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09/07/2012 11:46 CEST - Rassegna Stampa del 9 Luglio 2012

Wimbledon, la settima vittoria di Federer, il tennista perfetto. Il sogno di Murray finisce in frantumi (Clerici, Azzolini, Piccardi, Semeraro, Tommasi, De Martino, Ferrero, Giorni, Palizzotto)

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Rubrica a cura di Daniele Flavi

L'immenso Roger VII è il re di Wimbledon Murray illude per un set

Gianni Clerici, la repubblica del 9.07.2012

Stavo quasi per mettermi a piangere anch'io, emozionato com'ero, nonostante la cinquantina e passa finali di cui sono stato testimone. Perduto un grande match, Andy Murray aveva tra le mani il microfono, ma pareva non sapesse servirsene, per le lacrime. Intanto anche il Grande Federer, fermo fianco al seggiolone, in attesa del suo turno per le dichiarazioni alla cronista sonora Sue Barker, si asciugava una furtiva lacrima. Interpretavano perfettamente, i due, senza che in loro ci fosse alcunché di teatrale, la gioia e il dolore. Gioia per la settima vittoria che innalzava lo svizzero nell'Olimpo del tennis, dolore per chi era divenuto oggetto delle speranze di un'intera nazione, che ha reinventato il nostro tennis rinascimentale nel 1874, e fondato questo Club tre anni dopo. Nonostante ci fossero in gioco sentimenti esasperati, Roger e Andy hanno disputa- Murray In molti mi incitavano dicendo che era il mio momento e che Roger ormai era in declino, invece continua a giocare un grande tennis to una grande finale, mantenendo alta la qualità del match, nonostante le difficoltà del solito cattivo tempo, dell'erba bagnata e scivolosa dopo i primi piovaschi, la chiusura del tetto, la ripresa dopo i troppi. consigli dei clan, le luci diverse e il rumore eccessivo che genera la scatola chiusa del campo. Una televisioncina di qui mi aveva chiesto stamattina chi avrebbe vinto, e come. Non avevo trovato difficoltà a ribadire quanto gli aficionados — mi auguro—avevano letto. Nei turni che hanno condotto alla finale, abbiamo ammirato due differenti interpretazioni del personaggio Federer. Uno scoraggiante nei due match contro il francese Benneteau e il belga Malisse, uno di gran livello contro Djokovic, uno dei pretendenti al titolo insieme a Nadal. Murray, aggiungevo, è stato più continuo, nonostante il ruolo di rappresentante di un'intera nazione sia psicologicamente difficile. Se avremo in campo il secondo dei due Federer, è lui il mio favorito. Il primo non potrebbe che essere battuto. Come si è visto sul campo, il Federer di oggi era simile a quello che aveva superato Djokovic, simile al miglior se stesso. Mentre Andy Murray era sorprendentemente riuscito a liberarsi dell'angoscioso nervosismo che mi aveva spinto a definirlo — e me ne scuso — Mr. Isterix. Nel clima che è stato definito dal Times il peggiore degli ultimi cent'anni, il match è iniziato con un break a freddo in favore dell'inglese, che Roger sembrava riuscito a pareggiare nel (quarto game, ma che nuovamente soffriva nel nono gioco, in un momento di grande riuscita di Murray, capace di un parziale di 8 punti a due. L'inglese aveva ribattuto con maggior continuità, ed egualmente aveva fatto con la media dei servizi, impostando un match di aggressiva regolarità. Più creativo, ma anche • discontinuo, lo svizzero avrebbe rischiato un nuovo ritardo, non incolmabile ma pericoloso, nel quinto game del secondo, recuperando due palle break con una insistita presenza a rete. Proprio simile scelta tattica, ormai poco usuale, avrebbe aiutato Federer a pareggiare lo scarto, riuscendo in un break per il 7-5, con due scambi finali insoliti sull'erba, di 17 e 21 punti ciascuno. Nel momento in cui il livello del match andava aumentando, all'inizio del terzo, dopo poco più di due ore di gioco, un *** piovasco e previsioni meteorologiche negative, costringevano il giudice arbitro Drewett ad annunciare la chiusura del tetto: operazione laboriosa che, come al solito, richiede una mezz'ora. La ripresa, dopo due game al traino dei servizi, avrebbe visto un Federer forse più a suo agio, anche nel servirsi del rovescio tagliato, che abbassava le traiettorie e metteva Murray nell'impossibilità di attaccare i rimbalzi. Sarebbe stato, il sesto, un game fittissimo di occasioni per entrambi (conclusosi dopo ben 6 palle break in favore di Roger su un totale di 26 scambi), e decisivo per l'attribuzione del set allo svizzero. Roger teneva ormai il pallino, anche se Murray si batteva mirabilmente. Un nuovo break causato da tre errori dell'inglese, e dall'accentuata pressione di Federer, avrebbe di nuovo squilibrata la partita, conclusa in tre ore e 21 minuti, al secondo match point. Con la sorridente capacità di ironia che gli è spesso propria, Roger Federer, dopo un accenno alle gemelle alfine presenti in tribuna, avrebbe osservato che il nuovo record riguarda soprattutto la finale disputata sotto il tetto, vicenda mai verificatasi. Avrebbe anche aggiunto, a chi gli chiedeva se il suo destino non fosse intrecciato all'esistenza di Wimbledon, di sospettarlo, senza peraltro chiarirne le ragioni. Sembra più facile allo Scriba. Nessuno dei suoi passati avversari in finale, l'americano Roddick (3 volte), lo spagnolo Nadal (2), l'australiano Philippoussis, né Andy Murray, posseggono la sua varietà di gioco, la capacità di mutare rotazioni, di accarezzare la palla con un slice o colpirla con un violento lift. Infine, di volleare quanto lui. Semplice, non vi pare?

