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10/07/2012 10:02 CEST - WIMBLEDON 2012

Classe
198Uno

TENNIS - Appartengono a quella vecchia generazione che nell'opinione pubblica è stata rimpiazzata da quella attuale. Federer e Serena sono tornati per far capire al mondo del tennis che le cose non stanno proprio così. Riccardo Nuziale

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"Signore, lei non ha nulla contro la gioventù, vero?"
"Sì, preferisco i vecchi"

Jean-Paul Belmondo in 'Fino all'ultimo respiro' di J.L. Godard


Ora, alzatevi. Alzatevi, guardatevi allo specchio e giudicatevi vecchi. Doloranti, superati, decrepiti. Osservate con orrore ogni minima ruga che ricama il vostro viso. E sentite il fiume di critiche, vestitevi delle dolci parole che quotidianamente sentite, del fatto che avete vinto tanto solo perché re in un periodo di diversamente campioni, orbo tra i ciechi, delle osservazioni sul vostro peso, che non siete più i più forti, che dovete far spazio ai giovani, che non vincerete più nulla.

Ripassatevi gli ultimi due anni, vissuti a coltivare e crescere il trionfo più grande, quei due batuffoletti biondi che di tanto in tanto vi vengono a guardare con quegli occhietti vispi e furbi, vissuti nel silenzio, tra l'ospedale e il terrore che un banale incidente a un piede si potesse trasformare addirittura in una sentenza di morte.

Due potenze ed emozioni immense, pur contrapposte, che stavano convertendosi in un preoccupante silenzio sul campo da tennis.

Due anni senza successi major, l'unica ambrosia possibile lassù nell'Olimpo. Con vittorie "minori", ma con insuccessi Slam che avevano ormai sentenziato il tramonto. L'uno arrivava sì sempre in fondo, ma si vedeva costretto a stringere la mano da sconfitto ogniqualvolta dall'altra parte c'era un supertop player, uno dei giovani tutto sudore, lavoro, sacrificio, potenza, agonismo e tecnica; l'altra subiva sconfitte ai primi turni o perdeva finali contro giocatrici di quattro categorie inferiore. Sentirsi dire che era meglio guardare al passato, passeggiare come vecchie glorie arrugginite, splendenti ma pesanti. Immobili nella loro bacheca.

E invece le due stelle nate a un mese e mezzo di distanza (entrambi 1981, 8 agosto lui, 26 settembre lei) sono tornate. Più splendenti che mai, nel loro giardino, nell'unico modo che conoscono.

Perché ciò che rende i grandi tali non è tanto la classe, la tecnica o quant'altro, bensì il sadismo nell'accezione più demoniaca del termine. E nessuno sa essere più sadico, nel nostro amato sport, di Roger Federer e Serena Williams. Quel sadismo che appartiene solo agli dei dell'Olimpo, quel sadismo che va ben oltre l'intensità agonistica, quella forza mentale che tanto viene esaltata oggigiorno. Qui si va al livello successivo, al livello del voler violentemente imporre, gridare, palesare senza possibilità d'interpretazione la propria superiorità. Di mostrare la propria essenza nel momento di massima difficoltà, nel momento in cui il trono vacilla terribilmente, nel momento in cui tutti sembrano voltarti le spalle.

Federer e Serena non potevano tornare a vincere uno Slam semplicemente giocando bene. No. Questo è troppo banale e gli dei sportivi non possono permettersi il lusso di esserlo. Dovevano tornare pugnalando l'opinione pubblica, spolpando le velleità degli avversari. Folgorando il campo con la loro grandezza.

E difatti l'hanno fatto, eccome.

Nella semifinale contro l'Azarenka, Serena ha erto l'ace a poetica arma di distruzione. La bielorussa ha giocato con l'intensità e la bravura che la contraddistingue, ha dato tutto per rendere il match quantomeno tale, a fine secondo set è riuscita addirittura a giocare meglio di Serena, che però non ha dato per un solo istante l'impressione di aver perso l'inerzia del match. Match, quello con Vik-ahaaaa, che è sembrato la celeberrima scena della resa dei conti post-partita di poker di Terence Hill/Trinità, con la numero 1 presa a schiaffi su schiaffi, inebetita, denudata di ogni speranza. Una lezione quasi imbarazzante. Ventiquattro stereofonici "non sei tu la più forte, mia cara". Quando il gatto non c'è i topi ballano e l'Azarenka sarà pure la topolina numero 1, ma quando torna la gatta Serena può solo chinare il capo.

