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17/05/2012 12:14 CEST - Rassegna

R.St. Internazionali: Cronache e Rubriche di Martucci, Crivelli, Tommasi, Viggiani, Pietrangeli, Valesio, Clerici, Panatta Palizzotto; Interviste di Lenzi, Viggiani, Piccardi, Cresto-Dina

17 maggio 2012

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Rubrica a cura di Stefano Pentagallo

INTERNAZIONALI D'ITALIA - CRONACHE E RUBRICHE

Fantastico Seppi Rimontona su Isner - «Ho battuto un gigante con il servizio perfetto»

Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport del 17.5.2012

«Sèèèppi, Sèèèppi». Andreas non lo sa, mentre si inchina, ed esulta, e sorride estasiato e stravolto rispondendo alla folla impazzita dopo la rimonta per 2-6 7-6 7-5 sul totem del tennis, John Isner che lo proietta, unico azzurro, negli ottavi contro Stanislas Wawrinka. Ma nell'aria, giù nell'arena, come su, fra le statue di marmo, aleggia ancora l'atmosfera magica che ha accompagnato Pietrangeli e Panatta nei trionfi più belli, e i quattromila spettatori ufficiali, sugli spalti, sono molti di più, sono una bella fetta dei 18 mila che negli ultimi due giorni hanno invaso gli Internazionali Bnl d'Italia. «Panatta no, non l'ho mai visto in tv quando vinceva Roma su questo campo. Per me è stato emozionante: era strapieno, c'era un pubblico pazzesco. A un certo punto, non pensavo neanche più alla partita, stavo lì a guardare il pubblico e mi divertivo a essere lì».

Magia E così, anche lui, rigido altoatesino modellato pezzo a pezzo da mastro Max Sartori, si abbevera di quel fluido magico per esaltarsi come non mai, e tira fuori un tennis finalmente ricco di potenza, precisione e anche varietà, oltre che servizio e personalità. Il ragazzo introverso e taciturno, quello che ha rifiutato per un anno la convocazione in nazionale per «mal di Davis», proprio lui si accende come un lottatore. E rimonta e abbatte il totem di 206 centimetri che fa paura a tutto il tennis, Isner il bombardiere, capace di portare al quinto set Nadal e Djokovic sul rosso, e di battere Federer e la Francia di Davis. Sfiancandolo con cambi di direzione e fendenti profondi di qua e di là, e costringendolo sempre più spesso a sparare il famoso dritto in equilibrio precario e a piegarsi poi in due dalla fatica dopo scambi lunghi e complessi.

Servizio Il grimaldello del nuovo Seppi è il servizio: «È il colpo che mi dà più sicurezza, così, comincio spesso lo scambio in vantaggio, riesco a spingere di più, e da subito, ho più tranquillità, e diventa più facile giocare». Il lavoro fisico fatto con l'ex preparatore di Ljubicic è un volano: «Mi sento meglio in campo, molto più tranquillo e rilassato, fisicamente sono più sciolto, dopo tanti allungamenti e strechting». Una fluidità che parte dalla spalla e arriva alla testa: «Nel primo set, al servizio, ho fatto l'errore di guardare più lui che preoccuparmi del mio, giocavo i game per non perderli. Non facevo niente e lui prendeva subito in mano lo scambio. Poi ho cercato di spingere un po' di più e ho gestito bene anche i momenti importanti, ho avuto anche tante palle-break, dodici».

Sogno È paradossale che Isner ceda proprio quando il servizio diventa decisivo, al tie-break. È curioso che il numero 10 del mondo ceda al 32 sul 5-5 del terzo set. È singolare che l'italiano vada a prendersi i punti decisivi a rete, l'ultimo con la volée di rovescio per il 7-5 finale. «Questa è una delle tre partite della mia vita nelle quali ho vissuto emozioni così, le altre sono state in coppa Davis contro Ferrero a Napoli, quando c'era un pubblico del genere, e con Nadal quando ho vinto a Rotterdam». Non è il primo top ten che batte: «Mi vengono in mente Canas, Hewitt, Nadal, Gasquet». I primi ottavi a Roma non sono un risultato sconvolgente: «Vittoria a Belgrado, poi sono arrivato 4 volte a due punti dal match contro Dolgopolov a Madrid, non mi posso lamentare dello stato di forma». Da verificare contro Wawrinka, che gli dà fastidio sulla prediletta diagonale di rovescio, «ed è molto aggressivo e potente, anche col servizio». I precedenti dicono 5-2 Svizzera (1-1 sulla terra). Ma Andreas avrà ancora alleato l'ex, mitico, Centrale, oggi rinominato Stadio Pietrangeli. «E bello così, pieno, la gente non deve avere un posto dove sedersi», chiosa Diego Nepi, il regista di Coni Servizi.

Federer e Nadal Un duello a distanza che dà spettacolo

Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport del 17.5.2012

Perché è l'Italia, e perché è Roma, soprattutto. Altrimenti, Roger Federer avrebbe alzato bandiera bianca per il mal di schiena già prima del via degli Internazionali Bnl al Foro. Anche se, dopo l'incontro con Will Smith, a Madrid, recita un'altra parte: «Ho esitato fin dopo l'ultimo allenamento, proprio fino a un attimo prima di giocare, volevo vedere come mi sentivo. Fosse stato l'ultimo torneo della stagione non ci sarebbe stato problema, ma abbiamo davanti un'estate lunga e Roma è il primo di una lunga serie di tornei, molti di 5 set, ed è importante prendere le decisioni giuste». Perché, domando la terra blu di Madrid, il re dei re, è appena tornato numero 2 del mondo a spese di Rafa Nadal: «È sempre bello salire in classifica, ma quello che mi interessa sono sempre le vittorie. Che sceglierei fra tornare il primo del ranking e vincere uno Slam? So che ho una chance da qui agli Us Open, vediamo che succede, ma essere 2 o 3 non interessa granché né a me, né a Rafa. Magari la prossima settimana torno 3. La Race annuale, poi... Non so nemmeno quanti punti ho. Qualche volta scherzo con gli amici su quanto devono difendere questo e quello. Ma sinceramente ho smesso di pormi certi problemi tempo fa: si bruciano soltanto più energie».

Risposta Djokovic s'è trasformato da terzo incomodo in padrone, ma Federer e Nadal sono troppo allenati alla loro leggendaria rivalità per non rispondersi, a poche ore dal rispettivo esordio. Dopo il facile match/allenamento contro Berloq di Roger, sotto i riflettori della sera, Rafa dà spettacolo contro Mayer: vola il primo set per 6-1 («Ho giocato davvero aggressivo»), poi non riesce a staccarsi fino al 5-5 del secondo («Lui mi mette sempre in difficoltà»), quando però, rinfrancato dal servizio («Non ho concesso palle-break»), sprinta in trance agonistica, ricominciando a correre e saltare come negli anni belli su questa terra rossa che l'ha visto vincere 5 volte negli ultimi 7 anni. Prossima fermata, Granollers con cui farà coppia in doppio all'Olimpiade: «Bisogna stare attenti, lui è uno dei migliori amici nel Tour e sarà difficile, come sempre. Ci conosciamo benissimo: abbiamo rappresentato la Spagna in tutte le categorie giovanili». Con una divagazione calcistica, sul suo Real: «Mourinho è un vincente, grande personalità, l'ho incontrato, ha portato a Madrid un nuovo spirito competitivo». Perché Rafa è Rafa.