II perfetto campione: Federer vince il 7 titolo e torna numero 1

Daniele Azzolini, tuttosport del 9.07.2012

Il pianto di Andy è quello di una nazione intera, si rincorre fra i volti delle signore con l'Union Jack sui foulard e scivola come pioggia fra i faccioni smarriti di uomini fasciati di bandiere con la croce bianca, stretti a signori baffuti nei loro kilt propiziatori, dai quali spuntano gambe nerborute da ex rugbisti. E dolore collettivo, contagioso, che migra e ritorna fra il Centre Court e la collina del tifo come una Ola disperata. Ma forse è salutare, perché non chiede spiegazioni, né le cerca. E solo pianto, ed esprime sentimenti genuini. Il rincrescimento per la sconfitta, la solidarietà all'atleta che molto ha fatto per scalare la montagna più alta del tennis. E una domanda. Verrà mai il giorno che un suddito britannico tornerà ad alzare la Coppa del gioco più inglese che vi sia? -Vi sono andato vicino», singhiozza Murray, mentre mamma Judy, che aveva guidato il tifo con esasperato trasporto, ora nasconde il viso fra le mani, battuta anche lei, die forse ha più grinta del, figliolo. Finisce qui il Giubileo di Diamante, senza che il suddito Murray abbia niente da regalare alla sua Regina, destinata, forse, a non vedere un vincitore inglese a Wimbledon nel corso del suo interminabile regno, e a continuare a chiedersi se con i cavalli in campo non sarebbe stato un gioco più bello, questo tennis che a lei non piace nemmeno un po'. Vince l'uomo dei record. Vince e prende tutto, chiudendo definitivamente i conti con la Storia. Lo fa davanti alle sue bimbe, Charlene Riva e Myla Rose, ed è raggiante, perché finalmente lo hanno visto, sono ormai grandi abbastanza, e potranno ricordarlo nel giorno che corona la sua dimensione di campione assoluto. A cavalcioni della ringhiera del box, smaniano e fanno smorfie, vestite di bianco e di blu, i colori dell'Inghilterra, e sembrano più eleganti di Pippa Middleton, che indossava un abitino di gran moda, ma inguardabile nell'insieme, con la "baschina" svasata intorno ai fianchi e un'aria da signorina per bene. Ma Pippa e l'Inghilterra sono volubili, piangono Murray e insieme plaudono Federer, che molti ritengono il figlio tanto desiderato mai avuto. Dite, non sarebbe perfetto Roger come suddito britannico? Inappuntabile e vincente. E soprattutto, tennista. Sono sette i titoli a Wimbledon, come Willy Renshaw e Pete Sampras, «il mio eroe». Sono otto le finali, e questo è il record assoluto. Sono 17 i titoli vinti nello Slam, ed è qualcosa di inarrivabile. Saranno, da oggi, 286 le settimane in testa alla classifica, perché Roger tornerà numero uno per 75 punti su Djokovic. Ma le settimane diventeranno 287, poi 288 e sarà record, anche H, ovunque e sempre. Aveva vinto l'ultimo Slam nel 2010, a Melbourne, e aveva 28 anni. Poi Nadal e Djokovic lo avevano cancellato e per l'ennesima volta si era detto e scritto della sua prossima fine, della sua anzianità di servizio ormai sconfinante nella vecchiaia. Non vincerà più. Quello che aveva da dare l'ha già dato. Lui ha inseguito, non si è sottomesso. Al momento opportuno si è fatto trovare ancora lì, pronto. -Jordan, Tiger e Valentino Rossi, sono loro la mia ispirazione, mi hanno insegnato a resistere, a risorgere». Già, i campioni fanno così. Vince perché sa vincere, Roger Federer, perché quando avverte nell'aria, o forse sotto pelle, il momento giusto, si aggrappa alla partita, e diventa difensore e attaccante, diventa Pirlo, Messi e Ronaldo e vale tre Palloni d'Oro. A tratti, in certi recuperi spericolati, vale anche Buffon, e i Palloni d'Oro sono quattro. Perso il primo, ha cominciato a crescere, a intimorire Murray facendogli intendere che avrebbe dovuto fare molto di più per batterlo. Al primo dubbio dello scozzese gli ha infilato il break e strappato il set. Poi c'è stata la pioggia, come sempre. Trentanove minuti di stop, e sotto il tetto, un game da filmare per i bambini, il settimo del terzo set. Lì Federer ha recuperato da 040 e ha imposto il break alla sesta opportunità. Match finito. Roger ha proseguito dominando, Murray preparandosi al pianto finale. -Nemmeno potete immaginare quanta pressione mi sono sentito addosso», si è accorato lo scozzese. La pressione s'impara a batterla. Vedrete, Murray prima o poi vincerà ha detto Federer agli inglesi, rincuorandoli. Ha ragione. Il pianto passerà. I suoi record, invece resteranno. E dite, non meritava tutto questo un campione così?

