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30/04/2012 16:51 CEST - Personaggi

Il campione che non toccò mai terra

TENNIS - Negli anni Ottanta e Novanta molti grandi campioni ebbero un problema chiamato terra: ne sanno qualcosa ad esempio John McEnroe, Stefan Edberg, Pete Sampras. Ma per Boris Becker fu davvero un incubo. Luca Pasta
 

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Gli anni ottanta e novanta erano tempi nei quali le superfici sulle quali si giocava a tennis erano davvero diverse tra loro. Ben lontana era la realtà odierna, caratterizzata, se si vuole usare un'iperbole, da quella che amo chiamare cementerba, un termine che estremizza quella che è comunque una realtà: un cemento che in molti casi è lento e dà luogo a rimbalzi molto alti (basti pensare agli Australian Open e ad Indian Wells), una terra che, non ovunque, ma in luoghi fondamentali come Roland Garros, è stata resa in combinazione con un certo tipo di palle molto più veloce, per finire con la mitica erba di Wimbledon divenuta molto più lenta, al punto tale che oggi sui courts londinesi non è poi così facile assistere al serve and volley e agli scambi brevissimi di un tempo. In quei gloriosi tempi, le quattro canoniche superfici del tennis rappresentavano davvero quatto mondi diversi, ciascuna con i suoi segreti ed i suoi specialisti.

Ecco allora che alla sindrome erbivora di un Ivan Lendl al quale i prati rimasero per sempre sullo stomaco nonostante due titoli al Queen’s e gli infiniti piazzamenti a Wimbledon, corrispose l’allergia alla terra di grandi attaccanti quali John McEnroe, Stefan Edberg, Pete Sampras e Boris Becker, ognuno dei quali numero uno del mondo, ognuno dei quali vincitore di non meno di 6 titoli del Grande Slam, ma non capaci in quattro di mettere insieme un solo titolo a Roland Garros.

John McEnroe, lo ricordiamo tutti, sfiorò il trionfo a Parigi nel 1984 giocando per due set e mezzo il miglior tennis d’attacco che si sia mai visto su un campo in terra nell’intera storia del tennis. Vinse anche una manciata di titoli sulla terra americana, tra cui due volte Forest Hills, dove rimasti orfani dello Slam americano dal 1977, organizzarono per alcuni anni un torneo a maggio dall’ottimo campo di partecipazione, che nel 1984 vide Superbrat battere Lendl in finale poche settimane prima del dramma di Parigi.

Stefan Edberg non solo vinse tre titoli sulla terra rossa europea, tra cui il prestigioso torneo di Amburgo, ma soprattutto condivide con Mac l’ernorme dispiacere di aver sfiorato ma non vinto Roland Garros, dove nel quinto set della finale del 1989 non seppe dare al Chang assistito dagli dèi di quella edizione il colpo di grazie che probabilmente gli avrebbe inferto se avesse trasformato una delle numerose palle break avute nel quinto set.

Pete Sampras ebbe con gli Internazionali di Francia un rapporto spesso disastroso, raggiungendo solo una semifinale nel 1996, quando, reduce da una terribile lotta con Courier nei quarti, fu spianato dal futuro vincitore Kafelnikov in tre set. Pistol Pete vinse però anch’egli qualche titolo sulla terra, in primis gli Internazionali d’Italia 1994, un titolo sul rosso pur sempre molto prestigioso.

Ma tra gli anni ottanta e novanta vi fu invece un grande campione a cui la terra, sulla quale pure era cresciuto, essendo un europeo continentale, disse sempre di no. Stiamo parlando del mitico Bum Bum Becker, colui che ragazzino stupì il mondo a 17 anni e mezzo vincendo una indimenticabile edizione di Wimbledon. La storia del rapporto tra Becker e la terra è come un romanzo senza il lieto fine.

