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17/02/2012 15:41 CEST - L'ANALISI

Moravia, una fucina di campioni

TENNIS - La scuola tennistica della Repubblica Ceca è storicamente una delle più raffinate e di successo del panorama europeo. Dopo decenni di egemonia boema, ed in particolare della capitale Praga, con l'avvento di Lendl la Moravia ha preso decisamente il sopravvento: Novotna, Berdych, Kvitova, ma anche Novak, Stepanek, Novacek. Fino all'attuale monopolio nelle squadre di Davis e Fed Cup. Samuele Delpozzi

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La Repubblica Ceca – stato di dimensioni pari a due terzi circa della sola Italia settentrionale, per una popolazione di poco superiore ai 10 milioni – sta confermando in questo inizio di stagione la bontà del proprio movimento tennistico. Una scuola assai raffinata (praticamente impossibile trovare un ceco male impostato tecnicamente, anche ai livelli più bassi), a tratti discontinua nei risultati di assoluta eccellenza, ma alfiere di una tradizione solidissima fin dai tempi più remoti della Cecoslovacchia unita.

A partire dai trionfi dell’occhialuto Jaroslav Drobny, “il professore”, a cavallo tra gli anni 40 e 50, l’ondata di successi si propaga fino a Martina Navratilova – serissima candidata all’impossibile titolo di più grande di sempre – passando per Kodes e la splendida incompiuta Mandlikova.
Questi quattro nomi – capaci di radunare una montagnetta di ben 28 titoli dello Slam in singolare, una catena anche più imponente dei Carpazi o dei Monti Metalliferi – hanno un ulteriore tratto in comune: erano/sono tutti praghesi. In una nazione storicamente boemo-centrica (basti pensare che in lingua natia la Boemia si chiama Čechy!), anche il tennis per molti anni era rimasto cristallizzato sui medesimi equilibri, in orbita attorno alla capitale.

L’altra regione storica, la Moravia, adagiata nel fazzoletto più orientale del paese, fino agli anni 80 aveva raccolto le briciole. A spezzare l’ordine costituito arriva un ragazzone di Ostrava, lungo e magro come uno spinacio, dinamitardo col diritto e ferreo nella volontà: non appena porterà rovescio e servizio ai livelli del terrificante drive, ce ne sarà per pochissimi, per molti anni. Stiamo ovviamente parlando di Ivan Lendl, recentemente omaggiato in un paio di articoli (qui e qui), uno dei più grandi e longevi fuoriclasse dell’Era Open.
L’epopea di Ivan il Terribile, seppur conclusa sotto la bandiera statunitense come la Navratilova, ha il potere di portare sulla mappa tennistica quella terra di miniere e vigneti, regalando ai giovani moravi la speranza di un futuro lontano dai vagoni di carbone. E mentre il filone aureo boemo va via via esaurendosi – l’ultimo Slam è targato Petr Korda, tennista geniale ma fragile come i cristalli della sua regione – i cugini poveri salgono alla ribalta, garantendo alla Repubblica Ceca ben 6 dei 9 top-10 dell’era post-Lendl.

La prima è una biondina di Brno, classe 1968, tocco vellutato ma psiche problematica, come da tradizione cecoslovacca. Al secolo Jana Novotna, forse ultima grande interprete del serve & volley, capace di vincere tutto in doppio salvo sciogliersi sul più bello in singolare. Nel 1998, alla soglia dei 30 anni e con 3 finali Slam fallite sul groppone, ottiene finalmente la sospirata consacrazione nel Tempio: in semifinale strapazza la numero 1 Martina Hingis, ridotta sull’orlo delle lacrime a furia di rasoiate in back e volée inappuntabili, quindi completa l’opera a spese di Nathalie Tauziat, altra attaccante ma in tono minore. La loro finale di Wimbledon, oltre ad essere una delle più “vecchie” della storia per l’età delle partecipanti, resterà probabilmente l’ultima giocata secondo i canoni classici dell’erba.
Per Jana – persona acuta e spiritosa fuori dal campo, forse troppo intelligente per essere campionissima – un meritato risarcimento del dramma di 5 anni prima contro la Graf, concluso in lacrime sull’amorevole spalla della Duchessa di Kent, dopo aver dominato la tedesca fino al 4-1 del terzo.
Con lei festeggia finalmente anche Hana Mandlikova, probabilmente la donna più talentuosa ad aver mai calcato un campo da tennis, sempre respinta nel Tempio nonostante un gioco perfetto per i prati, ma capace almeno di condurre alla vittoria la sua pupilla. A parziale discolpa di Jana & Hana, la sfortuna di essersi imbattute in molte delle più grandi giocatrici di sempre, magari meno dotate tecnicamente ma più solide nella psiche: Evert, Navratilova, Graf, Seles, Hingis, le sorelle Williams, solo per citare le più celebri.