Riscossa tedesca «A noi il passato non fa paura»

Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport del 17.5.2012

Se sei abituato al caviale, è dura passare al pane secco. Vent'anni fa la Germania aveva i due giocatori più forti del mondo, Becker e la Graf, e di contorno serviva Stich e la Huber. Quando gente così smette, parte immediatamente la caccia agli eredi, che finisce con l'opprimere chi viene dopo e a mandare in depressione il movimento.

Viva le donne I tedeschi non si sono sottratti al giochino e per troppo tempo hanno convissuto con il buio, nonostante i lampi di Haas. Poi, come spesso accade, la riscossa è partita dalle donne: al momento, sono in tre nelle prime 15 (tutte in fila: la Kerber n. 11, la Petkovic 12, la Lisicki 13), con la Goerges al 29 (ma era 15 a marzo) e la Barthel, vincitrice in gennaio a Hobart, al 32. A Roma, Kerber e Goerges sono agli ottavi (e si sfidano oggi), con la bella Julia che ha impartito una lezione di tennis alla Bartoli. Secondo lei, la nuova primavera ha un segreto neppure troppo nascosto: «Siamo della stessa generazione, nate tra il 1987 e il 1990, siamo cresciute giocando una contro l'altra e la competizione ci è servita per migliorarci».

Multinazionale Come già accaduto per il calcio, che ha accolto i figli dell'immigrazione, anche nel tennis la multirazzialità si è trasformata in un valore aggiunto: la Lisicki è figlia di genitori polacchi e la Petkovic è una serba nata in Bosnia, fuggita in Germania durante i bombardamenti. Proprio lei, diventata famosa per la «Petko-dance» con cui festeggia le vittorie, ha aperto le vie della rinascita, riportando una tedesca tra le prime dieci nell'estate 2011: «Il suo esempio è stato importante — ammette la Goerges — perché ci ha fatto capire che potevamo stare al passo delle più forti. E credo che il fatto che lei e Sabine (la Lisicki, ndr) non siano tedesche di origine le abbia spinte ad allenarsi ancora di più, ad avere più fuoco dentro per evitare le critiche». Certo, essere donne e tenniste a quelle latitudini significa scontrarsi ancora con l'ombra pesantissima della Graf, ma la Kerber non se ne preoccupa troppo: «In ogni intervista, da quando sono bambina, la prima domanda è sempre sulla pressione che avverto rispetto alla storia di Steffi. È normale, parliamo di una delle più forti giocatrici di sempre. Però il fatto che adesso siamo in cinque a poter vincere i tornei ha diviso le responsabilità e ci ha reso più tranquille, non ci sono gli occhi puntati su una soltanto. Siamo cresciute insieme, ci rispettiamo, ma in fondo siamo avversarie. Forse è anche per questo che non abbiamo paura del passato».

La ribalta - In Spagna c'è tanto talento Noi? In attesa

Rino Tommasi, La Gazzetta dello Sport del 17.5.2012

Quando nel 1973 il computer ha avuto il compito di compilare le classiche del tennis (fino ad allora affidate alla buona volontà e alle simpatie di qualche vecchio esperto) c'era un solo tennista spagnolo (Manuel Orantes) tra i primi 50 del mondo ed altri tre tra i primi cento. Nelle ultime classifiche dell'ATP gli spagnoli tra i primi cento sono diventati dodici confermando la leadership tennistica della Spagna che non a caso ha vinto tre delle ultime quattro edizioni della Coppa Davis. Tra i più nuovi che si sono fatti largo alle spalle dei vari Nadal, Ferrer, Almagro, Verdasco e Lopez c'è anche quel Marcel Granollers numero 26 in classifica che ieri ha battuto in due set il n. 2 italiano, Fabio Fognini. Non sarà facile alla Spagna trovare altri campioni ma il numero notevole di seconde linee tiene vivo il movimento ed aumenta la probabilità di trovare un altro Nadal oppure un altro Santana, il primo spagnolo a vincere Wimbledon nel 1966. L'ultima generazione italiana di buoni giocatori, quella di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli non ha lasciato eredi della stessa qualità per cui abbiamo passato trent'anni ad attendere un campione. Ci hanno tenuto a galla le ragazze regalandoci risultati sorprendenti quanto inattesi anche perché in contraddizione con la linea maschilista di questo sport.
La delusione per l'eliminazione di Fognini è stata compensata dalla bella vittoria ottenuta da Andreas Seppi sul picchiatore americano John Isner. Seppi è in ritardo rispetto alle promesse di qualche anno fa ma noi non siano mai stati una terra di bambini prodigio per cui conviene avere pazienza.
Per fortuna l'alta qualità della partecipazione straniera (ci sono praticamente tutti) consente al torneo, scoperto ieri anche dal pubblico, di non avere bisogno di una quota di protagonisti italiani. Arrangiamoci con quello che abbiamo e speriamo di avere qualche bella sorpresa.