La settima vittoria di Federer, il tennista perfetto

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 9.07.2012

C'è un game, quando Roger Federer e Andy Murray sono sul punteggio di un set pari (4-6, 7-5), in cui la storia rimane in bilico per 26 punti e 19 minuti, incerta se fondersi con il tennista fatto di carne e luce o liberare dal suo karma lo scozzese con l'isola sulle spalle, quel giovane e coraggioso uomo non sbarbato per scaramanzia che all'imbrunire piange inconsolabile in diretta tv, chiedendosi se tutto questo dolore, un giorno, gli sarà utile. La finale di Wimbledon non è mai «solo» una partita di tennis. Non può, e non deve esserlo Federer-Murray, il bivio indoor (piove, governo ladro) a cui si sono dati appuntamento numeri, tabù e record, la svolta esistenziale che Roger, con la sua sostenibile leggerezza dell'essere, imbocca fluido e spigliato e perfetto, meritandosi alla sesta palla break di quel game che indirizza il destino (attacco a rete dello svizzero e rovescio out di Murray) la meravigliosa abbondanza che ne segue. Un terzo set in discesa (6-3), un quarto mai in dubbio (6-4), il settimo titolo a Wimbledon (17 Slam) eguagliando Pete Sampras, e i benefit: la riconquista del n. 1 perla 286a settimana (altro primato di Sampras pareggiato) e l'ennesimo passo tra le braccia dell'Immortalità. Aveva scelto, Murray, davanti alla nomenclatura dello sport inglese (Beckham, Ferguson, Redgrave che probabilmente accenderà il tripode agli imminenti Giochi di Londra) ma non alla regina (che ha dato buca mandando a Wimbledon Kate e Pippa), di impostare la sua quarta finale Slam, la prima in Church Road, sul rovescio di Federer, inizialmente boicottato da un servizio che crescerà vertiginosamente (alla fine 76% punti totali sulla prima palla), e per un set e mezzo ha avuto ragione, aprendosi il campo e affondando di dritto, mentre Roger sembrava frastornato come se dopo 76 anni di digiuno (Fred Perry 1936) le aspettative gravassero su di lui e non sullo sventurato di Dunblane, contea di Stirling. I problemi di Murray sono cominciati quando Federer ha trovato il rovescio e, a cascata, la magia dei giorni migliori, a 3o anni e 355 giorni «sto giocando il mio tennis migliore» dice fiero il papà n. 1 del mondo riempiendosi gli occhi delle gemelle Myla Rose e Charlene Riva, che dopo tre ore e 24' (al netto della chiusura del tetto) di un match a denominazione d'origine controllata — marchiato dall'uso sapiente dello slice e della smorzata (Federer) e dal ripresentarsi di antichi vizi (testone ciondolante, lamentela continua) che nemmeno coach Ivan Lendl è riuscito a estirpare dal body language di Murray —Mirka tira fuori sul match point, trasformando la festa di Roger nel cordoglio di Andy; E un dramma sportivo, e umano, la cerimonia sul centrale che Murray affronta senza riuscire a nascondere lo strazio di un altro titolo sfumato, ci vuole audacia a nascere tennista nell'era di Federer (che l'ha battuto in 3 finali Slam: Us Open 2008, Australian Open 2010 e ieri), Djokovic (Australian Open 2o11) e Nadal dopo essere sopravvissuto, bambino, al massacro della scuola di Dunblane (13 marzo 1996, 17 morti), la tragedia che Andy porta registrata nel dna e di cui non ha mai voluto parlare in pubblico, nell'impossibilità di elaborare il senso di colpa di esser vivo e finalista a Wimbledon ma non ancora, e forse non è un caso, radioso, vincente e libero. Prende tempo. Piange. E insieme a lui mamma Judy, papà Will, la fidanzata Kim, l'ex manager delle Spice Girls Simon Fuller, che sta cercando di trasformare lo scozzese di campagna in un'icona dello sport. «Grazie a tutti del sostegno — singhiozza —….

