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25/05/2012 15:54 CEST - SOL LEVANTE

La nuova frontiera del tennis italiano?

Da Date, Sawamatsu e Matsuoka a Nishikori, Soeda e Ito, passando per Suzuki e..per un fuoriclasse del wheelchair tennis: il Giappone sta sempre di più guadagnando un posto al sole del tennis mondiale, anche grazie all’operato di alcuni tecnici del Belpaese. Christian Turba e Erika Tanaka

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La via l’avevano tracciata loro, tra gli anni’80 e gli anni’90. Shuzo Matsuoka –primo ad aggiudicarsi un titolo ATP a Seoul-, la pugnace Naoko Sawamatsu e l’immarcescibile Kimiko Date, numero 4 mondiale nel 1995. Dopo una decina d’anni di silenzio, a riaprire il cammino ci ha pensato Kei Nishikori, new-entry nella top 20 mondiale in seguito a un processo di lenta ma costante crescita culminato con la finale di Basilea e i quarti dell’Australian Open. E infine, sulla spinta dell’ascesa del 22enne di Shimane, sono arrivati l’ingresso nel World Group di Coppa Davis e l’onorevole sconfitta contro la Croazia, con doppio successo di Nishikori e Soeda ai danni di Dodig. Si, una delle piacevoli novità delle ultime 2 stagioni tennistiche è l’ascesa del tennis giapponese, per ora limitata al settore maschile ma che pian piano sta coinvolgendo anche le donne. Mai come in questo momento i nipponici sono stati così in alto nel ranking: tra gli uomini, dallo scorso 12 marzo, ce ne sono ben tre in top 100 (Nishikori, Soeda, Ito),record storico.

Un crescendo wagneriano, nel quale i coach del Belpaese hanno qualche.. responsabilità. Ha iniziato Claudio Pistolesi  nel 1996 con Takao Suzuki (con il quale ha persino vinto un torneo di doppio) e come coach della squadra di Coppa Davis, poi Roberto Antonini ha offerto i propri servizi a Tatsuma Ito, infine -da circa 2 anni- Davide Sanguinetti forma una coppia solida e affiatata con Go Soeda. I risultati sono stati più che positivi. Nelle mani di “ Pistola”, il piccolo Suzuki ha sfiorato la top 100, impegnando re Federer agli Australian Open 2005 e in casa a Tokyo 2006; Ito, dopo aver costeggiato per tempo l’elite del tennis mondiale, l’ha finalmente raggiunta in maniera stabile; quanto a Soeda, a inizio stagione ha stupito tutti battendo Wawrinka a Chennai, prima dell’eroica vittoria su Dodig nel 1°turno di Coppa Davis. La  scorsa settimana, questi ultimi si sono sfidati nella finale del challenger di Kahsiung, in un derby che per entrambi ha significato best ranking: Soeda –vincitore col punteggio di 6-3 6-0-si è issato al numero 59, mentre Ito è entrato nella top 80. E non dimentichiamo il settore femminile, con Massimo D’Adamo che per alcuni anni è stato mentore dell’ex pro Yuka Yoshida (numero 52 nel 1997)
Non c’è da stupirsi. Il tennis italiano, malgrado la difficoltà attuale, ha una tradizione ricca e solida, e l’esperienza acquisita sui campi da gioco di tutto il mondo, nonché la competenza tecnica, dei nostri coach non possono che giovare a un movimento florido ma ancora giovane come quello nipponico.