Seppi abbatte il grattacielo

Mario Viggiani, Il Corriere dello Sport del 17.5.2012

A differenza di Sara Errani, che ancora non ha conosciuto questa gioia, Andreas Seppi sa bene come si fa a battere un Top Ten. O meglio, Io sapeva ma magari se l'era dimenticato. Perché ci era riuscito già per cinque volte in carriera (contro Schuettler, Canas, Hewitt, Nadal e Gasquet), solo che dall'ultima occasione, appunto quella del maggio 2008 ad Amburgo contro Gasquet, il biondino di Caldaro aveva infilato addirittura una serie di 30-sconfitte-30 contro i primi dieci della classifica mondiale. Ieri invece Seppi ha spolverato ben bene l'album dei ricordi e ha abbattuto quel grattacielo di John Isner, attuale numero 10 e bombardiere scelto dei campi di tennis, con quel servizio che parte da lassù (lo statunitense è alto 2 e 06). L'ha abbattuto sul "Pietrangeli", che in attesa di essere promossi sul Centrale si sta rivelando un prezioso alleato suo e di Flavia Pennetta, unici italiani approdati agli ottavi degli Internazionali BNL d'Italia, entrambi dopo aver vinto alla grande sul campo delle statue nel giorno che con 26.412 spettatori paganti ha fatto registrare il nuovo record per una singola giornata (precedente 25.556 l'11 maggio 2011).
«Pazzesco, a un certo punto stavo giocando e mi sono messo a guardare lo spettacolo sugli spalti! Davvero emozionante, era strapieno». Quella di Seppi, che con questa vittoria dal numero 30 salirà al 28 e addirittura al 24 (eventualmente primato in carriera dopo il 27 del luglio 2008) in caso di ulteriore successo oggi negli ottavi contro lo svizzero Stanislas Wawrinka, è stata una grandiosa rimonta. Coronatasi dopo 2h50' di gioco intensissimo, con Isner che è andato via abbastanza facile nel primo set («Sono stato troppo sulla difensiva nei miei turni di servizio», ha spiegato Andreas) e Seppi che ha risposto colpo su colpo nel secondo, quando ha addirittura costretto alla resa l'avversario nel tie- break (Sì, adesso servo decisamente meglio e con continuitàA differenza di Sara Errani, che ancora non ha conosciuto questa gioia, Andreas Seppi sa bene come si fa a battere un Top Ten. O meglio, Io sapeva ma «Questo successo lo metto vicino a quelli di Coppa Davis con Ferrero e contro Nadal a Rotterdam» E ieri raggiunto il record di spettatori paganti (26.412) in una singola giornata di torneo magari se l'era dimenticato. Perché ci era riuscito già per cinque volte in carriera (contro Schuettler, Canas, Hewitt, Nadal e Gasquet), solo che dall'ultima occasione, appunto quella del maggio 2008 ad Amburgo con *** tro Gasquet, il biondino di Caldaro aveva infilato addirittura una serie di 30-sconfitte-30 contro i primi dieci della classifica mondiale. Ieri invece Seppi ha spolverato ben bene l'album dei ricordi e ha abbattuto quel grattacielo di John Isner, attuale numero 10 e bombardiere scelto dei campi di tennis, con quel servizio che parte da lassù (lo statunitense è alto 2 e 06). L'ha abbattuto sul "Pietrangeli", che in attesa di essere promossi sul Centrale si sta rivelando un prezioso alleato suo e di Flavia Pennetta, unici italiani approdati agli ottavi degli Internazionali BNL d'Italia, entrambi dopo aver vinto alla grande sul campo delle statue nel giorno che con 26.412 spettatori paganti ha fatto registrare il nuovo record per una singola giornata (precedente 25.556 1'1 I maggio 2011). «Pazzesco, a un certo punto stavo giocando e mi sono messo a guardare lo spettacolo sugli spalti! Davvero emozionante, era strapieno».
Quella di Seppi, che con questa vittoria dal numero 30 salirà al 28 e addirittura al 24 (eventualmente primato in carriera dopo il 27 del luglio 2008) in caso di ulteriore successo oggi negli ottavi contro lo svizzero Stanislas Wawrinka, è stata una grandiosa rimonta. Coronatasi dopo 2h50' di gioco intensissimo, con Isner che è andato via abbastanza facile nel primo set («Sono stato troppo sulla difensiva nei miei turni di servizio», ha spiegato Andreas) e Seppi che ha risposto colpo su colpo nel secondo, quando ha addirittura costretto alla resa l'avversario nel tie- break (•Sì, adesso servo decisamente meglio e con continuità»). Nel set decisivo ancora equilibrio fino al 5-5, poi Seppi è passato all'incasso, aiutato da una condizione fisica a quel punto decisamente migliore: break e vittoria per 7-5.
«Questo successo lo metto vicino a quelli ottenuti in Coppa Davis contro Ferrero a Torre del Greco (nel 2005 - ndr) e nel torneo di Rotterdam contro Nadal (nel 2008 - ndr)».
Il trend, insomma, è quello positivo che l'ha portato prima a conquistare il torneo di Belgrado e poi fare bella figura a Madrid («
Contro Dolgopolov ho perso, ma potevo anche portare il match dalla mia parte»). E adesso Andreas, che da pochissimo sta usando anche una racchetta leggermente modificata, è in totale fiducia.
«Vado in campo più tranquillo, più rilassato, più sciolto».
Cercherà di esserlo anche oggi contro Wawrinka. «Ha un gioco pesante, e le ultime volte mi ha battuto facile (Andreas è sotto per 5-2 nei precedenti, e peraltro le sue vittorie risalgono addirittura alle prime due sfide del 2006 - ndr). Mi aspetta un compito impegnativo, ma sono certo di poter far bene anche contro di lui».
Lo svizzero è attualmente numero 20 del mondo, quindi poco sopra Seppi in classifica, ed è stato finalista al Foro Italico nel 2008. Invece Andreas ha superato la prova del nove: non era mai andato oltre il secondo turno romano nelle precedenti otto partecipazioni, chissà che stavolta non si migliori di parecchio...

Parole di Pietra - Seppi e Pennetta il Foro ha i beniamini

Nicola Pietrangeli, Il Corriere dello Sport Roma del 17.5.2012

Nuvoloni e sconfitte italiane a parte, è stata una bella giornata ieri al Foro. Sono veramente soddisfatto del risultato di Seppi e della Pennetta.
Andreas è andato alla grandissima contro Isner, Flavia non ha sbagliato nulla contro la Stephens. Ciò che dico sempre ai nostri cari azzurri è che non bisogna incaponirsi pretendendo risultati da prima pagina contro i Top 10, bensì cercare sempre di vincere quei match contro chi ti precede appena o hai alle tue spalle nel ranking. Ma se il colpaccio arriva, come nel caso di Seppi, tanto meglio.
Tutte le vittorie, siano esse pronosticabili o straordinarie, tengono alto il morale. Difficile trovare qualcuno a cui non piacciano i successi. Dunque benzina nel motore per tenersi a galla in classifica e acquistare fiducia in vista dei prossimi impegni. Tifiamo allora per Flavia a Andreas. Questo torneo ha bisogno di beniamini. E l'Italia non dovrebbe mai mancare nel cuore del caldo pubblico del Foro.

Seppi, nuovo trascinatore!

Piero Valesio, Tuttosport del 17.5.2012

La gioia è bellissima. Quando scaturisce da un evento inatteso è ancora più bella. Ti esalta, ti scatena in misura inversamente proporzionale a quanto la rabbia ti soffoca, ti rende impotente. DI rabbia che soffoca Andreas Seppi se ne intende anche perché non essendo esattamente un super-estroverso tante volte gli è successo di tenersela dentro, la rabbia. Acune volte, in carriera gli è suooeeao anche di sentire in bocca il sapore della gioia. Ieri, ad esempio. Un sapore assai più intenso del solito, però. Perché mentre su Roma calavano, alla stregua di una strip di Nick Carter, le prime ombre della sera Andreas il freddo ha rimontato e battuto John Isner, nona testa di serie, decimo giocatore del mondo nonché, quest'anno, finalista nel 1000 di Indian Wells. Un martellatore in ascesa lo si potrebbe definire. E fin qui già la gioia di Andreas avrebbe potuto essere notevole perché l'azzurro si ritrova negli ottavi del torneo di casa. Ma il «come» tutto sia avvenuto è più importante del risultato. Perché d'incanto Seppi ha vissuto un'esperienza nuova: ha vestito i panni dell'eroe che esalta, del-l'arringatore di folle, di quello mentalmente più forte che sfida l'avversario. Di botto mentre su Roma (etc etc) si è trovato a far scattare dalla sedia gli spettatori che gremivano il Pietrangeli (come avrebbe detto, unico senza sembrare scontato, Sandro Ciotti) in ogni ordine di posti. Ha entusiasmato. E ci è riuscito con una padronanza del ruolo ben distante, per dire da quella del giardiniere Peter Sellers che si ritrova presidente degli Stati Uniti senza nemmeno sapere perché.

AUTOGRAFI Vedere Andreas firmare autografi, abbracciare palloni e sorridere a tifose che gli si sono accalcate intorno a fine match suscitava in effetti una strana sensazione, negli osservatori. Perché l'azzurro non è mai stato un trascina folle: né in campo né soprattutto fuori. Buon ribattitore, dotato di buon servizio e capace di disegnare in campo geometrie spesso efficaci, non e però quasi mai stato assistito da una certa continuità di risultati. Di lui è giusto ricordare soprattutto la semifinale di Amburgo quando ancora il torneo anseatico era un top. Quella semifinale la giocò contro Federer ma quel torneo va ricordato perché prima di perdere contro il grande svizzero, Andreas batté uno che avrebbe potuto diventare un grande francese e cioè Richard Gasquet. Che per l'appunto, allora, era un top ten. Prima aveva battuto Nadal, il nostra. Ma il fatto è che dopo quel torneo Andreas Seppi da Vipiteno, ha inanellato trenta sconfitte di fila contro i top ten. Il che tradotto significa quanto segue: non è mai riuscito a compiere quel salto di qualità soprattutto mentale che avrebbe potuto permettergli di fare un pensierino a poter tentare lui l'ascesa fra i primi dieci del pianeta.

