte a una nuova risurrezione dell'avversario, smarrisca concentrazione e direzione di gioco, sinché un errore porta avanti Rafa per 4 a 2. Ma, se appare al fine comandare il punteggio Nadal. Rafa è uno dei migliori giocatori di sempre Stasera abbiamo scritto la storia, ma purtroppo vince uno solo Novak Djokovic Battuto e felice Una battaglia infinita Il match più duro mai disputato. Sono felice: ho giocato alla grande contro il più forte Rafael Nadal 99 non comanda il gioco, ed eccolo raggiunto, a 4 pari. Sono trascorse in quella 5 oree 15 di rincorse, e, dopo uno scambio di 31 tiri Nole si abbandonerà con le spalle al suolo, in apparenza stremato. Ma è questione di un attimo, la maratona continua, con un Djokovic ammirevole non meno di Rafa per il coraggio, ma incapace tatticamente di concludere, al volo, le aperture offertegli dagli scambi dal fondo. Dopo un break propiziato da errori gratuiti di Nadal, Nole mancherà un infantile smash Le statistiche che l'avrebbe condotto al match point, e al fine raggiuntolo, si rivolgerà ai suoi dei con un patetico segno della croce, per poi abbandonarsi a siparietti isterici, mentre il pubblico e molti presunti cronisti vanno scambiando la lunghezza del match e la sua drammaticità per una storica partita. Nell'allontanarmi dallo stadio, non meno estenuato dei tennisti, mi raggiungeva la voce di uno spettatore: «Ma ci voleva tanto, per la settima consecutiva vittoria di Djokovic?»

Djokovic re d'Australia Nadal stroncato dopo 5 ore e 53'

