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23/02/2012 10:45 CEST - approfondimento

Robin, un bacio è come un pugno

TENNIS - La mononucleosi sta mettendo a serio rischio la carriera di Soderling. Fermo dallo scorso luglio, le probabilità che torni ai suoi livelli diminuiscono sempre più. Sarebbe una grave perdita: seppur non un campione, Soderling è stato il grande iconoclasta del decennio, l'autore delle sorprese più memorabili durante il regno Federer-Nadal. Riccardo Nuziale

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Baciami, stupido!
In quanti, nel 1964, avrebbero venduto la casa (con moglie annessa) per dieci secondi di effusione con Kim Novak, protagonista dell’immortale commedia di Billy Wilder, uno dei film da salvare in caso di catastrofe apocalittica (guardatelo, guardatelo, guardatelo. E se lo conoscete già, riguardatelo)?

Ebbene, di baci galeotti il mondo del tennis ne è pieno, e negli ultimi anni “di moda” tra i protagonisti della racchetta c’è la cosiddetta malattia del bacio, sua spossatezza mononucleosi. Che ha in pratica consigliato a Mario Ancic di passare ad altro nella vita, che nel 2008 fece preoccupare i tifosi di Federer, comunque colpito da una forma lieve, che ha fatto compagnia in tempi più recenti ai giganti americani Roddick e Isner, anch’essi comunque senza grandi conseguenze.

Grottesco sarebbe se proprio la malattia del bacio dovesse stroncare il grande iconoclasta del tennis recente, colui che non è certamente associato alla delicatezza e alla dolcezza. Il vikingo dal dritto che uccide, Robin Soderling.
Come già prontamente riportato dal nostro Vanni Gibertini, la mononucleosi sta mettendo a serissimo rischio la carriera dello svedese, che non riesce a superare la malattia completamente: quando va bene riesce a fare sedute di allenamento di 30-40 minuti, quando va male è costretto al riposo completo.

Il ritiro di Soderling non sarebbe perdita da poco. Non certo esponente del tennis bello e tecnicamente ineccepibile (come dimenticare ad esempio quell’apertura di dritto di 360 gradi?), lo svedese è comunque un tennista di peso, in tutti i sensi: nel gioco, nella presenza, nel ruolo che ricopriva tra i top player.

Come detto, Soderling non è stato un predestinato, anzi è esploso decisamente tardi: classe 1984, fino al 2009 non sembrava nulla di eccezionale, ottimo giocatore da superfici rapide (tanto che le prime nove finali le ha giocate tutte indoor), estremamente potente e capace di impensierire chiunque se in giornata, tanto che nel 2007 a Wimbledon quasi gli riuscì la rimonta da due set sotto contro Nadal, nella celeberrima partita dell’imitazione della smutandata dello spagnolo; ma in generale l’impressione era che non potesse ambire a un ruolo diverso da quello di sporadico outsider. Negli Slam non era mai andato oltre il terzo turno, nei 1000 un paio di quarti…insomma poca cosa, sebbene finì il 2008 al numero 17.

Poi arrivò il Big Bang, la caduta della mela, l’avvento del sonoro, il primo film in Technicolor (quel magnifico colore rossastro…rosso come la terra): Roland Garros 2009.
L’avvento dell’iconoclasta del tennis degli anni duemila. Detto e ridetto mille volte, ma repetita…oltre al già citato terzo turno di Wimbledon 2007, Soderling e Nadal si erano affrontati due volte, entrambe sul rosso, a Parigi nel 2006 e a Roma poche settimane prima. Ovviamente cinque set a zero per lo spagnolo, che nella nostra capitale lasciò la miseria di un game al vikingo dal dritto che uccide. Arrivati così ad affrontarsi nuovamente sul Centrale di Parigi, regno incontrastato di Nadal, ci si aspettava l’ennesima, tranquilla sentenza dell’allora numero 1 del mondo, i cui primi tre turni erano stati una prosecuzione dell’edizione 2008, una vittoria imbarazzante dietro l’altra. Non fu così. In quella che rimane la più grande sorpresa del decennio tennistico (e tra le più grandi dello sport tout court), Soderling giocò la partita perfetta, sorprendendo Nadal con un gioco martellante che lo costrinse ad una strenua e perdente difesa. Nemmeno la vittoria del secondo set e il break d’apertura nel quarto diedero ossigeno a Rafa, che dovette cedere il match e l’imbattibilità sul rosso del Roland Garros. Quella sconfitta, come ben noto, rimane tuttora l’unica subita da Nadal a Parigi.