QUALCOSA Che qualcosa fosse cambiato in Andreas Seppi (qualcosa: non tutto) lo si era intuito nella scorse settimane. Col titolo conquistato a Belgrado (che non sarà Wimbledon ma vivaddio per vincere un torneo bisogna vincere degli incontri e la vittoria non arriva mai per caso), nonché la bella vittoria su Llodra e l'onorevolissima sconfitta patita per mano di Dolgopoov sul blu di Madrid. Secondo il suo mentore Massimo Sartori il nostro ora si muove meglio in campo e più a lungo perché ha deciso di alleggerire la muscolatura invece di imballarla con eccessivo lavoro. Ma la sensazione, guardandolo autografare i palloni di cui sopra, è che qualcosa possa essere scattato nel suo cervello, che le endorfine abbiano preso a circolare più facilmente nel suo corpo.

DIVERTIMENTO Intanto registriamo che contro John Isner ha compiuto un'impresa degnissima lottando per due ore e mezza e soprattutto non lasciandosi logorare dalla lunghezza del match ma facendone un elemento a suo favore. «Ad un certo punto non pensavo nemmeno a vincere l'incontro. Ma mi divertivo giocando. Guardavo il pubblico che si entusiasmava per me e mi entusiasmavo anch'io. Il fatto è che mi sento più tranquillo in campo da un po' di tempo a questa parte: mi muovo meglio, sarà per effetto dello stretching cui mi sottopongo con maggior frequenza. Servo anche meglio. Vincere una partita così è stato davvero emozionante. Forse più di quando ho battuto Ferrero in Davis e Nadal a Rotterdam». Altri tempi. Oggi Seppi se la vedrà con Stas Wawrinka, uno con cui di solito perde facilmente non foss'altro perché lo svizzero è mancino, ha nel rovescio il suo colpo migliore e Andreas non riesce mai a scrollarsi da quella fetta di campo. Però il match si giocherà sul Pietrangeli, lo stadio dei Marmi senza più impalcature o tribune fittizie ma in compenso con tanta gente. Lo stesso campo che lo ha entusiasmato contro Isner e che ha trascinato fin qui Flavia Pennetta Conterà qualcosa? Sperare è lecito.

Roma, record e sorrisi avanti Seppi e Pennetta

Gianni Clerici, la Repubblica del 17.5.2012

Viene il ragazzo con il microfono, chissà se dietro c'è qualcosa di pubblico. «Maestro—domanda — come organizza la sua giornata?». «Non ci ho mai pensato, quando sono in vacanza». Pare sorpreso. «Vacanza?». «In vacanza, al tennis voglio dire».
Ci troviamo nel nuovo stadio chiamato Supertennis, dove sono in realtà capitato per sbaglio, credendo di trovarvi la Pennetta. Al posto del mio amore italiano, c'è invece quella che potrebbe incontrarla nel prossimo turno, l'attraente polacca Agneska Radwanska, n. 3 del mondo. Mi appresto a prendere qualche appunto, ma, dopo quattro tiri, mi domando se sia proprio la Radwanska, a meritare la mia superficiale attenzione, o la sua avversaria, Petra Cetkovska. Ragazza abbastanza comune, con vestitino qualunque, che non ho mai visto, ma della quale trovo sulle pagine gialle le connotazioni: boema, terra di grandi tennisti, da Rodolfo II (1500) a Drobny (1950) a Navratilova (1970). Un quarto turno a Wimbledon battendo proprio la Radwanska mi permette di capire che la capacità di accelerazioni della donnina rappresentano un autentico pericolo, e, guarda caso, sarà proprio la Piccola Penna a doversene guardare. Ritroverò infatti Flavia, vittoriosa sulla moretta Stephens, in conferenza stampa, nella quale saprò che la sua biografia Diritto al Cuore non è introvabile, come mi era parso in una vana ricerca. E insieme mi renderò conto che Flavia corre, contro la boema, un notevole rischio convinta com'è «a fare il mio gioco, a non occuparmi di quello delle mie avversarie». Laddove, così come per le righe della biografia Flavia ha avuto una aiutante, non ne sarebbe vana un'altra per le future traiettorie.
A rendere ancora più lieta una giornata in cui è stato nuovamente battuto, con 25759 aficionados, il record del Foro, ha concorso un miglioratissimo Seppi. Certo, non fosse stato perle bragone color nero, il suo avversario Isner si sarebbe potuto confondere con una delle statue del Pietrangeli, occasionalmente animata e scesa in campo. Ma anche superare una simile imitazione non del tutto marmorea, rimane un'impresa.

La "Svizzeritudine" del ragazzo educato

Gianni Clerici, la Repubblica del 17.5.2012

La povera Robbi, una signora di Lugano, parte dell'organizzazione del Foro Italico, mi mostra, con aria afflitta, il libretto Federer come esperienza religiosa, di Foster Wallace, incautamente stampato in Svizzera. «Non me l'ha autografato mi informa.
Roger ha appena lasciato la sala stampa del torneo, tanto affollata che, per insufficenza muscolare, non sono riuscito a entrarvi. Consolo Robbi. Da ieri, quando è sbarcato a Ciampino, con volo privato, e poi in corso di trasferimento all'Hotel Excelsior, le richieste d'autografo, secondo l'autista incaricato del regale trasporto, hanno superato il centinaio. Cerco di consolarla: «Roger è rimasto un ragazzo educato, non dimentico delle sue origini piccolo-borghesi del natio borgo di Munchenstein. In più di un'occasione, secondo me, si dev'essere chiesto cosa sarebbe mai potuto diventare se, un po' per fortuna, non avesse incontrato, alla Scuola di Ecublens, dapprima Cristophe Freyss, che è riuscito a insegnargli il rovescio a una mano del quale il pargolo era sprovvisto, e, poco più tardi, l'altro maestro, Peter Carter, che condivideva, con Mamma Federer, la lingua nativa, l'inglese dei dominion. Fu, mi dice un suo biografo, proprio l'identificazione della figura materna con l'allenatore a far si che Roger la smettese di spaccare racchette, un'azione incredibile per chi lo ammira oggi, inimitabile esempio di educazione e di svizzeritudine, come si dice nel nostro Canton Ticino. Quanto agli autografi, io che accuso spessissimo il crampo dello scrittore, Io capisco benissimo. E cerco di spiegarlo a Robbi.