Il giovane Boris raggiunse un primo notevole risultato sul rosso europeo ancor prima del primo trionfo londinese, infatti a Roma nella primavera del 1985 si fece largo nel tabellone battendo una discreta serie di terraioli prima di cedere in semifinale all’idolo dei romani Yannick Noah, già campione di Roland Garros nel 1983, che lo eliminò per 6-3 6-3. Dopo essere stato spazzato senza pietà a Parigi da Wilander in tre set al secondo turno, Boris entrò di prepotenza nell’olimpo dei grandi con il trionfo di Londra, le sue cannonate piatte di servizio, gli straordinari tuffi con cui si opponeva ai passanti più impossibili, voli da portiere dopo i quali atterrava sull’amata erba del Centre Court che presto cominciò a considerare il suo giardino. Nell’estate americana dell’85 Boris ebbe il primo incontro ravvicinato con Ivan Lendl, in quello che rimarrà l’unico incontro tra i due sulla terra, quella verde di Indianapolis, soccombendo 5-7 6-2 -6-2. Bum Bum continua a crescere, sulle moquette indoor è irresistibile, perde da Lendl una splendida finale in 5 set a Wembley, trionfa sempre al coperto in Davis, raggiunge la finale del Masters giocata all’inizio del 1986.

Con l'arrivo della primavera 1986 e delle terra però ricominciano le difficoltà, anche se raggiunge i quarti a Roma ed a Parigi dove perde contro la scheggia impazzita Pernfors. L’intero 1986, che vede Boris fare il bis a Wimbledon e fare faville nei tornei indoor, si chiude senza null’altro da segnalare sulla terra.

Anche nel 1987 gli inizi sul lento non sono buoni, perde perfino dallo spagnolo sergio Casal in Coppa Davis, sfiancato dalla vittoria al quinto due giorni prima contro Emilio Sanchez. A Parigi però, Boris innesta la marcia giusta: macina tra gli altri Sundstrom, Arias e Jimbo Connors ed arriva alla sua prima semifinale nello slam rosso: purtroppo al di là della rete c’è l’implacabile macchina Mats Wilander, che dopo averlo un poco illuso nel primo set, lo schiaccia con la sua regolarità soffocante lasciandogli tre games negli ultimi due set.

Da quel momento Boris non tocca più terra fino alla primavera 1988. Quel periodo vede Boris prodursi in due buone performance prima ad Amburgo e poi a Parigi, ed in entrambi i casi a fermarlo è un ispiratissimo Leconte, che a Roland Garros lo piega al quinto set di un match molto bello. Dopo le tante avventure sul verde e sul cemento, Becker gioca un’ultimo match sul rosso nel 1988: è un singolare della finale di coppa Davis Svezia-Germania, uno delle migliori partite mai giocate dal tedesco sulla terra che vanamente gli svedesi gli avevano messo sotto i piedi per metterlo in difficoltà: Edberg è disintegrato per 6-3 6-1 6-4.

Si passa così al 1989, cioè a quello che sarà il migliore anno della carriera di Boris, con i trionfi di Wimbledon e Flushing Meadows. Ma è anche l’anno in cui la terra lo illude, lo ammalia, per poi dargli due delusioni terribili. Prima a Montecarlo arriva in finale, dove piegato nei quarti il giovane virgulto Perez Roldan, ne trova un’altro sfornato dall’Argentina in finale: è un giovane omaccione muscoloso di nome Alberto Mancini, che con le sue rotazioni, il suo dritto e la sua pesantezza di palla piega un rabbioso Becker in quattro set. Non contento, il giovane sudamericano vincerà anche a Roma dopo aver annullato ad Agassi un matchpoint in finale.

Dopo una semifnale ad Amburgo, il secondo terribile colpo viene inferto a Boris a Roland Garros; si spinge fino alla semifinale, dopo un’eroico ottavo vinto con Perez Roldan per 7-5 al quinto. E‘ il torneo della rivoluzione, 200 anni dopo la presa della Bastiglia: la giovane spagnoletta Arantxa Sanchez batte l’imperatrice Graf nella finale femminile, mentre in una delle due semifinali maschili, le paludi parigine fanno posto incredibilmente ad una splendida contesa tra due giocatori classici che amano andare spesso sotto rete a miracol mostrare: Boris-Stefan per una volta non è la finale di Wimbledon, ma la semifinale di Roland Garros! Boris va sotto di due set di fronte ad un Edberg regale, ma rabbiosamente sale al quinto, dove però è Stefanello a venire fuori alla distanza per 6-2 nel set decisivo. Sarà il cinesino protetto dagli Dèi a fargliela pagare in finale. Boris dà poi luogo ad un’estate trionfale con i due slam a Londra e a New York, per molti alla fine del’anno è lui il vero numero uno e non il più regolare Ivan Lendl.

