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29/03/2012 12:37 CEST - Rassegna nazionale

"Arbitro, cacci mio padre" (Lombardo) Errori, pause e stanchezza: fuori le sorelle Williams (Crivelli). Da Nadal e Murray un allarme per il tennis (Semeraro)

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«Arbitro, cacci mio padre» Se i figli non ne possono più (Marco Lombardo, Il Giornale, 29-3-2012)

Scusi, arbitro: quel signore mi infastidisce. So che è mio padre ma continua a disturbare. Voglio che abbandoni lo stadio ma so che questo non awerrà». Infatti: è impossibile sfuggire a un padre, soprattutto se fai il tennista. E Bernard Tomic, australiano di belle speranze, ne ha pure pagato le spese: impegnato a Miami in uno dei tornei più importanti della stagione, ha subito una penalità durante il suo match per i continui suggerimenti non richiesti ricevuti dalle tribune. Perché il padre naturalmente non se n'è voluto andare e continuava a dare ordini. Insomma lo sport è il vertice di un problema vecchio come il mondo. In particolare il tennis, dove di padri padroni -soprattutto in campo femminile - è pieno il circuito. Ma in fondo poi basta andare in qualsiasi campetto di periferia per vedere genitori ululanti, soprattutto di sesso maschile, aggrappati alle reti intorno ai campi dove i propri figli rincorrono palloni e le speranze di chi li ha messi al mondo. Lo ha spiegato Andrè Agassi, altra tennis star, nel suo bellissimo libro Open (...): il rapporto padre-figlio non è sempre facile, soprattutto quando il figlio non può ancora capire e il padre non ha ancora raggiunto una vera maturità. E lo scontro tra due calamite della stessa polarità e i casi più eclatanti avvengono di solito sotto i riflettori: il cinema è un altro esempio in cui i figli d'arte spesso sono il risultato di rapporti difficili e dove la fuga da responsabilità troppo grandi finisce per disgregare famiglie. Michael Douglas per anni ha detestato suo padre Kirk, Kiefer Sutherland - il protagonista del serial culto 24 e, oggi, del bellissimo Touch (la serie thriller basata proprio sul rapporto difficile tra un padre vedovo e il figlio autistico) - a lungo non ha rivolto parola a papà Donald. Storie spesso condite da alcol, droga e rancori. Claudio Risè, nel suo libro llmestieredi padre, scrive che ' l'amore nel rapporto padre-figlio si colora così, fatalmente, di aggressività e di ribellione al padre. E molto duro per entrambi, ma è necessario che accada». (…)
Poi c'è il tennis, e lì forse è davvero un'altra storia: Bernard Tomic ad esempio alla fine ha perso la partita e chissà come è finita con papà negli spogliatoi. Anche se poi, in realtà, il tempo cambia molte cose e spesso aggiusta i cocci. (…) Alessandro Gassman racconta che «tra i 15 e i 18 anni i ragazzi sono bombe ormonali, confusi, ribelli per principio. Ho attraversato un periodo difficile, doloroso e oggi, a posteriori, devo riconoscere che mi ha salvato la severità di mio padre Vittorio». Al quale ha dedicato il suo primo film da regista Roman e il suo cucciolo, incentrato proprio sul rapporto padre-figlio. E grazie al quale «sono diventato un padre rompiscatole: voglio che mio figlio paghi le tasse e sia responsabile». Chissà che litigate.

Errori, pause e stanchezza: fuori le sorelle Williams (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport 29-3-2012)

Ciao ciao sorellone Williams. Adesso vi serve una lezione di polacco. La rediviva Wozniacki, seppur danese, è figlia di immigrati e riceve consigli e qualche urlaccio nell'idioma natio dal papà-allenatore Piotr quando Serena, che era sotto 6-4 5-1, arriva fino al 5-4; la nerboruta Radwanska, della Polonia è un orgoglio nazionale, perché nessuna tennista di quelle parti prima di lei aveva vinto un torneo Wta. Agnieszka, numero 4 del mondo, è troppo potente e troppo fisica per Venus, reduce da sei mesi di stop e da tre partite nel torneo chiuse al terzo set. Così, dopo qualche sprazzo da bei tempi andati, le Williams salutano in coppia, nei quarti, il cemento di Miami, che è quasi casa loro: insieme, ne hanno portati a casa otto (cinque Serena, tre Venere). Con le sorelle, il circuito acquista in competitività e glamour, ma il tempo passa senza tenere conto delle glorie acquisite e le troppe soste, forzate dagli infortuni, rendono sempre più difficile recuperare. Perché, alla fine, nonostante il valore delle avversarie, le Williams hanno perso per sfinimento. Venus, che non giocava un torneo dagli Us Open, ha la sindrome di Sjoegren ed è diventata vegetariana («Ma ogni tanto sgarro...»), in Florida è stata eroica, giocando tre match consecutivi di più di due ore (e nel terzo turno ha pure annullato un match point alla Wozniak).