Per avere un punto di vista “interno” su questa Sacra Alleanza italo-giapponese, siamo andati ad intervistare –nelle coulisses del Master 1000 di Montecarlo- Hide Sakamoto, factotum del tennis nipponico. Ex giocatore, commentatore per il network Wowow, già coach di Kimiko Date, uomo dietro le quinte del partnership siglato da Kei Nishikori con la marca d’abbigliamento Uniqlo (soffiandolo ad Adidas quando Kei non era ancora nella top 50), Sakamoto è soprattutto il manager storico di Go Soeda e colui che ha concretizzato a livello amministrativo la collaborazione tra il 27enne di Kanagawa e Sanguinetti, ideata da Claudio Pistolesi il quale pensava –giustamente a quanto pare- che il metodo d’allenamento del coach spezzino potesse addirsi allo stile di gioco del suo protetto.
Sakamoto ci ha rivelato che ogni inverno, in Thailandia, viene organizzato un camp che vede i giocatori giapponesi allenarsi sotto la guida di coach italiani: Soeda e Yuichi Sugita (numero 162 ATP) vi hanno partecipato in passato, mentre tutti i tennisti di livello più basso vi sono regolarmente presenti.
Visto il nuovo best ranking di Go, devo dire che l'esportazione del tennis italiano in Giappone sta dando frutti positivi” –ha detto Sakamoto- Ci aiutiamo a vicenda. Oltre all’esperienza ad alto livello, la vostra caratteristica che dà equilibrio al nostro tennis è l’ innata spensieratezza ed allegria; d’altra parte, la correttezza e serietà dei giapponesi piace agli italiani con cui siamo in contatto, soprattutto al team di Claudio Pistolesi. Speriamo di avere una relazione ancora più forte in futuro”


Ma, con tutto il bene che possiamo volere ai tecnici di casa nostra, l’ improvvisa esplosione del tennis nipponico non può ridursi solo alla loro opera. Curiosi, abbiamo chiesto lumi a Tatsuma Ito durante il torneo di Marsiglia. Immediatamente, il numero 80 del mondo ha tenuto a riconoscere i meriti della Federazione. “ Quattro anni fa il governo, in collaborazione con la Federazione tennis giapponese (JTA) ed il Comitato Olimpico Giapponese (JOC), ha deciso di costruire un centro nazionale sportivo, cosa che prima mancava –ha rivelato Ito-. Ora, noi ragazzi del gruppo nazionale tennis possiamo allenarci tutti i giorni, con allenatori scelti dalla Federazione. Fino a 15 anni fa esisteva un centro privato, poi 10 anni di silenzio: finalmente, ora, abbiamo questo centro”.

Il National Training Center di Tokyo (“un gioiello di tecnologia e funzionalita’, creato per il bene degli atleti e basta »- Pistolesi dixit) ha chiaramente “professionalizzato”  i metodi d’allenamento. “Prima della sua costruzione, i giocatori erano obbligati a cercarsi i campi da soli tutti i giorni –afferma Ito-: spesso mancavano gli allenatori e non si aveva nemmeno la sicurezza di potersi allenare con quelli di pari livello. E’chiaro che questo centro ha cambiato drasticamente il nostro metodo di allenamento”. Ancora una volta, occorre sottolineare il ruolo della federazione: “ La Jta- afferma Ito- ce la sta mettendo tutta per fare funzionare il team nazionale, in collaborazione con il comitato olimpico nazionale giapponese”. Inutile dire che l’obiettivo annuale di Tatsuma -ma presumibilmente anche di Soeda- sia quello di partecipare ai Giochi Olimpici di Londra..

Ma la pur meritoria opera della Federazione non basta a spiegare questo “boom” del tennis in Giappone, a livello professionistico e amatoriale (il Giappone è la terza nazione al mondo per numero di praticanti, ndr). La ragione è anche e soprattutto “umana”, da ricercare nello spirito collaborativo che da sempre caratterizza i popoli asiatici, e in particolare quello nipponico. “E’ una realta’ di tennis nazionale stupenda con una passione per il nostro sport che difficilmente si riscontra negli altri continenti –dichiarava qualche anno fa Claudio Pistolesi ai colleghi di Spazio Tennis- « La squadra di Davis e’ un gruppo unitissimo le cui famiglie si frequentano tutto l’anno –aggiungeva il tecnico romano- e anche nei tornei c’è armonia e collaborazione tra tutti. Un ” sistema ” basato sui rapporti umani e non sulla paura di ritorsioni da parte del ” potere” tennistico.”