Sette volte Federer A Wimbledon come Sampras

Stefano Semeraro, la stampa del 9.07.2012


L'interminabile sesto game del terzo set: 20 minuti, poi Andy cede alla sesta palla break IL VINCITORE «Ho continuato a credere in me stesso: mi hanno ispirato Woods. Jordan e Rossi» Roger Federer ha vinto il suo settimo Wimbledon, ed è stata una finale perfetta per molti forse per tutti tranne che per Andy Murray e Sua Maestà britannica, una finale che appena sigillata dall'ultimo, disperato errore di Andy (4-6 7-5 6-3 6-4) ha iniziato ad espandersi toccando mondi, epoche, cuori diversi. Dentro ci stanno gli ultimi record strappati allo yankee Sampras, l'idolo di Roger, e a Williams Renshaw, l'uomo che diede una forma al tennis quando Vittoria regnava. Le lacrime mature di Roger - 31 anni fra poco come Serena Williams, la vecchia guardia non molla... - e i singhiozzi inarrestabili di Murray che dopo la premiazione hanno commosso i 15 mila del Centre Court e i 20 milioni teleconnessi via BBC: il discorso del re mancato, non più scozzese scontroso ma fidanzato di una nazione, 76 anni dopo il successo di Fred Perry che pure non è riuscito a esorcizzare: «mi avevano parlato di quanto è difficile giocare una finale di Wimbledon - ha balbettato - ma voi gente lo avete reso più facile». God save Andy, comunque. Dentro una giornata memorabile ci sta anche il numero 1 del mondo che Roger si è ripreso dopo due anni, quando ormai pochi, forse solo lui, continuavano a sperarci. E' il più vecchio n.1 della storia - ma si può dire cosa? - dopo Andre Agassi (33), un trono che si è ripreso nella prima finale indoor di Church Road giocata per metà sotto la serra ipertecnologica e vagamente mistica che da tre anni copre il Tempio, e davanti alle sue strepitose gemellane dai nomi improbabili, Myla Rose e Charlene Riva, aggettanti e festanti sul Centre Court in braccio a mamma Mirka e nonna Lynette. Lo aveva previsto, Roger, quando pareva un genitore felice ma un Number One prepensionato da Nadal e Djokovic: «continuerò a giocare perché voglio che le mie figlie vedano loro padre vincere in campo». Sembrava un desiderio un po' frollo, era una profezia. «So che negli ultimi due anni molti mi davano per finito - ha detto Roger, che non vinceva uno Slam dall'Australian Open del 2010 - e anche per me ci sono stati momenti difficili. La mia vita è cambiata, ho una famiglia, due figlie a cui badare. Ma ho continuato a crederci, e l'esempio di altri grandi atleti come Michael Jordan, Tiger Woods e Valentino Rossi mi ha dato l'ispirazione. Vincere Wimbledon è sempre meraviglioso e oggi ho giocato il mio miglior tennis, ma io punto a qualcosa di più duraturo, a lasciare il tennis migliore di come era quando sono arrivato». Dare carne alla visione non è stato facile. All'inizio di un torneo che si è giocato nel giugno più piovoso degli ultimi 100 anni ci si erano messi la schiena dolorante, e un match recuperato per i capelli contro Bennetteau; ieri un Murray in versione regale, che nel 1 set ha messo sotto Roger, e nel 2 ha avuto 4 palle break, una in particolare sciupata sul 4-4, che lo avrebbero mandato a servire per il secondo set. Un rovescio regalato e il Genio si è smagato, si è preso il set con una volée di rovescio da Mago Merlino. Sul 2-1 del terzo la pioggia ha costretto a chiudere il tetto e quando il Centre Court, dopo 40 minuti, si è ripopolato frusciando come una sala da ballo a inizio serata, in un match diventato indoor e quindi ancora più adatto ai suoi tocchi purissimi Roger è definitivamente tornato se stesso. Sua Fluidità, il Federer capace di mescolare potenza e precisione, di muoversi e colpire con destrezza aliena con il rovescio per poi affondare con il dritto, ma ancora più aggressivo, più efficace a rete. Il cuore del match è stato l'interminabile sesto game del 3 set: 20 minuti, 26 punti giocati, Murray che tre volte è caduto sull'erba, stordito dalle vortici del Genio e tre volte si è rialzato, prima di capitolare alla sesta palla break. Il resto sono stati cori d'amore per Andy, per la sua churchilliana resistenza alle avversità. Ma contro il Federer di ieri - il più grande di sempre? Ma davvero importano le statistiche quando il Genio gioca cosa? - non c'era difesa umanamente possibile. Al mondo Federer, con il successo di ieri, torna numero uno del ranking mondiale 15 Mila spettatori Hanno seguito la finale tra Federer e Murray sul Centre Court londinese Venti milioni l'audience presunta della Bbc Oggi come ieri, l'applauso della principessa Luglio 1993, Sampras vince il primo dei sette Wimbledon e applaudirlo in tribuna c'è una scatenata Lady D (sarebbe morta quattro anni dopo). Più tranquillo ma sempre principesco l'applauso di Kate , la moglie di William erede al trono d'Inghilterra. Ieri era a celebrare il 7 trionfo di Federer con la sorella Pippa che stavolta non le ha rubato la scena. Raggiunto Pete Sampras, 40 anni, aveva il record di vittorie a Wimbledon

