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24/06/2012 16:07 CEST - Wimbledon

Il miglior attacco è la difesa

TENNIS - Essere giocatori da fondocampo e giocare a Wimbledon: nel tennis maschile è stato a lungo un incubo, oggi non lo è più. Da Connors a Borg fino ad Agassi, Hewitt, Nadal e Djokovic, l’evoluzione dell’approccio al lawn tennis – Seconda parte (qui la prima). Luca Pasta

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Come si osservava nella prima parte di questo articolo, dopo l'ultimo trionfo di Borg nel 1980 e la vittoria di Connors nel 1982, il dominio dei giocatori d'attacco a Wimbledon è proseguito indisturbato fino alla vittoria di Stich nel 1991, per poi continuare in pratica per tutti gli anni '90, per la precisione dal 1993 al 2000 con i 7 titoli di Pete Sampras interrotti soltanto dalla vittoria di Krajicek nel 1996, anch'egli come Pistol Pete grande servitore e ottimo volleatore. Manca solo il 1992 all'appello.

Ebbene quell'anno vide l'ultima vittoria, su quella che amo definire l'erba vera, velocissima, insidiosa, infida, di un grande "difensore", una vittoria clamorosa, forse più di quelle di Borg e di Connors perchè ottenuta in un'epoca in cui le velocità dei servizi e del gioco erano ormai salite, complice l'evoluzione degli attrezzi, a livelli notevolissimi; la vittoria di Andre Agassi. Reduce da due sole altre partecipazioni al torneo, Andreino vinse a Wimbledon giocando alla sua una maniera, e cioè avvicinandosi alla rete meno di quanto non avessero fatto l' "Orso" e Jimbo. Se trionfò, fu grazie ai suoi riflessi stratosferici che gli consentirono di opporsi ai grandi servizi con risposte favolose, caratterizzate da movimenti minimi che permettevano alla racchetta di respingere al mittente la palla con la stessa potenza con la quale era giunta come avrebbe potuto fare un muro. Nessuno a mio parere ha mai risposto al servizio (e che servizio!) come Andrè Agassi contro Boris Becker nei quarti di finale di Wimbledon 1992. Sul suo di servizio poi, solido ma non eccezionale, Agassi rimaneva quasi sempre attestato sulla linea di fondo, prendendo in mano, specie quando entrava la prima palla, il comando dello scambio e concludendo spesso con accelerazioni vincenti a rimbalzo. Goran Ivanisevic, tradito in parte dal proprio micidiale servizio, dovette cedere in finale per 64 al quinto. Una delle vittorie più inaspettate ed emozionati della lunga storia dei Championships. Agassi confermerà poi la sua anomala ma straordinaria attitudine all'erba con la finale del 1999 ceduta di fronte ad un Sampras incontenibile e con altre due semifinali perse di un soffio con l'ultimo grande erbivoro australiano, Pat Rafter.

Non fece altrettanto bene a Wimbledon l'altro prodotto di Bollettieri, Jim Courier, meno fluido nei movimenti di Agassi e dotato di una risposta di qualità inferiore; raggiunse comunque in un anno, il 1993, nel quale i campi si erano particolarmenti asciugati a causa del gran sole, la finale dove dovette cedere a Pete Sampras. Un risultato non trascurabile. Goran Ivanisevic invece, dovrà aspettare altri 9 anni e perdere altre due finali con Sampras prima di trionfare nel 2001 piegando Rafter. Già, il 2001, forse l'ultimo anno in cui le cose a Wimbledon si sono svolte “regolarmente”.