Una descrizione più che mai calzante. Per capire come anche gli ex giocatori si implichino nella crescita nel loro sport, si pensi che dopo il ritiro Shuzo Matsuoka ha creato lo “Shuzo Challenge”, un camp per giovani promesse frequentato anche da un Nishikori 12enne e finanziato dalla JTA.
Stando a Ito, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, l’improvvisa esplosione della stagione asiatica non ha invece contribuito più di tanto al “boom nipponico”: “In fin dei conti non ci sono tanti tornei in Asia –afferma Tatsuma- ed il loro livello è sicuramente inferiore a quello dei tornei europei. Diciamo che ci aiutano perché prendiamo più punti ATP: inoltre sono più comodi e c’è meno fuso orario

Last but not the least, dietro la crescita repentina del tennis nipponico, indirettamente, c’è un..tennista in carrozzina. Il suo nome è Shingo Kunieda, e parliamo di una vera e propria referenza nel settore: ITF Champion per 4 stagioni consecutive (2007-2010), 13 Slam vinti in singolo e 11 in doppio tra 2006 e 2011 –senza Wimbledon, ma con 2 British Open che ne sono il corrispettivo  – più 2 ori alle Parolimpiadi, ad Atene 2004 in coppia con Satoshi Saida e a Pechino 2008 nella prova di singolare. Insomma, una Esther Vergeer in pantaloni corti, un atleta talmente dominante per un quinquennio da aver avuto l’onore della citazione da parte di uno che di domini se ne intende.  Alla domanda dello stesso Shuzo Matsuoka “ come faranno i tennisti giapponesi ad arrivare al top?” Roger Federer rispose: “Non vi preoccupate. Avete già Kunieda in Giappone”. Attualmente è fermo dagli Us Open 2011 a causa di un’operazione al gomito, ma da circa una settimana ha ripreso ad allenarsi con la pallina in vista dei Giochi Olimpici di Londra, vero obiettivo stagionale.

Essendo –suo malgrado- il tennis in carrozzina uno sport poco mediatizzato, l’influenza di Kunieda nel paese del Sol Levante è  inferiore a quella che può aver avuto un Nishìkori coi suoi recenti exploit: tuttavia, la forza mentale del 28enne di Tokyo e la sua capacità di superare l’handicap della paraplegia per arrivare al top hanno attirato le prime pagine di giornali e televisioni, che gli dedicano interviste e documentari senza sosta. Anche Uniqlo, ancor prima di accaparrarsi il prestigioso nome di Nishikori, non si è fatta sfuggire l’occasione e, dall’agosto 2009, è diventata Sponsor ufficiale del Federer in carrozzina. Soprattutto, l’esempio di Kunieda ha accelerato la pratica del suo sport in Giappone: al Tennis Training Center di Kashiwa- l’Academy presso cui Shingo si allena, gestita tra l’altro dal marito della vincitrice del doppio di Wimbledon 1975, Kazuto Sawamatsu- il numero di praticanti del “ wheelchair tennis” è passato da 4 a 15 nel giro di 3 anni, mentre la quantità di spettatori del Wheelchair Japan Open è decollata dai 100-200 del 2002  ai 1000 delle ultime edizioni.


Proviamo ora a tracciare un profilo tipo dei tennisti nipponici. Come la quasi totalità dei tennisti asiatici, sono relativamente piccoli (Ito misura 180 cm, Soeda 178, Suzuki 175) ed hanno un gioco assai ordinato, geometrico ma per così dire “monocorde”, senza alcun colpo che spicchi tra gli altri: esclusivamente destri –la stessa Date, mancina, fu impostata a giocare con la mano destra a causa dell’opposizone culturale al “ mancinismo“-, prediligono le superfici dure e s’ispirano a giocatori dallo stile semplice, “tennisti come Tipsarevic o Ferrer, quelli non molto alti con dei colpi forti” (Ito dixit). Lo stesso Kunieda non sfigge a questo identikit.