A Wimbledon il servizio e l’usato sicuro tornano di moda

Rino Tommasi, la gazzetta dello sport del 9.07.2012

Come succede sempre più spesso, anche questo Wimbledon va in archivio consegnando al libro d'oro nomi collaudati, più conferme che scoperte. A 24 ore dal 14 titolo del Grande Slam e del 5 di Wimbledon di Serena Williams, sono puntualmente giunti il 17 titolo dello slam ed i17 di Wimbledon di Roger Federer, dinastie che sarà difficile eguagliare o cancellare. I 31 anni che Federer compirà 1'8 agosto e i 31 che Serena Williams festeggerà il 26 settembre non ci ricordano soltanto una delle più fortunate generazioni tennistiche, ma anche che questo gioco dopo aver prodotto bambini e bambine prodigio consente di rimanere a lungo sulla ribalta. Di questo bisognerà tenere conto quando tra qualche settimana si prepareranno i pronostici per le Olimpiadi che curiosamente si svolgeranno proprio nel tempio del tennis. Per quanto riguarda i maschi, credo che alla fedeltà dei risultati abbia contribuito anche la formula dei 3 set su 5, dove la maggior fatica viene assorbita e compensata dall'esperienza che consente all'atleta più anziano una migliore programmazione e una più saggia distribuzione delle energie. Dal punto di vista tecnico non ci sono state sorprese. E' stata definitivamente sancita l'abolizione del gioco di volo a favore di una maggiore incidenza del servizio. Nella finale si sono visti ammirevoli ma anche un po' noiosi scambi da fondo campo, più aces che palle corte, poche variazioni e qualche prodezza balistica.