In campo maschile, negli anni 90 si fa largo a suon di sportellate anche un giovanottone di Prostejov, Karel Novacek. Fisico prestante, mano quadrata ma tanta potenza, Novacek può essere considerato una sorta di “Mano de Piedra” ante litteram, seppur dotato di un braccio decisamente meno sensibile rispetto a Gonzalez. Come il cileno ha però nel picchiaduro la tattica prediletta (quando non proprio l’unica), e nonostante un palmarès più ricco sulla terra battuta, coglie sul cemento di New York il risultato più prestigioso della carriera: nel 1994 viene fermato solo da Michael Stich, alle soglie della finale. Al Roland Garros centra invece i quarti in due occasioni, l’ultima nel 1993 quando dissipa due volte un set di vantaggio contro Krajicek.
Il suo curriculum resta comunque di tutto rispetto, forte di un best ranking al numero 8 e del titolo di Amburgo conquistato nel 1991, anno in cui si qualifica anche al Masters di Francoforte. Il sipario cala un po’ tristemente nel 1995, quando assieme all’amico Wilander viene pizzicato per positività alla cocaina, frutto di qualche alzata di gomito in discoteca.

Ma se Novacek è forza bruta, Jiri Novak si distingue invece per compostezza e fluidità nei gesti. Nato a Zlin, Moravia meridionale, nel 1975, questo placido erede di Gattone Mecir – al quale è accomunato dall’apparenza sorniona in campo – si mette subito in luce per il gioco completo ed armonioso, privo di veri punti deboli, illuminato da un rovescio bimane squisito.
Nato specialista del doppio a fianco del connazionale David Rikl, con il tempo Novak inizia a prendere coscienza anche delle proprie potenzialità da singolarista: nel 2002, anno dello zenith, tocca la posizione numero 5, frutto delle semifinali all’Australian Open e di un eccellente rendimento nei Masters 1000 (finale a Madrid indoor, semi a Roma e Toronto). A fine stagione lo troviamo anche tra i migliori 8 a Shanghai, dove però viene estromesso nel round robin.
Ad impedirne la consacrazione a campione, il gioco un po’ leggerino e, soprattutto, una carica agonistica non proprio discendente da Jimmy Connors. Una volta raggiunto il benessere economico, poi, un certo imborghesimento contribuirà ad annacquarne ulteriormente il temperamento già tiepido.

Arriviamo quindi ai giorni nostri. Il quartetto di Davis che ha appena sconfitto l’Italia ad Ostrava è interamente moravo: Tomas Berdych, Radek Stepanek ed i rincalzi Rosol e Cermak. Loro corregionale è anche il capitano dalla pettinatura funky, quel Jaroslav Navratil già coach privato di Tommasone.
Berdych, come gli appassionati ben sapranno, è anche uno dei giocatori più caldi del momento, fresco di titolo a Montpellier e quarti in Australia. Giunto ad un passo dalla top-5, il gigante di Valasske Mezirici sembra avere ambizioni anche maggiori per il suo futuro. Magari uno Slam, chissà. Come al solito, l’incognita è la testa.

