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24/05/2012 13:27 CEST - Personaggi

"Mi piace avere il destino nelle mani"

TENNIS - Sei anni di inattività e cinque interventi chirurgici non hanno piegato la volontà di Brian Baker. Un tempo era il miglior prospetto di tutti gli Stati Uniti. Ora è tornato. Ha battuto Monfils a Nizza e avrà una wild card per il Roland Garros. Alessandro Mastroluca

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Tutto questo non è cipria, è sorriso, non è luce, è solo un attimo di gloria. La Parigi di Paolo Conte, dove tutt’intorno è solo pioggia e Francia, è la Parigi di Brian Baker. Qui è iniziata la sua storia, qui può ripartire il suo attimo di gloria atteso nove anni, dopo una parentesi lunga sei condita di dubbi, di dolore, di cinque interventi chirurgici.

A 15 anni era il miglior prospetto under-18 di tutti gli Stati Uniti. Adesso, a 27, non si rassegna a guardarsi indietro, a quei giorni di gloria ormai passati. Batteva Berdych, Murray, Djokovic. “Li vedo adesso che hanno avuto successo e mi chiedo: ‘avrei potuto essere io uno di loro?’”.

E’ rientrato in un maindraw ATP, a Nizza. Ha battuto Stakhovsky al primo turno e sorpreso Monfils al secondo, 63 76 rimontando da 3-6 nel tiebreak. Fra una settimana sarà in tabellone al Roland Garros, grazie a una wild card. Rivedendolo in tabellone, ha spiegato, Brad Gilbert ci ha messo un po’ a capire chi fosse. “Ricordo che mi sono girato e ho detto a qualcuno ‘chissà che gli è successo in questi anni?’”.

Per iniziare a rispondere torniamo indietro all’estate del 2003. Brian è un ragazzone di grandi speranze. Ha iniziato a giocare nel campo sul retro di casa sua, a due anni e mezzo, con i fratelli più grandi. Tutti lo chiamano “il nuovo Roddick” e A-Rod lo invita a casa sua una settimana per allenarsi con lui. Non ha solo un gran talento, ha una qualità che per gli americani è merce quanto mai rara: gioca bene sulla terra rossa. Al Roland Garros junior del 2003 elimina Baghdatis nei quarti, Tsonga in semifinale e perde in tre set tirati da Wawrinka in finale.

Nel 2005 il suo corpo per la prima volta gli disobbedisce: infortunio al legamento mediale collaterale in un incontro di qualificazione a Wimbledon contro Novak Djokovic. A gennaio aveva lasciato appena sei giochi all’attuale numero 1 del mondo.

Pochi mesi e tutto sembra messo alle spalle. A Flushing Meadows domina il campione in carica del Roland Garros, Gaston Gaudio, 76 62 64. Non sapeva che quella sarebbe rimasta la più grande partita della sua carriera.

“Mi piacciono gli aspetti individuali del tennis” ha detto in un intervista sul sito dell’ADNA, l’azienda che lo sponsorizza. “Mi piace sapere di avere il mio destino nelle mani ogni giorno”. Una ferma convinzione che non l’ha mai abbandonato nemmeno quando il suo fisico lo tradisce. Intervento all’anca sinistra. “E’ stato il peggiore” ha confessato Baker, perché campioni come Magnus Norman o Guga Kuerten non si sono mai ripresi del tutto dopo un’operazione simile. Poi un ernia. Poi il gomito e la cosiddetta “procedura Tommy John”: in pratica si sostituisce il legamento ulnare collaterale con un tendine preso dall’avambraccio, dal polso o dal piede. Prende il nome dal pitcher dei Los Angeles Dodgers che per primo si è sottoposto a questo tipo di intervento nel 1974. È molto comune tra i giocatori di baseball, molto meno fra i tennisti. Il dottor Andrews, che ha operato Baker, ha completato oltre 1300 interventi di questo tipo, ma solo 5 o 6 casi riguardavano tennisti. Poi ancora altri due interventi all’anca.

“Dentro di me ho sempre creduto che sarei tornato, o almeno che mi avrei dato a me stesso una chance di rientrare” ha detto. “Allo stesso tempo ero realista. Dopo così tanti interventi, non sai mai se potrai essere di nuovo in grado di giocare allo stesso livello. Ho imparato che non puoi combattere quello che non puoi controllare. Ci sono stati momenti in cui mi sono chiesto ‘Perché io?’. Ma provi ad andare avanti e sperare che arriveranno tempi migliori”.

Nell’autunno del 2008 torna a casa, a Nashville, e si iscrive alla vicina Belmont University. Studia e intanto lavora come assistente del coach Jim Madrigal. “Dava consigli ai ragazzi, scambiava con loro e usava tutto questo come un allenamento per lui”. Nel 2011 rientra. Gioca un Futures a Pittsburgh e lo vince, battendo in finale il campione del Roland Garros junior Bjorn Fratangelo. Deve poi star fermo due mesi. Da settembre la sua carriera riparte. Lascia l’università, nonostante abbia già pagato per l’intero semestre, con la benedizione di papà Steve. “Aveva 26 anni, stava giocando bene. Gli ho detto: ora o mai più”. Dal nulla, arriva in finale al Challenger di Knoxville: elimina Cox, Smyczek e Mclune nelle qualificazioni; Matsukevitch, Van der Merwe, Ignatik e Jamie Baker nel main draw prima di arrendersi in finale a Levine. 

Quest’anno ha vinto due Futures, ha perso in tre set tirati da Querrey al Challenger di Sarasota e vinto a Savannah, la settimana scorsa. È risalito al numero 216 del mondo e grazie a questa vittoria ha ottenuto la wild card per il Roland Garros. La USTA, infatti, ha diritto a un invito per lo Slam parigino, e ha deciso di assegnarla al giocatore che avrebbe ottenuto i migliori risultati in questi due Challenger.

Baker tornerà in un major dopo sette anni e per la prima volta ne giocherà uno fuori dagli Stati Uniti, lui che da giovane ha spesso cercato punti ed esperienze in Europa. “Penso che adesso si goda un po’ di più il suo successo, ha capito che non puoi dare niente per scontato” ha detto Steve Baker.

“Non vado in campo solo per giocare” ha spiegato Brian. “Ogni volta che scendi in campo devi credere di poter vincere, altrimenti non dovresti nemmeno presentarti. Allo stesso tempo non mi metto nessuna pressione addosso. Voglio fare il mio gioco e fare il massimo per vincere. Sono fiducioso, ma so quanto velocemente tutto questo può sparire. Farò tutto quanto in mio potere perché stavolta duri a lungo”.

Non sarà luce, tutto questo, ma essere risalito al numero 216 delle classifiche dopo sei anni di inattività è un attimo di gloria, è la forza della perseveranza e della persistenza. È un messaggio. Quel che un tempo hai chiamato dolore, è soltanto un discorso sospeso.

Alessandro Mastroluca

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