Stefano Semeraro, la stampa del 30.01.2012

Uno stornello rauco che diventa un frammento dell'Iliade, una passeggiata di salute che si trasforma in un viaggio nelle terre estreme del corpo e della mente. Un match prima banale, poi infernale. La più lunga finale nella storia dello Slam (5-7 6-4 6-2 6-7 7-5), 5 ore e 53 minuti, vinta da Novak Djokovic su Rafael Nadal in fondo a un quinto set giocato in equilibrio fra mistica e spettacolo, fra sport e teatrino della crudeltà: Nole che sul matchpoint si fa il segno della croce e invoca aiutini dal dio dei serbi, Rafa che pare una versione muscolata di Santa Teresa d'Avila, una Justine sportiva crocefissa dall'ultima palla-break: «E bello portare al limite il tuo corpo, è bello godere di questa sofferenza». Era solo la finale degli Australian Open, ma è sembrata un romanzo. Una partita smisurata, a cavallo di due giorni. Iniziata all'ora di cena con la catena 5-7 6-4 6-2 6-7 7-5 «Ho passato l'impossibile Ma arrivi a un punto in cui godi persino del dolore» della gloria dei vecchi campioni australiani, da Segman a Laver, schierati dentro l'emozione densa dello stadio, e finita all'una e mezzo di mattina (australiana), con Djokovic che si strappa la maglietta in campo e urla come un Freddy Kruger tornato dall'Oltre tennis. Cominciata a cielo aperto e conclusa indoor, interrotta per dieci minuti dopo 4 ore di gioco per far scorrere il tetto mobile della Rod Laver Arena sotto la pioggia che aveva iniziato a cadere nel caldo opprimente di Melbourne (33 ). In campo c'erano il numero 1 e 2 del mondo (per la terza volta consecutiva nello Slam, non era mai successo), il favorito era Djokovic, che l'anno scorso ha stropicciato tecnicamente e mentalmente Nadal in sei finali, comprese quelle di Wimbledon e degli Us Open. Ma Novak è partito male, teso, con il diritto e il rovescio fuori registo. Il primo, bruttissimo set se l'è preso il Nino, nel secondo e nel terzo il Joker è tornato a pescare le carte vincenti, a dominare con la risposta la seconda di servizio di Nadal, cambiando marcia come Vettel dopo una chicane. Pareva sfiatato, spuntato, Rafa, senza armi. Nel settimo game del quarto set è arrivata la trasfigurazione. Sotto 0-40, Rafa ha ritrovato se stesso, annullando tre palle break e tornando a ruggire come ai bei tempi. Ha allungato il match al quinto set, approfittando di un dritto da matita blu di Novak nel tie-break, e mentre lo stadio impazziva è scattato avanti 4-2, 30-15. Ma stavolta è toccato a lui mettere in corridoio un passante di rovescio facilino, e a restituire il servizio. Nel game successivo uno scambio terrificante ha tolto aria a entrambi, Nole si è addirittura buttato a terra, prosciugato. *** Riemerso dall'apnea ha trovato la forza di brekkare Nadal all'undicesimo gioco, di tagliare la storia infinita con un dritto vincente in quello successivo. I due erano talmente stanchi che durante la cerimonia, li hanno fatti sedere a centrocampo. «Abbiamo fatto la storia, Rafa, stasera meritavi di vincere anche tu», ha buttato lì Nole, raccogliendo la coppa dalle mani del grande Laver. Negli spogliatoi ha abbracciato il suo manager Dodo Artaldi. «Cuore da italiano», gli ha soffiato all'orecchio, prima di tuffarsi nei capelli di Jelena, la sua bionda girlfriend. «Se penso che è stata la finale Slam più lunga della storia - ha continuato in conferenza stampa - mi viene da piangere. Sono orgoglioso di averla vinta davanti a tanti campioni, dopo Wimbledon è il successo più importante della mia carriera. Per prendermela ho sopportato l'impossibile, tutti e due abbiamo usato fino all'ultima goccia di energia. Nel quinto set sentivo che il mio corpo stava cedendo ma ho pensato che lui non stava meglio. È stato atroce, ma sono d'accordo con Rafa: arrivi a un punto in cui godi persino del dolore». Dopo la prima finale sadomaso della storia del tennis, il suo quinto Slam (terzo consecutivo) Djokovic si prenderà due settimane di stop, poi inizerà la lunga rincorsa verso il Roland Garros, il major che ancora gli manca. Può chiudere uno Slam ufficioso - quattro grandi tornei consecutivi - e fare un pensiero a quello vero, che va chiuso nello stesso anno solare. «Può essere l'anno giusto - ha detto - mi sento maturo per Parigi». Una impresa riuscita nell'Era Open solo a Laver, ma sfuggita a Federer e a Nadal. A stopparlo ci proverà proprio Rafa, campione ribattuto ma forse risanato. Qui nel 2009 aveva vinto una semifinale di 5 ore e 16 con Verdasco, l'anno prima aveva stremato in 4 ore e 48 Federer a Wimbledon. Stavolta ha perso la maratona, ma ritrovato il morale «Perdere fa male - ha ammesso - ma ho combattuto alla pari con il n.1 del mondo: nel 2011 non ci ero mai riuscito, Novak lo avevo sofferto mentalmente. Oggi ho reagito come ai bei tempi: con il cuore e con la testa. Se riguarderò la partita? No, è troppo lunga, ma quando 2008, Wimbledon Nadal - Federer (Spa) (SA) 6-4 6-4 6-7 6-7 9-7 Durata 4 ore 48 minuti