Robin non si fermò e sconfisse anche Davydenko e, in una semifinale tra randellatori fotonici (che ora sa terribilmente di amarcord), Fernando Gonzalez. Dal non aver mai saputo andar oltre un terzo turno, Soderling si trovò a vivere la prima finale Slam, per giunta sulla terra. Lì dovette cedere alla sete di eternità di Federer, che cercava il Career Grand Slam, ma a Parigi sarebbe tornato ben volentieri l’anno dopo.

Il 2009 si concluse con sempre maggior consapevolezza, con gli ottavi a Wimbledon e i quarti di New York (sempre fermato da Federer), il primo Master della carriera, dove sconfisse nuovamente Nadal e arrivò fino a una lottatissima semifinale, persa con Del Potro, e la classifica mondiale che lo vedeva ottavo a fine stagione. Il grande salto di qualità era stato compiuto.

Il 2010, sebbene meno prorompente d’impatto, fu addirittura migliore quanto a risultati, con il primo (e finora unico) 1000 della carriera, a Bercy, la doppia semifinale Indian Wells-Miami, i quarti di finale a Wimbledon e New York, la quinta posizione mondiale a fine anno. Ma anche quell’anno la paginetta di storia (e che paginetta) Soderling la scrisse sulla terra del Roland Garros. Perché se iconoclasta è stato – è lo è stato – almeno lo è stato in modo democratico: quando ancora vigeva il duopolio Federer-Nadal, ha prima “ucciso” l’uno, poi l’altro. E se l’anno prima aveva provocato il terremoto dando a Nadal il più grande shock in carriera, nel 2010 pensò bene di far pagare a Federer quanto donato in precedenza. Il prezzo? Ma è ovvio, la striscia record di semifinali Slam consecutive, che lo svedese, grazie alla vittoria nei quarti in quattro set, fermò a 23. Non una vittoria iconoclasta come quella dell’anno precedente (è vero, quella rimane l’unica vittoria di Robin su Roger in diciassette incontri e quello interrotto è probabilmente il record di Federer più impressionante, ma la vittoria 2009 su Nadal rimane tuttora un unicum e l’aura d’imbattibilità sul rosso dello spagnolo all’epoca era quasi sacra), ma comunque evidenzia quanto Soderling potesse essere importante come fattore destabilizzante in un periodo in cui la stabilità di risultati è quasi assoluta.

Il 2011 sarebbe stato l’anno della consacrazione definitiva? Difficile dirlo, onestamente difficile pensarlo. Perché se è vero che in sette mesi vinse quattro tornei (Brisbane, Rotterdam, Marsiglia e Bastad, memorabile l’inizio di collaborazione con Claudio Pistolesi), è altrettanto vero che i grandi appuntamenti li fallì più o meno tutti, riuscendo solo a piazzarsi con regolarità: in Australia ottavi (facendosi colpevolmente sorprendere dal folletto genialoide Dolgopolov), al Roland Garros quarti (dando l’ennesima rivincita a Nadal dopo la finale 2010), a Wimbledon terzo turno, sorpreso da Tomic dopo aver battuto di un soffio Hewitt, nei 1000 al massimo quarti. Soderling non è (stato?) un campione (non ha mai vinto grandissimi tornei e non ha mai vinto partite di livello assoluto contro i più forti quando quest’ultimi erano “preparati”), bensì appunto un iconoclasta, una scheggia impazzita, la potenziale causa dello shock da prima pagina.

Buffo: le ultime due partite finora giocate sono la semifinale e la finale sulla terra amica di Bastad dello scorso luglio, dove maciullò Berdych e Ferrer (6-1 6-0 e 6-2 6-2)…potrebbe ritirarsi con due schiaccianti vittorie su top ten come ricordo.

Ma sperando vivamente che ritiro non sarà, non saranno certo quelle due vittorie il ricordo ultimo e indelebile della sua carriera, bensì quella volee che accompagnò la pallina nel corridoio che porta all’immortalità. E quel gesto subito dopo, come a dire: “Ma no, non ho fatto niente”.

Riccardo Nuziale

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