Dritti & Rovesci - Flavia al top se gioca un metro più avanti

Adriano Panatta, Corriere della Sera Roma del 17.5.2012

Quella volta, ai Giochi di Seul, non fu proprio un esperimento, ma quasi. Chiesi a Raffaella Reggi, che allora era la numero uno del nostro tennis, se davvero volesse battere Chris Evert, che l'aspettava negli ottavi. Diamine, direte voi, chi non vorrebbe battere la Evert? Diamine, disse anche Raffi, certo che la voglio battere. Allora devi avanzare di un metro il tuo gioco, le dissi, e da quella posizione entrare in campo prendendo l'iniziativa dello scambio. Raffaella era titubante, temeva di fare casino, ma è sempre stata una donna coraggiosa e alla fine volle tentare. Lo fece male all'inizio, poi, testa dura, entrò sempre meglio nello spartito e chiuse l'incontro in suo favore, 2-6 6-4 6-1. Credo sia stata una delle sue vittorie più belle, e a distanza di tanti anni, era il 1988, mi fa ancora piacere esserne stato una (piccola) parte in causa. A tennis si vince osando, se avete intuito dove sto andando a parare. Invece, chissà perché, l'atteggiamento che va per la maggiore è quello più prudente, più conservativo. Ora, il consiglio che detti alla Reggi mi permetto - osando, a mia volta- di porgerlo alla Pennetta e anche a Seppi. Lo faccio oggi, in tempi non sospetti, dato che stiamo parlando dei due azzurri che meglio si sono comportati nel mercoledì del Foro. Flavia ha vinto bene contro una ragazzina (Stephens) e intravede un quarto di finale contro Serena Williams. Seppi ha invece battuto Isner in rimonta e dopo tre ore, proprio l'americano che quest'anno, sulla terra rossa, ha maltrattato Federer in Davis. Dunque, sto parlando di due tennisti che sanno come affrontare un match, come vincerlo, come gestirlo. Due ottimi tennisti. Sono convinto che Flavia, giocando un metro più avanti, varrebbe la fascia più alta del tennis femminile. Sono altrettanto convinto che quel metro in più, sarebbe fondamentale contro una come Serena, se il match si farà. Inserirlo nel proprio gioco non è facile, e comprendo il timore dei giocatori di incasinare tutto. Ma il consiglio resta. Provateci.

Le stelle illuminano Roma

Daniele Palizzotto, Il Tempo del 17.5.2012

Roger e Rafa, Rafa e Roger. Il Foro Italico aspettava soltanto loro, Federer e Nadal, gli eterni rivali del tennis moderno, e per loro si è subito entusiasmato: due match semplici, due esordi sul velluto, ma tanti applausi e tanto affetto dal pubblico record degli Internazionali.
Eppure, anche se solo per un attimo, gli spettatori accorsi al Foro hanno tremato. «Federer è in dubbio, potrebbe non giocare». Soltanto una voce? «No - ha confessato lo svizzero subito dopo la partita - fino a questa stamattina non sapevo se giocare: volevo capire le mie reali condizioni fisiche dopo la vittoria di Madrid, perché questo è un periodo duro della stagione con tanti tornei e due Slam alle porte. Poi mi sono allenato e ho sciolto le riserve». Chi sa se il povero Ber-locq, vittima predestinata sul Centrale del Foro, sapeva dei dubbi ronzanti nella testa del re svizzero. Certo l'onesto terraiolo argentino, numero 38 Atp, avrebbe preferito evitare Federer e magari affrontare un abbordabile lucky loser. E invece all'ora di pranzo il numero due mondiale si è presentato regolarmente in campo per un buon allenamento agonistico (6-3 6-4 in poco più di un'ora) e poi si è soffermato su programmi e obiettivi. «Sono felice per la vittoria di Madrid e il 2 posto nel ranking - ha dichiarato Federer - ma i cambiamenti in classifica non mi sconvolgono. L'importante è rimanere nella top ten: avere la seconda o la terza testa di serie a Parigi non cambia le cose né per me, né per Nadal. La doppietta Roland Garros-Wimbledon? Difficile. Magari è più semplice vincere i Championships e poi l'Olimpiade».
Per Nadal, invece, è sicuramente più semplice conquistare il Roland Garros sull'amata terra battuta. Dopo due giorni di allenamento e attesa nel primo match serale lo spagnolo ha testato la superficie rossa del Foro Italico, ritrovando d'incanto gli automatismi persi sull'odiato campo blu di Madrid. L'avversario di primo turno non era Djokovic, è vero, ma Florian Mayer è giocatore di qualità, come dimostrato qui all'esordio contro il giovane canadese Raonic ma anche lo scorso anno a Shanghai, dove proprio Nadal dovette arrendersi. Stavolta, però, lo spagnolo non ha lasciato scampo al tedesco, dominando il primo set e poi sfruttando con la solita fantastica frustrata mancina l'unica occasione concessa dall'avversario nel secondo per chiudere 6-1 7-5.
Il pubblico del Foro ama i campioni, applaude Nadal e rimpiange la Azarenka: nell'ultimo match serale la numero uno ha superato l'israeliana Peer (6-1 6-2), ma poi ha annunciato il ritiro dal torneo per un problema alla spalla. Per fortuna Roma può consolarsi con Serena Williams: la campionessa americana ha sofferto contro l'ex top 3 Petrova, ma risolto la contesa in rimonta (4-6 6-2 6-3) e poi festeggiato insieme alla sorella Venus (7-5 6-1 alla Makarova). Non è una campionessa, invece, l'ex numero uno Wozniacki, costretta al ritiro per problemi respiratori contro la Medina Garrigues, peraltro già in vantaggio 6-4 4-0. E il torneo femminile ha perso subito anche la francese Bartoli, dominata 6-3 6-1 dalla Goerges. Ma il pubblico del Foro certo non si dispera, perché oggi giocano ancora Roger e Rafa.

INTERNAZIONALI D'ITALIA - INTERVISTE

Intervista a Maria Sharapova - «Amo Roma e voglio il bis Emozionata per l'Olimpiade

Claudio Lenzi, La Gazzetta dello Sport del 17.5.2012

1 Maria Sharapova, ieri ospite allo spazio Gazzetta, un anno fa vincitrice a Roma. Che cosa hanno di speciale gli Internazionali?
«Ho dei bellissimi ricordi dello scorso anno, per me è il torneo più importante da vincere tra quelli su terra a inizio stagione, perché affronti grandi avversarie e batterle ti dà molta fiducia. È bello essere qui nuovamente, tornare in questa città, essere la campionessa in carica. Amo la cultura e le persone, sono così calorose!».

2 II 2012 è un anno unico con il torneo olimpico che si svolgerà a Wimbledon. Cosa si aspetta?
«Sarà davvero un evento straordinario, quattro anni fa non ho partecipato ai Giochi di Pechino e sono davvero eccitata all'idea di prendere parte a una manifestazione che non mi ha mai vista al via. Sarà un onore rappresentare la Russia, è vero che lo faccio in ogni torneo, ma a Londra diventa unico e incredibile».

3 Tra gli uomini abbiamo i «Fab Four» Djokovic, Federer, Nadal e Murray. Tra le donne, a parte lei e Serena Williams?
«È difficile fare un paragone, quando si parla degli uomini conta soprattutto la rivalità tra loro, soprattutto tra i primi tre. Ma il livello del tennis femminile è cresciuto molto rispetto a qualche anno fa e sono curiosa di vedere cosa succederà nei prossimi mesi».