Gigante Djokovic con Nadal 6 ore di epica battaglia

Daniele Azzolini, tuttosport del 30.01.2012

Così assurda da far innamorare gli spettatori. Così calda da obbligare alla chiusura del tetto. Così lunga da sperare che non finisse mai. Così pasticciata da sembrare persino logica. Così potente, violenta, energica da sconfinare nel disappunto. Così favorevole a Djokovic da depositarsi d'improvviso nelle mani di Nadal, e poi tornare a Djokovic, ma fra infinite peripezie. Una finale così incerta da consegnarsi alla fine al più meritevole, che non a caso è il Numero Uno. Nole ai prende tutto: il terzo Australian Open, il quinto Slam, la settima vittoria di fila su Nadal, il match più lungo mai giocato in questo torneo, 5 ore e 53 minuti, la finale più lunga in uno Slam. Ma è stato uno scontro così palpitante, epico, inverosimile, da far venire i lucciconi al vincitore. Il nuovo tennis è questo. Se volete è un'affermazione, se preferite è una domanda. Saranno queste le finali degli anni a venire? Zeppe di errori, eppure ammalianti. Metà all'aperto, metà al chiuso, fra caldo e pioggia. Lunghe e persino un po' noiose, all'inizio, poi arrembanti ed eroiche. Finali così valgono il prezzo del biglietto, basta non tentare di comprenderle fino in fondo, perché potrebbero procurare un terribile mal di testa. Sono, in realtà, ossimori agonistici, caratterizzate da elementi, contesti e circostanze in forte antitesi fra loro. Procedono quasi senza logica, affidandosi ai colpi del momento, che per fortuna restano l'essenza del tennis. Sono loro a trascinare i contendenti verso un approdo, uno qualsiasi. E solo quando esso è raggiunto, è possibile tornare indietro e tentare di capire il perché. Ammesso che ve ne sia uno. EQUILIBRIO Il tennis degli ossimori supera quello di Federer. A vedere Djokovic e Nadal si può capire perché il più forte fra tutti sia oggi in difficoltà. Non c'entra l'età, e nemmeno il rendimento. C'entra la ricerca del giusto equilibrio contro avversari che rendono i match squilibrati. Federer gioca secondo logica, su Djokovic e Nadal è il caso di avanzare qualche dubbio. Loro si combattono alla cieca, ed è una sfida senza fine, dove chi ha il sopravvento non è detto che abbia la vittoria assicurata. Loro, i nuovi duellanti, si rialzano d'improvviso dalle cadute, riprendono a combattere con forze rinnovate dopo essere stati ridotti in fin di vita. Li guardi e ti viene in mente il mostro di tanti horror, che quando è stato abbattuto ha un sussulto e si rialza urlando. A vederli, quei due, c'è di che morire dalla paura. E una finale che cancella il passato prossimo, seppure segni la settima sconfitta consecutiva di Rafa. Nadal l'ha combattuta con armi tecniche meno affilate di quelle di Nole. Fra i due continua a esserci la differenza di un colpo. Djokovic ha due lati per portare l'affondo, con il dritto da posizione regolare e ancora con il dritto dalla parte del rovescio. Sapete come fa, no? Punge con il colpo bimane finché l'altro non accorcia, quindi si porta svelto sul dritto, quasi aggirando la pallina, e da lì spazzola le righe laterali. Nadal ha solo il dritto che fa male, sia pure da posizione mancina. Ma supplisce con la corsa, con l'abnegazione, e lavora una quantità di pallettoni che ci si potrebbe tirare giù una palazzina. Indispensabile è stato vincere il primo set, strappato a Djokovic in un doppio assalto. Due break, il primo recuperato, il secondo, sul 6-5, decisivo. Lì Noie ha dovuto rimettersi in gioco. Ha capito che non sarebbe stata una partita come quelle dell'anno scorso, nelle quali Nadal accettava l'esecuzione. Occorreva riprendere svelto il comando delle operazioni, e con qualche sussulto e non pochi ululati di rabbia Noie vi è riuscito. Sembrava fatta, ma nel quarto Nadal non si è disunito. E ha trovato prima la rimonta, sul 4-3 e 0-40 (l'ultimo game all'aperto, prima che il tetto fosse sigillato), poi le giuste direttrici per aggiudicarsi il tie break. SPORTELLATE Anche il quinto set è sfuggito a ogni logica. Nadal è andato 4-2, ma si è disunito sulle ripetute spinte di Djokovic. Ci sono nuovi modi per dirlo? Si, i due hanno fatto a sportellate. Djokovic ha avuto via libera sul 5 pari. Fatto il break ha chiuso esplodendo in salti e in urla. Si è strappato la maglietta mostrando il petto, si è fatto ripetutamente il segno della croce, ma aveva gli occhi infuocati di un dio pagano. Eppure, la sensazione forte, dopo 6 ore di tennis, è che non sia finita qui. «Mi sono sentito di nuovo vicino a Noie«, dice Nadal. «Abbiamo fatto la Storia«, risponde Djoko. I Duellanti continueranno a duellare.