Così, contro la polacca, con cui aveva vinto le ultime cinque volte, ha cercato di accorciare gli scambi nel primo set scendendo spesso a rete, ma dopo aver regalato il break del 4-3 con un doppio fallo e quindi il set, nel secondo si è sciolta, come dice lei, «mentalmente». Ora, da 134 che era, salirà attorno al numero 90, non troppo lontano da quel magico 68 che dovrebbe garantire la qualificazione olimpica, l'obiettivo neppur troppo celato della stagione. Piagata Quanto a Serena, che era ferma dall'Australia, le sue parole sono la fotografia più sincera del momento: «Ho giocato al 20 per cento, ho commesso troppi errori (36, ndr) e, alla mia età e con la mia esperienza, è una cosa imbarazzante. Certo, contro di me tutte giocano la partita della vita».

Ecco, dopo aver vinto i tre precedenti (e l'ultimo, agli Us Open, quasi umiliandola), la minore delle Williams forse non si aspettava una Wozniacki improvvisamente rifiorita. Caroline, che sembra aver superato lo choc della perdita del numero uno (è scesa al 6) e le eterne discussioni sulla possibilità che vinca uno Slam, è tornata a giocare come il robottino che era, tutta gambe, ritmo e recuperi impossibili, finendo per stroncare il molosso Serena, che nel secondo set ha chiuso qualche scambio piegandosi in due sulle gambe. La danese rilancia, con rispetto: «Alla fine il lavoro paga, sapevo che sarei tornata ai miei livelli. Serena stanca? Nel secondo set, ero sopra 5-1 e lei ha avuto la forza di risalire fino quasi a raggiungermi (…)

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Da Nadal e Murray un allarme per il tennis (Stefano Semeraro, lastampa.it)

C’è una vecchia battuta di Winston Churchill, in risposta a chi gli chiedeva quale fosse il segreto della sua longevità: «Lo sport. Non l’ho mai praticato». Il vecchio statista, un genio dell’aforisma sapido, non aveva tutti i torti. Lo sport, quello professionistico, fa male, non sempre ma spesso, perché costringe il corpo degli atleti a sforzi estremi, a volte disumani: se pensate al Tour de France, alle patologie da trauma cranico nel football americano e nella boxe, a Gabriel Batistuta che dopo una carriera di infortuni stenta quasi a camminare, o semplicemente all’ultima finale degli Australian Open e alla lotta contro il dolore che ha richiesto a Djokovic e Nadal, non faticherete a consentirne. L’ultimo allarme, un doppio allarme, arriva proprio dal tennis. Dopo il caso Muamba, il calciatore del Bolton rimasto in arresto cardiaco per 78 minuti, che ha scampato solo grazie alla tempestività e alla professionalità dei soccorsi in campo la tragica sorte capitata al pallavolista Vigor Bovolenta, Andy Murray ha infatti invocato più controlli cardiaci per i tennisti. «Il circuito campa sullo spettacolo che diamo noi atleti. Esami obbligatori negli Usa ci sono già a livello di scuola superiore, basket e football sono all’avanguardia, non vedo perché non dovremmo averne anche noi professionisti. Più prevenzione significherebbe anche una riduzione dei costi, tutti ci guadagnerebbero».

Saggio Andy, che parla come una campagna pubblicità-progresso, e molto a favore dei colleghi meno danarosi, quelli che galleggiano nelle posizioni più remote della classifica e che non hanno i soldi necessari a sostenere con frequenza esami specialistici molto sofisticati, visto che i vizi cardiaci congeniti che sono all’origine della maggioranza dei casi di seri malori in campo non sono facili da individuare. Decisamente meno letali ma molto dolorosi e difficili da sconfiggere sono i problemi alle articolazioni che invece da molti anni tormentano Rafa Nadal. L’ex-number one ha perso anni di gare per i guai al ginocchio che puntualmente anche quest’anno si sono ripresentati, a partire dagli Australian Open, dove Rafa ha rischiato addirittura di non poter giocare. Nadal ora è impegnato a Miami, dopo il match con Nishikori ha ribadito di sentire ancora dolore. «Prima di Indian Wells ho fatto delle iniezioni, tutto sembrava andare meglio, ma questa settimana la situazione è peggiorata, il ginocchio mi fa davvero male. I trattamenti non mi hanno giovato un granché, io cerco di gestire la situazione al meglio».

Nadal ha annunciato che non giocherà la Davis per non rischiare un infortunio più grave; certo che affrontare il clou della stagione – anche olimpica – in queste condizioni non è il massimo. Rafa ha ventilato le dimissioni dal board dell’Atp in aperta rottura con chi – leggi: Federer – secondo lui non si preoccupa abbastanza dei danni che un calendario troppo fitto di impegni può creare a chi ha un fisico più incline agli infortuni di quello del Genio di Basilea. Federer, fra l’altro, si è lamentato del fatto che raramente gli arbitri fanno rispettare i 25 secondi di riposo massimo fra un punto e l’altro, e anche su questo punto Nadal, che notoriamente impiega parecchio a servire, si è un po’ offeso. «Ma dopo scambi come quelli che abbiamo giocato io e Djokovic in Australia vi sembra che 25 secondi siano sufficienti a prendere fiato? Le regole vanno rispettate, ma anche applicate con intelligenza». Difficile, in questo caso, dargli torto.

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