Intervista a David Ferrer - Ferrer: punto la semifinale

Mario Viggiani, Corriere dello Sport Roma del 17.5.2012

Giornata di riposo ieri agli Internazionali BNL d'Italia per David Ferrer. Già promosso agli ottavi del singolare dopo la vittoria al secondo turno nel derby con Fernando Verdasco per 6-3 7-6, eliminato invece nel doppio con l'altro connazionale Feliciano Lopez dalla coppia azzurra formata da Gianluca Naso e Filippo Volandri, lo spagnolo si è limitato ad allenarsi per un paio d'ore in tarda mattinata sul Campo 5.
Poi una rapida doccia e verso le 14, con una mezz'oretta di ritardo, ecco spuntare il numero 6 del mondo al Villaggio Ospitalità, dove ha fatto visita allo stand del Corriere dello Sport-Stadio e in un altro degli spazi vicini. Molto alla mano, come forse i giocatori spagnoli sanno essere più di altri, Ferrer ha ricevuto una targa-ricordo con la riproduzione di una delle prime pagine d'epoca del nostro giornale. E prima ha rilasciato una breve intervista-video per il sito web (www.corrieredello sport.it). Esprimendosi in un italiano più che discreto, aiutandosi ovviamente di tanto in tanto con lo spagnolo quando gli è servito per spiegarsi meglio.

LE SUE PAROLE - Allora, contro Verdasco è stato un buon esordio. «Sono in un valido momento di forma: mi sono allenato bene, sto bene. Adesso vediamo come andrò il prossimo turno». L'appuntamento con gli ottavi sarà per oggi, come detto negli ottavi, contro il francese Gilles Simon: seconda partita sulla SuperTennis Arena, sotto la Curva Sud dello Stadio Olimpico, dopo Cirstea-Kvitova.
«E' molto forte, anche lui».
Però va osservato come David sia in vantaggio per 3-1 nei precedenti su Simon, con le tre vittorie di Ferrer arrivate tutte sulla terra rossa.
Quali sono, più in generale, le aspettative per questo torneo?
«Innanzitutto giocare un buon tennis, il migliore possibile. Per il resto, farò come sempre: è importante restare concentrato sulla prossima partita, senza guardare avanti fino alle semifinali o alla finale».
Il circuito, o almeno gli appuntamenti più importanti, sembrano in mano ai Fab Four.
«Sono davvero i più forti, negli ultimi quattro anni hanno vinto tutto il meglio. Ovviamente anche qui a Roma spero di riuscire a entrare tra i primi quattro (in caso di successo su Simon, nei quarti Ferrer incrocerebbe Andy Murray, n.4 del mondo, il quale oggi negli ottavi affronterà l'altro francese Richard Gasquet - ndr)».


A TUTTO CALCIO - Come tutti i tennisti spagnoli, Ferrer (vincitore di 14 tornei Atp in singolare e di 2 in doppio, finalista a Roma nel 2010, è nato a Xabia nel 1982 e risiede a Valencia), oltre che seguire con interesse anche il basket, è essenzialmente un grande appassionato di calcio. Tifa per la squadra della sua città di residenza, e non vede l'ora di seguire quest'estate Casillas e compagni in occasione degli Europei. Spagna e Italia, nella prima fase, sono nello stesso girone. Firmeresti perché le due squadre possano ritrovarsi in finale? «Certo che si! Penso che tutte e due le squadre siano molto buone, hanno giocatori particolarmente bravi. Ovviamente spero che soprattutto la Spagna faccia un buon Europeo...».

INCONTRO AL FORO - I calciatori non mancano mai, come spettatori agli Internazionali. E infatti martedì scorso "Ferru" (questo il suo soprannome) ne ha approfittato per incontrare i romanisti Bojan Krkic e José Angel. «Muy simpaticos y buena gente», il suo commento sui due giallorossi. Probabile che oggi si rivedano anche loro sugli spalti del Foro Italico, anche se magari sarà più facile che questo accada sul Centrale piuttosto che sulla SuperTennis Arena, una vera fossa dei leoni dove difficilmente i calciatori ospiti del torneo riuscirebbero a seguire una partita in tutta tranquillità. Ad ogni modo, «Buena suerte, David!».