Arriva la primavera del 1990, arriva la terra, arriva la sofferenza: ad Amburgo Boris arriva sì in finale, ma il leggero Juan Aguilera non gli lascia un set che sia uno, a Parigi esce subito per mano di un folle spilungone croato, un certo Goran Ivanisevic. Per tutto il resto del 1990 Bum Bum si dimentica della terra.

Nel 1991 arriva subito il quinto Slam, il suo primo Australian Open, poi finalmente il ritorno “on clay“ ad aprile: a Barcellona un Boris distratto perde con un nuovo prodotto della premiata ditta iberica di terraioli: è un giovane agile ragazzo, tale Sergi Bruguera. Beh, sarà un episodio, primo torneo sulla terra dopo tanto tempo…Ed infatti a Montecarlo Boris fa sul serio, arriva dritto alla sua seconda finale nel Principato, lasciando tra l’altro 4 games ad un terraiolo come Chesnokov, detentore del titolo. In finale però, il giovane rampante Sergi Bruguera è di nuovo in agguato. Bum Bum parte bene, non esita a scendere, ad attaccare ed a rischiare, il primo set è suo, 7-5. Ma le sabbie mobili della terra anche questa volta lo risucchiano inesorabilmente, le gambe si fanno pesanti, i passanti di Bruguera con il rovescio bimane micidiali, e Boris cede in 4 set con due dolorosi tiebreak finali. Una grossa delusione, forse la più grossa sulla terra.. Per adesso, come vedremo. A Parigi due mesi dopo arriva la terza semifinale a Roland Garros, contro Agassi: primo set brillante vinto 7-5, poi il crollo e la sconfitta in 4 set. Ormai lo schema sembra essere chiaro: all’inizio, per 30-40 minuti, perfino la lentezza della terra non impedisce a Bum Bum di sprigionare tutta la sua potenza e fantasia, ma basta che arrivi un velo di stanchezza, che gli scambi si allunghino, che gli avversari comincino a prendere le misure al suo servizio ed ai suoi attacchi, che lui diventi più lento e pesante ed ecco che il nostro eroe si scioglie come neve al sole. Ogni tanto, magari nell’atmosfera magica della Davis, riesce a piegare in epiche battaglie qualche terraiolo di second’ordine, come Mattar in Brasile nel gennaio 1992.

Ma arrivano anche imbarazzanti sconfitte con “signori nessuno“ come con Jordi Burillo a Barcellona, o bastonate come quella presa in semifinale da Stich ad Amburgo. Nel 1992 Boris non gioca nemmeno a Parigi, perde al primo turno d’estate sulla terra di Stoccarda da Delaitre ed al terzo alle Olimpiadi di Barcellona da Santoro.

Nel 1993 la stagione sul rosso è un pianto: vince 5 match in tutto tra Nizza, Monte Carlo, Madrid, Amburgo, Roma e Roland Garros, trovando il modo di perdere due volte con l’attuale coach di Del Potro, Franco Davin. Non è comunque un grande 1993 in generale per Boris, che finisce l’annata fuori dai top ten.

Fino al maggio del 1994 di terra non se ne parla più per Becker, e quando vi torna viene subito piegato dal terraiolo doc Alex Corretja. Una settimana dopo però a Roma, ecco l’ispirazione: fa fuori Novacek, Javier Sanchez, l’emergente Pioline, Ivanisevic in semifinale ed è in finale agli Internazionali. Finirà male a causa del solito terraiolo inesorabile, penserete a questo punto…No, finisce male, ma contro Pete Sampras che gioca il miglior tennis sulla terra battuta della sua carriera e gli lascia 5 games in 3 set.