Il 2002, mandando in finale due giocatori "moderni" di pressione da fondocampo, Hewitt e Nalbandian, appare oggi storicamente come un anno di transizione prima del regno di Roger Federer, ma forse volle allora mandarci il messaggio che qualcosa stava cambiando. Incredibilmente gli inglesi, i difensori più strenui delle tradizioni, forse timorosi che la continua evoluzione dei materiali associata all’erba potesse trasformare definitivamente il gioco sui loro campi in uno scarno "tiro al piccione", pensarono bene di mutare l'erba stessa nella composizione della semina e nell'altezza, tagliandola più lunga di alcuni millimetri. Pur essendo tale cambiamento stato generato da una legittima e condivisibile preoccupazione (alla quale si sarebbe però potuto rimediare con più coraggio ponendo dei paletti sui materiali), esso ha letteralmente cambiato il gioco praticato a Wimbledon: scambi da fondo anche lunghi che fino all'inizio degli anni 2000 non si erano mai visti, rimbalzi più alti e regolari, gioco di pressione da fondo campo, relativamente poche discese a rete; questo è quanto si vede molto spesso oggi a Londra, sulla, per dirla con Gianni Clerici, erba battuta o "terba". Per fortuna del tennis, ai danni fatti dai dirigenti dell'All England and Croquet Club, gli dèi del tennis mandarono, a rimediare in parte, un tipo che, con il suo talento, i suoi titoli a Wimbledon li avrebbe vinti anche sull'erba doc dei decenni precedenti, il signor Roger Federer. Di certo lo svizzero stesso ha giocato sull'erba rallentata un tennis che non avrebbe giocato su quella originale: dopo le prime partecipazioni nelle quali praticava piuttosto spesso il serve and volley, cominciò lui stesso ad arretrare ed a scambiare dal fondo più a lungo, continuando ovviamente ad essere aggressivo e non disdegnando di quando in quando la via della rete. Ma, volendosi questo articolo occupare dei giocatori da fondo campo a Wimbledon, come potremmo classificare Federer? Un giocatore di volo? Da fondocampo? Con il rallentamento dell’erba, l’avvicinamento delle varie superfici tra di esse, la continua progressione dei materiali ed il conseguente aumento della velocità e della potenza degli scambi, queste domande non hanno più molto senso. Per continuare il nostro gioco, ci piace classificare i giocatori attuali secondo la tipologia di gioco che immaginiamo avrebbero praticato in presenza delle condizioni di una volta. Con questa filosofia, non c’è dubbio che Federer possa essere considerato un’attaccante, dal momento che all’inizio della sua carriera attaccava davvero e lo fa ogni tanto ancora oggi, anche se troppo di rado secondo alcuni. E’ probabile che complessivamente Federer sia stato svantaggiato dalla trasformazione dell’erba di Wimbledon, perché se è possibile che sull’erba “originale” avrebbe potuto in qualche caso lasciarci le penne, ad esempio con un bombardiere al Roddick al culmine dell’ispirazione, è ancora più plausibile ritenere che difficilmente si sarebbe fatto battere da un giocatore dalle caratteristiche di Rafael Nadal.

Se c’è un giocatore che ha mantenuta viva negli anni 2000, seppur nella confusione imposta dalla omologazione degli stili di cui abbiamo parlato, la tradizione dei “difensori”, dei giocatori da fondocampo, questi è Nadal. Rafa a Londra si è trovato nella situazione in cui molti degli antenati contrattaccanti di cui ha raccolto idealmente l’eredità avrebbero voluto trovarsi: a giocare un Wimbledon immutato nel fascino e nell’importanza, ma su una superficie decisamente più amica. E questa situazione l’ha sfruttata da maestro: un po’ di rodaggio ed un set strappato a Federer nella finale del 2006, l’ulteriore avvicinamento allo svizzero che nel 2007 dovette sudare fino al quinto set per battere nuovamente Nadal, fino al coronamento del percorso nel 2008, quando Rafa piegò Roger e con quella vittoria mostrò a quali conseguenze poteva arrivare il mutamento apportato alla superficie.Nel 2010 arrivò poi il secondo titolo in scioltezza contro Berdych. Sia chiaro, erba mutata o no, non si vince Wimbledon se non si è dei campioni e Nadal lo è, ma è innegabile che la trasformazione della superficie dei courts lo abbia aiutato notevolmente: sull’erba odierna rallentata e dai rimbalzi più alti, Nadal può condurre con agio il palleggio da fondo, ricreare il classico schema di costrizione dell’avversario nell’angolo del rovescio di fronte all’oppressione del dritto mancino arrotato di Rafa, mentre ciò che di veloce dell’erba è rimasto lo aiuta ad amplificare i non banali miglioramenti che ha saputo compiere al servizio, specie nel caso dello slice esterno che ha mirabilmente appreso. Ma con tutta l’ammirazione per Rafael Nadal, non ci si può impedire di immaginare cosa egli sarebbe riuscito a ricavare dalla sfuggente ed infida erba di un tempo, come si sarebbe opposto ad una aggressione continua che contro di lui Federer ma anche altri avrebbero potuto mettere in atto. Un interrogativo questo, che non avrà mai risposta. Ma forse, davvero, Nadal è stato il più fortunato dei baseliners a Wimbledon.

La nostra storia si conclude con il campione in carica del torneo, Nole Djokovic, forse il più perfetto interprete del mono-tipo di tennista odierno, ma in fondo nel nostro gioco ascrivibile ad un giocatore da fondocampo aggressivo del passato. Anche per il serbo, possono valere le considerazioni fatte per Nadal: la "terba" di oggi ha avuto un ruolo pesante nella sua affermazione. La differenza con Rafa, non ce ne vogliano i tifosi del maiorchino consiste nella sensazione che sull'erba di un tempo forse Nole, con il suo gioco notevolmente più piatto e la sua straordinaria risposta al servizio, avrebbe comunque avuto qualche chance in più rispetto a Nadal.

Oggi è come se, dopo anni di lotte e di "rivendicazioni", i giocatori da fondocampo si fossero conquistati il diritto ad un Wimbledon più lento, e così analogamente gli attaccanti ad un Roland Garros più veloce. Ma il risultato è l'omologazione verso un macro-tipo di giocatore e verso un macro-tipo di "terba": siamo sicuri che non si stesse meglio quando si stava peggio?

Luca Pasta

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