Intervista a Roger Federer - Parla il tennis

Gaia Piccardi, Corriere della Sera del 17.5.2012

«Ladies first» dice il Tennis con voce radiofonica sulla soglia di un piccolo paradiso moquettato di promesse: una chiacchierata («Sarò come un politico: non dirò niente!»), nella pancia del centrale degli Internazionali d'Italia, con il migliore in corso d'opera, fresco n.2 dell'Atp, il bel giovanotto svizzero che ieri ha fatto due passi a Roma (6-3, 6-4 all'argentino Berlocq) sulla strada dell'Immortalità.
Felpa rossa, ben rasato, mani da pianista con unghie perfette da manicure (ma sopracciglia, vivaddio, maschia-mente selvagge), cinque lingue parlate fluently (si scusa quando, sovrappensiero, passa dall'inglese al francese...), l'uomo da sposare se Mirka non ci avesse bruciate sul tempo è illuminato dalla pacificante luce interiore di chi, nella vita, fa esattamente ciò che è venuto per fare: Roger — Ruggero mancato per colpa dei 270 km che separano Basilea, dove è nato, dal confine italiano — Federer.
A 1770 punti di distacco da Noie Djokovic (un titolo Slam ne vale 2000), in piena seconda giovinezza, quel trono che ha già frequentato per 285 settimane e che le appartiene per diritto divino sembra di nuovo a portata di racchetta, Roger.
«A dire il vero è più un desiderio altrui, che mio. Il pensiero di tornare numero uno mi dà una vibrazione positiva ma di certo non è un chiodo fisso. Però è un bel cambiamento se penso che l'anno scorso, di questi tempi, mi veniva chiesto come ci si sente a scendere in classifica e se avrei mai più vinto un grande torneo in vita mia...!».
Dopo 16 titoli Slam, l'oro olimpico individuale è uno dei rarissimi traguardi che le mancano. Londra 2012 sarà l'occasione giusta?
«Il fatto che, rispetto a una volta, i top players partecipino ai Giochi la dice lunga su quanto io, Nadal e Djokovic teniamo al torneo olimpico. Sono felice, a poco più di 70 giorni da Londra, di essere ancora in forma e competitivo per ambire all'oro».
Farà ancora il portabandiera per la Svizzera?
«Credo di sì, e sarà la terza volta consecutiva: un record. La prima, ad Atene, fu un'emozione enorme, la seconda, a Pechino, una sorpresa. A Londra sarà un onore».
E così legato all'Olimpiade anche perché ai Giochi, nel 2000, conobbe la sua futura moglie?
«Sydney sarà sempre un posto speciale per me, ma la voglia che ho di vincere l'oro olimpico individuale prescinde da qualsiasi motivo romantico».
Con quale spirito, a quasi 31 anni (8 agosto), vivrà la sua quarta Olimpiade?
«A Sydney ero un ragazzino: andavo in giro per il villaggio, emozionatissimo, con il naso all'insù, sperando di incontrare i miei idoli. Ad Atene, benché già famoso, decisi di stare al villaggio e fu una follia: la gente si metteva in fila per una foto o un autografo in mensa, io odio dire di no ma la situazione era davvero ingestibile. A Pechino scelsi di stare in albergo e la decisione pagò: vinsi l'oro in doppio. A Londra non c'è dubbio: starò nella mia villetta vicino all'All England Club, come durante il torneo di Wimbledon».
Quali eventi non si perderà?
«Di certo mi sforzerò di trovare tempo per la finale dei 100 metri con Usain Bolt, per le partite del Dream Team Usa di basket e per il nuoto».
E meno male che non è andato in porto il misto con Martina Hingis...
«10-12 match in nove giorni mi sembrano già più che sufficienti, alla mia età!».
Sta dicendo che a Rio de Janeiro 2016 ci lascerà orfani?
«Sto già pensando al calendario dell'anno prossimo: non voglio giocare troppi tornei, ma quelli giusti. Non è più una questione di quantità, ormai... Nel 2013, quindi, ci sarò di sicuro. Poi valuterò anno per anno, senza pressione e senza fretta. Voglio essere certo di prendere le decisioni giuste e non è affatto impossibile che io sia ai Giochi di Rio. Ma la fine non mi fa paura, soprattutto con una famiglia».
C'è qualcuno, oggi, che la ispira almeno la metà di quanto lei ispiri chi gioca a tennis?
«Ho incontrato tutti i miei eroi dello sport: a questo punto della mia carriera non sono in cerca di modelli, li inseguivo di più quand'ero ragazzino».
Chi ha carisma, secondo lei?
«I numeri uno: Tiger Woods, Michael Schumacher, Valentino Rossi... Gli ex campioni del mio sport: Laver, Becker, il mio idolo d'infanzia Sampras. Muhammad Ali e Mandela».
Cos'ha di così speciale Valentino, ai suoi occhi?
«Quando l'ho visto correre all'Estoril non potevo credere che in curva piegasse così tanto, che prendesse rischi così alti. Valentino è un fuoriclasse sulla breccia da tanti anni e forse questa longevità ci accomuna. Adoro il suo spirito, la sua ironia, il suo modo di fare. E oggi continua anche se non è più il dominatore incontrastato, anche se deve fare a spallate con i giovani tutti i giorni. Non molla, ecco. E io, per questo, lo rispetto moltissimo».
Ha conosciuto Simoncelli?
«No, ma dopo la tragedia di Sepang ho scritto un messaggio a Valentino».
Cos'ha scoperto di sé che già non sapesse, attraverso la paternità?
«Oh, un mondo di cose. Non sapevo nulla di bambini, prima di averli. Poi, un giorno, ti mettono in braccio due creature, e tu sei loro padre. Tutto cambia in quel preciso istante: priorità, esigenze, routine, vita. Non finirò mai di ringraziare Mirka per il tempo e l'amore con cui accudisce Myla Rose e Charlene Riva, permettendomi di rimanere concentrato sul tennis. E viaggiare con due bimbe piccole è una bella sfida: le mie necessità non vengono più per prime».
A questo punto della sua esistenza, c'è qualcosa al mondo che eguaglia la magia di vederle crescere?
«No, no, no...».
Quando è stata l'ultima volta che l'hanno lasciata a bocca aperta?
«Qualsiasi cosa dicano, è buffa. Stanno per compiere tre anni e ormai parlano, in inglese. Ogni giorno mi stupisco di qualcosa che fanno o dicono. Il difficile, in questa fase, è dire loro di no, insegnare cosa può e non può essere fatto, dare una disciplina. Le bambine hanno una dose di energia che io e Mirka non abbiamo: fanno un pisolino e tornano superattive mentre noi, magari, siamo stravolti... Insomma, è un gran divertimento, una vera gioia essere testimone della loro crescita».
Roger, le manca qualcosa?
«Nulla. Ho il mio tennis, le mie figlie, mia moglie, e il privilegio di essere ancora una figura centrale nel mio sport. Parlavo con Carlos Moya (ex n.1 spagnolo, ndr), l'altro giorno, e mi diceva che oggi si rammarica di non essere diventato padre quando ancora era professionista. In effetti devo ammettere che quando torno dall'allenamento o dal match e trovo le bimbe che mi aspettano per giocare, non vorrei cambiare nemmeno una virgola della mia realtà».
Complimenti per la dedizione e il talento con cui se l'è costruita.
«Sono fortunato, e grato: devo ringraziare moltissime persone intorno a me che mi permettono di essere un tennista di alto livello godendomi la famiglia. Ecco, riuscire ad essere il n.2 del mondo e un buon padre oggi è forse l'emozione più grande».
Un ottimo motivo per allargare la famiglia.
«Chi lo sa, mai dire mai... Al momento siamo molto felici così, ma magari tra un po'...».

Intervista a Roger Federer - Il campione perfetto

Dario Cresto-Dina, la Repubblica del 17.5.2012

Direte, è facile sfiorare la perfezione o simularla quando ti chiami Roger Federer. Quando sei bello, ancora giovane, famoso e guadagni sessanta milioni di dollari l'anno, meglio di te solo Tiger Woods. Quando sei svizzero tedesco, e qualcosa vorrà ben dire anche se per fortuna non sei appassionato di orologi a cucù, hai giocato più di mille partite in ogni angolo della terra e sei stato per 237 settimane consecutive il numero uno della classifica mondiale. Quando possiedi un rovescio da Cappella Sistina e hai una moglie che custodisce i tuoi misteri assieme alle tue finanze e due gemelline che hai chiamato Charlene Riva e Myla Rose che sono una gioia e non patiranno certo un futuro da precarie. Puoi permetterti di essere amabile nei confronti del circo, anzi, hai il dovere di esserlo, sfoggiando con chiunque la stessa naturale noncurante precisione con la quale la prima cosa che fai dopo la doccia postallenamento è infilare al polso sinistro il Rolex, come da contratto con il tuo principale e storico sponsor. Ma poi ci sono particolari da cui si giudica un giocatore. E, forse, anche l'uomo.