Per riassumere, non abbiamo davanti gli eredi di Federer che porteranno varietà tennistica in quest’epoca di uniformizzazione, ma si tratta comunque di ottimi giocatori. Tutti rappresentano con pari dignità il Giappone, anche se la presenza di Nishikori è certo importante: “Kei è una fonte d’ispirazione non solo per noi tennisti, ma anche e soprattutto per il pubblico –ammette Ito-. Grazie ai suoi risultati, l'attenzione dei media giapponesi verso il tennis ha toccato vette mai sfiorate prima.. Nell’ultimo match di Coppa Davis, in conferenza stampa, abbiamo visto tantissimi giornalisti e telecamere e ci siamo detti, "Dove siete stati finora?"”.

Chiaramente, il numero 17 mondiale è l’acmé di questo movimento, ma rappresenta un caso a parte rispetto ai suoi colleghi. Messo sui campi da tennis all’età di 5 anni, il 22 enne di Shimane è presto emigrato in Florida per far parte della Nick Bollettieri Academy, grazie a un fondo gratuito concesso dal presidente della Sony. Nell’ambiente scafato dell’Academy, e non senza l’influenza del figlio di Brad Gilbert-suo compagno di camera-Kei è cresciuto gradualmente, abbandonando poco a poco la sua timidezza e incalanando la proverbiale correttezza giapponese in un modo di giocare deciso e coraggioso.

Ecco, il caso di Nishikori mostra –al contrario- il limite principale del tennis nipponico, quello che Davide Sanguinetti ci aveva fatto intendere quando l’avevamo intervistato nel corso dell’Open 13: i tennisti giapponesi sono per lo più chiusi, timidi, pigri, non hanno voglia di emigrare in Europa o in America per emergere. Davide stesso aveva confessato di aver in qualche modo “imposto” al suo protetto Soeda la partecipazione al challenger di Bergamo, per evitare che restasse troppo tempo a Tokyo dopo la Coppa Davis.
Anche Ito, a domanda precisa, ha risposto che “sono abbastanza soddisfatto della mia situazione attuale, del team e dei metodi d’allenamento, dunque non penso a cambiarla” –postillando però che “chissà, un'altra base negli Stati Uniti o in Europa aiuterebbe sempre durante la stagione”..

Ecco qua, l’ultimo terreno di sfida per Sanguinetti e per chiunque volesse proseguire quest’alleanza “italo-giapponese”: “globalizzare” i giapponesi e renderli per così dire più “americani”, spingerli a credere in loro stessi e dirsi “ sono forte”.

Come ha fatto Nishikori, o ancora meglio come ha fatto Kunieda, che sulla sua racchetta ha inciso in alfabeto giapponese la frase:"Io sono il più forte"..Tutto partì da una mental trainer australiana, che nel gennaio 2006, chiese a un Shingo ancora giovane e acerbo se pensasse di poter diventare il numero 1 mondiale: alla risposta dell’interessato "I want to" (lo voglio diventare), la trainer disse al nipponico "d’ora in poi dovrai imparare a dire "Io sono il numero 1 mondiale", e glielo fece persino gridare nel players' lounge di Melbourne. Inizialmente imbarazzato, Kunieda continuò comunque a ripetere la frase ogni giorno davanti allo specchio e pian piano divenne più sicuro di sé, si concentrò maggiormente sugli allenamenti, in breve migliorò il suo tennis. Sorpreso dal repentino cambiamento, nel maggio dello stesso anno Kunieda conquistò la prima di sei vittorie al Japan Open, poi in autunno la vetta del ranking mondiale, e via via tutti gli altri successi.

Sapranno i suoi dirimpettai imitare il grande percorso di crescita mentale dell’allievo di Hiromichi Maruyama? Ai posteri l’ardua sentenza..


 

Christian Turba e Erika Tanaka

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