Passano altri 11 mesi, Boris la terra e le sue amarezze neppure più le ricorda. Siamo nella seconda metà di aprile del 1995, e il guerriero austriaco Thomas Muster sta dando luogo alla più grande stagione sulla terra che si ricordi dai tempi dell’Orso, la leggenda Borg. Muster ha già vinto tre titoli sulla terra nella stagione, a Città del Messico, Estoril e Barcellona, nessuno è in grado di poterne fermare lo strapotere fisico, la potenza, la forza mentale. Lui e la terra rossa sono una cosa sola. Ma a Montecarlo con Andrea Gaudenzi in semifinale, sta male. Vince il primo set, ma nel secondo non ha più un briciolo di forze ed ha la febbre. Solo l’indecisione di Gaudenzi, alla fine furente, lo salva. L’ombra dell’austriaco viene portata in ospedale per accertamenti. Forse la finale non si giocherà. E se anche si giocherà, cosa potrà fare ridotto ad uno straccio? Ad aspettarlo c’è proprio Becker, e per la precisione il miglior Becker di sempre sulla terra rossa. Sono 4 i games lasciati ad un arrotomane spagnolo doc come Corretja, tanto per dirne una. Nè fermano Bum Bum Kraijcek nei quarti o Ivanisevic in semifinale.

Contro un Muster menomato arriverà questo benedetto titolo sulla terra? O addirittura lo vincerà senza scendere in campo? Ma Domenica 30 aprile il guerriero di Leibniz scende sul centrale di Montecarlo. Sarà una partita mitica, sarà il paradigma di una intera carriera sul rosso per Boris Becker, sarà qualcosa che non potrà dimenticare.

Bum Bum è ispirato come non mai, sembra che il Mac dei primi due set di quel 10 giugno 1984 a Parigi lo guidi e lo ispiri. L’ancora vacillante Muster è sommerso da aces, servizi vincenti, discese, volée. Boris è due set a zero. Un set, un solo maledetto set, e sarà il primo trionfo sulla terra. Ma la temperatura si addolcisce, e Muster rinasce. Il tedesco comincia ad essere invischiato nella ragnatela, le arrotate da fondo lo sbattono sui teloni, comincia a sbagliare, e più sbaglia e più si intestardisce a giocare da dietro, perchè ha la testa dura più del marmo. Ma non cede del tutto questa volta. Dopo aver buttato 6-1 il terzo set, nel quarto non solo arriva al tiebreak, ma arriva in questo a condurre per 6 punti a 4. Un punto dicasi un punto, ed è fatta.

Serve, ma sbaglia la prima. Ed è qui, sulla seconda palla, che c’è tutto Boris Becker, tutta la sua cocciuta follia, tutta la pazzia di colui che di folli vicende ne visse tante, vincendo un Masters con un nastro sul matchpoint dopo aver recuperato un break a Lendl sul 5-6 del quinto set, o trionfando nel suo unico Us Open dopo aver annullato un matchpoint a Rostagno in uno dei primi turni. Una seconda di servizio a 196 km orari. A 196, sì, avete capito bene. Lunga. Si, avete capito bene, lunga.

Voleva concludere alla grande lo lo spaccone Becker? O gli dèi del tennis volevano ricompensare quell’austriaco coraggioso che 5 anni e mezzo prima colpiva dritti seduto su una specie di sedia rotelle dopo che un pazzo lo a veva investito a Miami? Non lo sapremo mai. Un minuto dopo, se ne va anche l’altro matchpoint. E 25 minuti dopo circa, lo svuotato (nella testa ancora prima che nel corpo) Boris ha ceduto anche il quinto set per 6-0.

Potremmo parlare ancora dell’ultimo match giocato e perso a Parigi sempre nel 1995 al terzo turno con il romeno Voinea, del quarto di Montecarlo 1998 perso con Besasategui, o infine della finale di Gstaad sempre del 1998 ceduta a Corretja senza vincere un set, ma è su quella seconda palla, in quel tardo pomeriggio di Montecarlo, che è finito per sempre per Boris Becker il sogno di vincere un titolo sulla terra.
E, come tanto sogni sono diventati per lui realtà grazie alla sua geniale follia, così anche quel sogno si è infranto in modo folle, alla Boris Becker.

Un tipo che faceva tutto alla sua maniera, senza mezze misure, nel bene e nel male. Alla Boris Becker, appunto.
 

Luca Pasta

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