Mentre attendiamo che Roger indossi i pantaloni blu della tuta e una t-shirt amaranto e si presenti al rendez-vous con la sua faccia sempre perfettamente rasata, il fotografo Gianni Caccia che frequenta il circuito da trent'anni mi racconta di quella volta a Miami: «Ero piegato in due dal dolore alla schiena. Incrocio Federer, si ferma e mi domanda: che t'è successo? Gli spiego: una maledetta vertebra. Ti mando Pavel, il mio osteopata, mi fa, e gli dico di stare con te finché non ti rimette dritto. Due anni dopo ci incontriamo di nuovo agli Us Open e la prima cosa che mi dice è: ehi, Gianni! Come sta la tua vertebra? Lui è così: vede gli altri, non dimentica, è generoso. Averne, qui in mezzo...» E scuote la testa.
In una saletta del Foro Italico Federer ci aspetta in piedi, si siede solo dopo i saluti e soltanto dopo di noi, mi dice che è andato a vedere il Colosseo e San Pietro, che un'anca gli duole, quale lingua prediligo per la nostra conversazione — francese, inglese, tedesco, un po' di italiano?—e che lui, se voglio, è pronto. Sorride e gli si formano le rughe sulla fronte, non ha più la faccia tonda e un po' paffuta del ragazzino da latte che nel 2001 sconfisse Sampras in cinque set a Wimbledon ponendo fine alla striscia di trentuno vittorie consecutive dell'americano sull'erba del tempio del tennis. Il tempo lo ha asciugato, scucendogli di dosso la verginità di una adolescenza ritardata e ignara di sé. L'8 agosto compirà 31 anni.
Rod Laver ha smesso a trentasei, come Agassi, McEnroe e Sampras a trentatré, Borg a ventisette. Ha detto Martina Navratilova qualche mese fa: «Roger ha un palmarès da record, potrebbe passare il resto della vita a sorseggiare margarita». Oppure skiwasser nel giardino dei FinziContini. Ci sta pensando?
«Oh, certo! Ma è più giusto che le risponda al passato: ci ho pensato. Ho preso delle decisioni e ho messo la questione da parte. Come sono convinto che se desideri troppo intensamente una cosa non l'avrai mai, allo stesso modo credo che se pensassi troppo al mio ritiro la mia carriera finirebbe molto prima del previsto. Non mi nascondo la realtà. Ho alle spalle più strada di quanta me ne resti da percorrere, so che il tennis si fermerà molto presto».
Quali decisioni ha preso?
«Giocare ancora quattro, forse cinque anni. Sto bene e mi auguro che il fisico non mi tradisca».
Ho letto da qualche parte che vuole vincere le Olimpiadi a Londra e ancora una volta Wimbledon. È vero?
«Nel cuore ci sono molte cose. Nella testa so che voglio tornare a essere il numero uno».
Ha scritto André Agassi: "Odio il tennis eppure continuo a giocare perché non posso fare altrimenti. Ho 36 anni, ma al risveglio me ne sento 96. Dopo trent'anni di scatti, di arresti improvvisi, balzi e atterraggi il corpo non sembra più il mio, neanche la mente". Le è mai successo?
Ride. «Devo confessarle una cosa. Ho il libro di André. Ne ho letto solo venti pagine. Non so perché, forse per la semplice ragione che non ho molta confidenza con i libri. Dieci, quindici anni di tennis sono pesanti e quando invecchi ogni anno ti sembra doppio. Spesso il mattino è il presentimento del nostro destino, conosco bene i dolori di cui parla Agassi. La spalla, la schiena... Ho bisogno di essere curato, di dormire bene, di mangiare sano. Sa, ho pianto molto in tutti questi anni, ma non ho mai sofferto di depressione. Mai finito in un buco, dentro un pozzo. I match che ricordo più volentieri sono quelli che stavo perdendo e sono stato capace di ribaltare».
Lei dà l'impressione di camminare senza scarpe, come se i suoi piedi non toccassero terra. lon Tiriac ha usato questo paragone per spiegare quanto poco sforzo lei faccia in campo:"Nadal suona la batteria, Federer suona il pianoforte". E d'accordo?
«Sono stato fortunato e ho avuto buoni allenatori. Sono cattolico, devo ringraziare anche Dio per i talenti che mi ha dato».
Il tennis è un gioco criminale, molto dipende da spazi e tempi quasi infinitesimali, particolari che possono sembrare trascurabili risultano invece decisivi. Dice Ivan Lendl: "Con l'età i movimenti diventano un po' più lenti. Non tanto correndo in avanti, quanto nell'invertire la corsa. Quando si cominciano a perdere frazioni di secondo qua e là, alla fine si sommano e fanno male. Ci siamo passati tutti, ci è passato Sampras, ci sono passato io e toccherà anche a Federer". Vede lampeggiare qualche spia di allarme nel circondario?
«Le ho viste, soprattutto quando avevo la mononucleosi. Sa che cosa, soprattutto? Le palle. Le palle arrivavano più veloci. Non riuscivo a giocare sia in difesa sia in attacco. Dovevo stare sulla linea di fondo. Oggi sto bene, mi sento forte, penso positivo. Può sembrarle banale, ma la vita può anche essere semplice».
Come si gestisce il declino di un atleta straordinario come lei?
«So che non lo trascinerò, non mi farò a brandelli. Spiegherò: ragazzi, questa sarà la mia ultima stagione. Quando si fermeranno le mie gambe, mi fermerò. Sarò felice nell'altra vita: la famiglia, gli amici, la mia casa, la fondazione per i poveri del Sudafrica. Cercherò di restare nel tennis. Mi piacerebbe fare il capitano di Coppa Davis per il mio Paese, allenare i ragazzi, decidere percorsi che in questo momento sono impraticabili».
Lei è davvero felice, se si può usare questa parola intraducibile anche sul piano filosofico?
«Sono contento, equilibrato, realista. Non dimentichi che sono svizzero, quindi poco propenso a viaggiare con la mente verso pianeti lontani. Se devo stilare una classifica della felicità, metto tre momenti, in ordine temporale: la prima vittoria a Wimbledon, il matrimonio con Mirka e la nascita delle mie figlie, gemelle, una sensazione meravigliosa bizzarra».
Voleva Wimbledon fin da bambino?
«No, i miei genitori non mi avevano programmato come è capitato a Martina Hingis. Ci ho pensato solo nel '98, dopo il successo nel torneo juniores. Se hai vinto questo, mi sono detto, perché non dovresti farcela presto anche con quello professionistico?».
Essere divenuto padre l'ha cambiato?
«No, possedevo già un mio orizzonte. Non ho bisogno di una famiglia per tenere gli occhi aperti, sapere come va il mondo e quanto io sia fortunato e ricco. La paternità non ti cambia, ti aggiunge qualcosa, anche fisicamente. Con Charlene e Myla faccio cose che non ho mai fatto o che avevo dimenticato: gettare un sasso nell'acqua, andare allo zoo, tenere in braccio una calda parte di te. E poi loro sono la vita, voglio dire che impersonano l'estremità opposta alla morte. In questa fase della mia esistenza sono circondato da molte persone che hanno figli piccoli, un'atmosfera che mi regala una sensazione di eternità».
Aerei, alberghi, auto, spogliatoi e ancora aerei, alberghi, auto e spogliatoi. Non soffre la solitudine, il vuoto? «Solo in campo, molto spesso. Mi dico: Roger, c'è troppa calma qui dentro. Anche per questa ragione, fuori, voglio tanta gente attorno, cerco qualcuno che mi tenga compagnia anche per la colazione del mattino o un caffè».
Il tempo è scaduto, ammonisce il responsabile dell'Atp che si occupa dei giocatori a Roma. Ci ricorda che avevamo mezz'ora. Federer gli fa un cenno, andiamo avanti.
Le cito ancora Agassi, dopo aver perso l'ultima volta con lei: "È semplicissimo, la maggior parte delle persone ha dei punti deboli. Federer non ne ha. Compatisco chi lo dovrà affrontare". E poi Gianni Clerici: "Il poeta è Federer". Che cosa è più importante: la vittoria o la perfezione del gesto?
«Le vittorie ti dicono sempre la verità. Certificano se sei bravo o no. Sono orgoglioso di essere stato il migliore al mondo in qualche cosa, in un mestiere. La gente mi ammira, tutti ascoltano quello che ho da dire, osservano e giudicano ciò che faccio. Con gli anni ho capito che se hai preso tanto qualcosa devi restituire. Il gesto tecnico? Oh, sicuro: mi piace vedermi giocare, sentirmi giocare, mi sento felice come quando da bambino ho tirato i primi colpi belli con una racchetta e la racchetta mi pareva il prolungamento del mio corpo. Mi riconosco nella definizione di giocatore classico e moderno. Nel tennis ci sono tre colpi fondamentali: battuta, dritto, rovescio. Se li hai tutti puoi stare in campo anche se quel giorno due non ti funzionano, ma se ti molla anche il terzo è il disastro».
Che cosa ha imparato dalle sconfitte?
«A reagire. E a accettare di non poter essere sempre il migliore».
Vecchio dilemma: è lei il più grande tennista di tutti 1 tempi?
«Io mi sono perso decenni di storia. Ma so quali sono stati i campioni e quali le leggende: Laver, Rosewall, Newcombe, Borg, Connors, McEnroe, jiecker, Lendl, Agassi, Sampras...Un tempo il montepreml dl un torneo era di cento franchi o un voucher per il pranzo, oggi il circuito si è trasformato in un enorme business. Dobbiamo ringraziare chi è venuto prima di noi, sono stati loro a consentirci di realizzare un sogno incredibile. Su chi sia il più grande non c'è risposta».

 

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