Ha vinto Djokovic Non ha perso Nadal

Marco Lomabrdo, il giornale del 30.01.2012

In cinque ore e cinquantatré minuti la vita può cambiare tante volte. E quando, passata l'una e mezza di notte di Melbourne, sono cominciati i discorsi di rito, Rod Laver aveva gli occhi lucidi mentre gli eroi del tennis che avevano appena vissuto la finale più lunga di sempre, erano stremati e accasciati su due sedie in mezzo al campo per riuscire ad ascoltare i discorsi di rito prima della premiazione. In quel momento aveva appena vinto Djokovic, ma in fondo non aveva appena perso Nadal. E solo che la vita gli era cambiata in un attimo, ma questa volta nel modo sbagliato. La finale dell'Australian Open che è diventata storia, quella delle centesima edizione, quella che ha battuto tutti i record degli Slam, è il classico esempio che il tennis è uno sport crudele: dopo una serie di break e controbreak, dopo che troppe volte il match era stato dato per risolto, dopo che si era perfino chiuso il tetto per colpa della pioggia (mai visto in due settimane di estate australiana), dopo che Rafa è stato pure 4-2 in vantaggio nel quinto set, dopo insomma 368 punti complessivi, ne è bastato solo uno, il trecento sessantanovesimo - quello dell'unico match point - per decretare il vincitore. E per confermare che Novak è una vera maledizione per Rafa. Questa insomma è la storia del tennis maschile attuale: il numero uno che soffre il numero tre che soffre il numero due. Un triangolo Djokovic-Federer-Nadal che ha il serbo come vertice ma che non ha mai un finale scontato. Anche adesso che Novak vince quasi sempre, rigenerato forse anche da diete e barrette talmente personali da doversi celare dietro un asciugamano durante i cambi di campo per non farsi rubare il segreto (immagine finita su Face-book per allietare gli amanti della dietrologia). Tutto funziona però: 7-5 al quinto con Murray in semifinale e 7-5 al quinto - e che quinto -con Nadal. Per ulteriori spiegazioni meglio citofonare al suo mental coach. E quindi la stagione del tennis ricomincia con un match epico che resterà per molto negli occhi di tutti: l'ultima volta fu quando Nadal battè Federer9-7 al quinto a Wimbledon nel 2008, ma allora si usava il fioretto pesante, qui è stata questione di clava. Una partita che poi ha fatto dire a Nadal - che alla fine del quarto set, dopo aver conquistato il tie-break, si è buttato a terra come se avesse vinto - «ricorderò per sempre questo match anche se ho perso» e a Djokovic «spero di giocarne ancora molte di finali così». Forse mentivano un pochino, ma a quel punto la fatica era dimenticata e restava solo l'adrenalina pura. Insomma, ha concluso poi Novak, «abbiamo fatto la storia del tennis ed è un peccato che non ci possano essere due vincitori». Ed è questa la grande verità. anche se tutte le cifre confermano che in questo momento lui è il migliore, se è vero pure che nessuno prima aveva perso tre finali dello Slam di fila e per questo Nadal sa chi ringraziare. Djokovic, appunto, arrivato al quinto major della carriera, e che assomiglia sempre di più a Hulk, così come ha esultato dopo il punto finale. Uno che ha la forza di sapersi migliore. Rafa invece ha negli occhi lo stesso orgoglio di una volta ma non le stesse certezze, non sembra più lui, in pratica, eppure è stato fi ad un punto dal prendersi la partita. Ed è questo quindi il verdetto della finale più lunga: dopo cinque ore e cinquantatré minuti sotto il tetto di Melbourne la vita all'improvviso è cambiata. E tutto è rimasto uguale a prima. 

La paura e la fiducia, Nole vuole la leggenda

Claudio Giua, repubblica.it 30.01.2012

Mettetevi nei panni di Rafael Nadal: in poco meno di cinque anni, da metà 2006 a fine 2010, solo sette sconfitte con Novak Djokovic contro sedici vittorie. Per lui, allora, il serbo non era un osso più duro di altri. Poi, nel 2011, sei finali perse di fila, tra le quali i due ultimi slam, Indian Wells, Miami, Madrid, Roma e, appunto, Wimbledon e New York. Sedici successi contro tredici, dunque, e adesso il rischio di perdere tre slam consecutivi con lo stesso avversario - un record negativo senza precedenti - e di trovarsi Nole a quota quattordici. 

Ecco, mettetevi nei panni di Rafa e immaginate come si sentiva alla vigilia della finale degli Australian Open: timore di soffrire, con Djokovic, della "sindrome di Federer" quando contro di lui lo svizzero entrava in campo attanagliato dal terrore di non farcela; fiducia, al termine del bel torneo disputato a Melbourne, nella chance di interrompere la serie negativa; voglia di dimostrare che nel 2012 potrebbe tornare numero 1 del ranking ATP; paura di certificare, con una propria sconfitta, che quel serbo così irriverente è stabilmente il tennista più forte al mondo.