Apice del sadismo che Serena ha però raggiunto in finale, giustamente. Fine di terzo game del terzo set. Aga Radwanska ha annullato due palle break, dopo averne già annullata una nel game d'esordio, ed è avanti 2-1. Serena ha perso in modo incredibile e incomprensibile il secondo set, ora sbaglia molto di più, è insicura, passiva, preda dell'iniziativa della polacca e dei gratuiti. Le tre chance di break fallite non aiutano di certo. I commenti sull'ipotetica, clamorosa sorpresa si fanno sempre più insistenti. E lei lo sa. La statunitense si dirige verso la proprio sedia accarezzandosi l'occhio sinistro con un dito. Sudore o lacrime? La paura di vedersi sfuggire un trionfo agognato dopo tante difficoltà, tanti problemi, tanta sofferenza? Probabile. Quello che conosciamo è la reazione. Serena che si dirige verso la linea di fondo e piazza quattro mentos di fila, tre aces centrali, uno esterno. Perfect game. Plotone di esecuzione. La Radwanska non avrebbe più fatto un game e come non capirla, vedendo tanto, immenso Genio? Come non poterne essere travolti?

Immenso, sadicissimo Genio che Roger Federer ha voluto far assaggiare ad Andy Murray e al pubblico inglese nel secondo set della finale di ieri pomeriggio. Dietro quel sorriso, quell'affabilità, quella gentilezza perfettamente politically correct, si cela uno dei carnefici più crudeli dello sport moderno, un orgoglio smisurato votato al servizio del tennis. Altro che cuor di coniglio.

Murray ieri ha giocato bene. Incredibilmente bene. Come forse mai ha fatto in vita sua. Ha servito benissimo, ha risposto altrettanto bene e, soprattutto, ha giocato con quell'attitudine offensiva che da anni gli si chiede. Ha spinto benissimo con il dritto (suo presunto colpo debole...e si vuole sottolineare presunto), ha variato, ha difeso ferocemente, ha giocato da campione i punti dove la pallina scottava. Per un set e mezzo Federer è stato meritatamente sotto, probabilmente stupito lui stesso da tanta freddezza e puntualità dello scozzese, ha addirittura dovuto salvare due palle che avrebbero mandato Murray a servire per andare due set a zero. Poi sono arrivate le due volee. E a quel punto capisci che ogni logica, ogni costruzione tattica, ogni discussione deve abbandonarsi al fatto dell'esistenza di qualcosa non capibile, non preventivabile, non arginabile, non affrontabile. Qualcosa di superiore.

Il game di 20 minuti che ha dato il break decisivo nel terzo set è stata la mattanza definitiva, il sigillo, ma l'atto sadico, quello che ha fatto capire a Murray e a noi spettatori che Perry poteva ancora fare sonni eterni e tranquilli, è arrivato con quelle due volee.

Domani è un altro giorno, forse ai Giochi, su questi stessi campi, perderanno al primo turno, forse questo weekend è stata la lampadina che, prima di fulminarsi, emette un ultimo, potentissimo, abbacinante bagliore. Ma poco importerebbe: ancora una volta hanno dimostrato di essere i più forti. Non ne avevano bisogno, ma i fuoriclasse sadici sono tali perché conoscono solo le proprie regole.

Nell'arco di due mesi compiranno 31 anni. Come i loro Slam complessivi. Lui è tornato numero 1 del mondo, sorprendendo tutti (questa penna per prima) e dimostrando una continuità di risultati superiore a quella dei baldanzosi giovincelli. Lei numero 1 non lo è solo perché poco interessata alla continuità e all'impegno costante, ma negli ultimi mesi le baldanzose donzelle meglio classificate di lei sono state sonoramente accarezzate dalla serena manina. Il bastone e il semolino possono attendere.

Dio vi strabenedica, Roger e Serena. Il giorno in cui deciderete che sarà meglio concludere questo capitolo della vostra vita, capiremo ma ci sentiremo tutti decisamente più soli.

Riccardo Nuziale

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