Radek Stepanek da Karvina, città mineraria al confine con la Polonia, è invece il gemello (brutto e) cattivo di Jiri Novak, del quale è erede per fluidità e raffinatezza delle trame. Come il connazionale è anche esploso relativamente tardi in singolare, forse non del tutto certo di poter realmente sfondare senza un partner al fianco. Tra i maggiori successi ricordiamo i quarti a Wimbledon, l'ingresso in top-10 e l'inusitato matrimonio con la Vaidisova, dopo una chiacchierata liaison con Martina Hingis.
Il suo ghigno luciferino ed il temperamento istrionico – basti ricordare la pittoresca “Worm dance”, sfoderata nelle migliori occasioni come una buona bottiglia di Barbaresco – lo rendono però lontano anni luce dal placido Jiri, tutto casa e famiglia.

La squadra femminile di Fed Cup, che ha sollevato la coppa lo scorso autunno a spese della Russia, ha invece in Petra Kvitova la sua architrave. Campionessa del'ultimo Wimbledon, 13 anni dopo la Novotna, ha un avvenire da numero 1 assicurato. E chissà che la rivalità con la Azarenka non si riveli una delle migliori del nuovo decennio.
Il suo gioco, mancino, dalla potenza devastante ma non privo di tocco, è capace di innalzarsi a vette sconosciute alle rivali, ma anche di inabissarsi in un oceano di errori non forzati. Continuità, la parola d’ordine per il futuro.

Compaesana di Petra – di Bilovec, cittadina industriale della regione di Ostrava – è anche la forte doppista Kveta Peschke, giunta alla sua ultima stagione da professionista all’alba dei 37 anni. Singolarista più che discreta negli anni che furono, la signorina Hrdlickova (il cognome da nubile) si è tolta le maggiori soddisfazioni in coppia, conquistando Wimbledon e prima piazza mondiale nel 2011 con l’aiuto di Katarina Srebotnik. Gli appassionati italiani forse la ricorderanno anche per essersi qualificata al Masters di doppio nel 2006 assieme alla nostra Schiavone.

Altra mancina è la numero 2 nazionale, quella Lucie Safarova nota per essere stata la storica compagna di Tomas Berdych fino allo scorso anno. Scaricata per una modella assai più appariscente, “Lucka” dagli occhi blu è in cerca di rivincite, a partire da questa settimana: ieri a Doha ha fulminato l’ex numero 1 Wozniacki a suon di diritti sfreccianti, ed analogo trattamento ha riservato oggi alla Kuznetsova.
Sorta di mini-Kvitova, la 25enne di Brno ha le stesse doti di colpitrice dell’illustre connazionale – servizio velenoso, diritto folgorante, palla piatta e pulitissima, grande facilità – ma ne reca amplificati i difetti: nelle giornate positive, in media quattro-cinque all’anno, può spazzare via chiunque. In tutte le altre le righe del campo diventano un vezzo puramente ornamentale.

L’unica goccia boema nel mare moravo della Fed Cup è rappresentato da un’altra Lucie, la Hradecka. Quadrumane praghese, buona singolarista e dotata di grande vigoria, ha portato il punto decisivo nella finale di Mosca, schierata in doppio al fianco della Peschke. In coppia con la Hlavackova ha conquistato anche il titolo all’ultimo Roland Garros.
Resta comunque un po’ poco per la storica fucina del tennis patrio, incapace di sfornare una top-10 dai tempi di Helena Sukova, fatta eccezione per il grande talento precocemente sfiorito della Vaidisova.
In attesa di un possibile rientro della bella Nicole – Stepanek, il marito, ha confermato che è tornata ad allenarsi – la Boemia per ora sta alla finestra, dovendosi accontentare degli scampoli di gioco offerti dalle varie Zakopalova e Benesova.
In questo momento è più che mai la Moravia, l’ex sorella povera, il grande serbatoio del tennis ceco. Oggi ed anche nell’immediato futuro, in attesa che la ruota giri nuovamente.
 

Samuele Delpozzi

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