E Djokovic come doveva sentirsi sabato? Da un anno condannato - felicemente condannato - al ruolo di favorito di ogni torneo, sapeva che molti si aspettano da lui un 2012 trionfale, addirittura da Grande Slam dopo che l'anno scorso c'è andato vicino (trionfatore a Melbourne contro Murray, a Wimbledon e agli US Open contro Nadal, fuori in semifinale a Parigi per mano di Federer). Lasciarsi sfuggire ora gli Australian Open avrebbe significato dare un segno diverso alla stagione appena cominciata. Peraltro, venerdì Nole aveva dovuto combattere per aver ragione di Andy Murray, riuscendoci solo al termine di un rocambolesco quinto set. A dimostrazione che è intatta la sua fame di vittoria.

I primi due set, lunghissimi (un'ora e venti e un'ora e sei minuti), rappresentano fedelmente timori e speranze di Rafael e Nole. Concentrati, attenti a tenere bassi i tassi di errore, poco propensi a concedere numeri circensi al pubblico della Rod Laver Arena eppure in grado di esprimere un tennis di eccellente livello. Il numero 1 e il numero 2 al mondo sono separati da un niente di forza, resistenza, intelligenza, tenuta psicologica. Nadal passa per 7-5, Djokovic risponde con un 6-4.

Nel terzo set sale la fiducia di Nole e altrettanto fa la paura di Rafa. Lo spagnolo non riesce più a controllare il gioco con il rovescio in back in attesa di lanciare il vincente. Il serbo invece osa di più, tiene le palle lunghe e cerca sempre gli angoli. Finisce 6-2 in soli 45 minuti.

Paura contro fiducia, un duello tutto intimo che pesa più dei colpi dell'avversario. E che a noi che guardiamo la finale sembra quasi di poter misurare secondo dopo secondo. Soprattutto nel quarto set, quando si capisce che Nadal si libera del timore di sbagliare e pompa il rischio nel proprio gioco. Djokovic si limita a contenere ma sta mezzo metro più avanti dello spagnolo, con i piedi sulla riga di fondocampo. Entrambi tengono il servizio fino al 4-3 per Nole, servizio di Rafa. Il numero 1 decide di attaccare pesante, ha tre palle di break ma vengono tutte annullate da un Nadal disperato. 4 pari e inatteso colpo di scena: comincia a piovere a catinelle. Si deve chiudere la copertura della Rod Laver Arena. Rafa e Nole vanno negli spogliatoi.

Alla ripresa, all'inizio Nadal sembra aver perso la carica agonistica accumulata nel game precedente ma poi ricaccia via la paura e torna ad aver fiducia. Tie-break. Dove l'equilibrio della paura e della fiducia si sposta di nuovo, come un pendolo. Nole sbaglia e non rischia, Rafa fa un paio di miracoli. Soprattutto, conferma di avere nel servizio un'arma finalmente sicura. Si va al quinto set, dopo 80 minuti sosta compresa.

Sesta ora di finale, il serbo appare più stanco e anche sfiduciato, Nadal sente vicina la vittoria che attende dalle Master Finals londinesi del 2010 (7-5 6-2). Paura e fiducia, fiducia e paura. Il pendolo, che non si è mai fermato per tutta la partita, s'arresta dalla parte dello spagnolo, che nel sesto game ha una palla di break, e Djokovic la butta fuori. 4-2 e servizio a favore, la partita sembra segnata: Rafa dovrebbe solo gestire il vantaggio. Invece no, il pendolo torna ad oscillare, a turno entrambi trovano in luoghi nascosti delle loro menti e fisici risorse che non sanno d'avere. Il serbo riesce a ottenere due break rocamboleschi e va a servire sul 6-5. Paura e fiducia, come sempre. La paura di vincere di Nole, la fiducia di poter recuperare di Rafa, che ha una palla break. Nole chiede aiuto Lassù con un plateale segno della croce e arriva il match point. Servizio e sventagliata di diritto, terzo Slam consecutivo ad danni di Nadal. Ora Djokovic può davvero puntare al Grande Slam nel 2012. 

comments powered by Disqus
Partnership

 

Quote del giorno

Non giocherò fino a 40 anni. Se lo facessi dimostrerei di avere grossi problemi.

Maria Sharapova

Ultimi commenti
Blog: Servizi vincenti
Ubi TV

Il fantastico lob di Federer contro Karlovic

Virtual Tour / Fanta Tennis virtual tour logo 2

Il fanta gioco di Ubitennis

La vittoria di Francesca Schiavone a Parigi 2010

Copertine di magazine e giornali