Federer nella storia settimo Wimbledon

Marco De Martino, il messaggero del 9.07.2012

Il più grande di tutti. A quasi 31 anni, un'età critica in uno sport che consuma come il tennis, Roger Federer vince il suo settimo Wimbledon eguagliando il record di Sampras e tornando allo stesso tempo, dopo due anni oscuri, numero uno del mondo. Federer ha fatto piangere un intero popolo che sognava un vincitore britannico 76 anni dopo l'ultimo successo di Fred Perry, ma lo scozzese Murray è stato respinto in quattro set, 4-6 7-5 6-3 6-4. «La mia fine è lontana» ha detto Federer che ora punta anche al titolo olimpico. Murray, travolto dai singhiozzi, non è quasi riuscito a parlare. Nel royal box Kate e il primo ministro Cameron. ……Chissà quanti altri meravigliosi tramonti sarà capace di regalarci Roger Federer, il ragazzo gentile con la fame eterna che gioca come un dio e che a 31 anni torna a distendersi sull'erba di casa finalmente appagato dal talento che continua a illuminargli una carriera immensa. Wimbledon, dove tutto cominciò, festeggia il suo settimo titolo, sette tacche come la pistola di Pete Sampras o come la racchetta di legno dell'arcaico William Renshaw alla fine dell'Ottocento, quando si giocava ancora con i pantaloni lunghi. Stavolta non c'è finale, c'è solo la Storia. Non c'è discussione, c'è solo commozione, e infatti piangono tutti, come a testimoniare che sotto il tetto traslucido della Chiesa del tennis si è celebrato qualcosa di grande: 17 titolo dello Slam; respinto l'attacco di Andy Murray 4-6 7-5 6-3 6-4; soprattutto, dopo due lunghi anni, il ritorno sul trono della classifica mondiale: «La mia fine è lontana» dice lui singhiozzando, mentre un metro più in là Andy il perdente (quattro finali Slam e zero tituli) non riesce nemmeno a parlare. Quanto a Fred Perry (quello delle magliette) potrà continuare a dormire il sonno dei giusti: il suo record resiste, un brit non vince a Wimbledon dal 1936, è per questo che gli hanno fatto una statua di bronzo. Il Grande Digiuno non è destinato a finire. Non è stata una grande (male, Andy a benzina verde è partito lanciato ma è stato infilzato alla fine del secondo set dal prepensionato Federer in versione stellare, capace con due stop-volley consecutive di far saltare sulla sedia in vellutino rosso trapuntato del Royal Box persino Kate e Pippa che pure giustamente tifavano contrario insieme al primo ministro David Cameron, preoccupato di portare sfiga. Sangue blu sul palco e sangue blu in campo, perché quando Roger cambia marcia cambia anche la partita. Roger non vinceva uno Slam da due anni e mezzo, dall'Australian Open del 2010 e in questi anni sono successe un sacco di cose. Racconta commosso Roger: «Mi sono sposato con Mirka, ho avuto due splendide gemelle Myla Rose e Charlene Riva (che salutano dalla tribuna...), ho perso il numero 1 ma non ho mai perso la fiducia in me stesso perché lavorando il doppio di prima sapevo che sarei tornato, ecco». Curioso. Dato per morto mille volte in questi due anni, Federer stava per morire davvero al terzo turno del torneo contro il bizzarro francese Benneteau, paurissima, sei volte a due punti dalla sconfitta che avrebbe spalancato la botola dove il vecchio Federer avrebbe fatto bene ad infilarsi, lui e il mal di schiena, lui e la panciera gibaud, lui e la canotta della salute, dopo aver perso negli ultimi due anni prima con Ber-dych e poi con Tsonga. Invece il re si è salvato e poi si è illuminato, cominciando da lì a spargere delizie per il campo, fino alla vittoria forale che è forse la più importante della carriera, perché ottenuta dopo due anni di declino, e perché strappata a quasi 31 anni, un'età critica in quasi tutti gli sport e soprattutto nel tennis dove il trittico arrembante di rivali, il Murray di ieri ma soprattutto Djokovic e Nadal, hanno cinque o sei anni di meno. Il più grande di sempre? Si può discutere sui tempi, sulle racchette, sullo stile e magari sulle superfici ma non sui numeri che mettono il divino Roger sul piedistallo. Il tennis non esiste, invece quell'altro sport che pratica Sua Fluidità, una disciplina alternativa non programmabile, sta in un diverso universo e Murray se ne è accorto. «Tornavo a casa dopo aver vinto la semifinale e tutti mi dicevano dai Andy, Federerè mezzo morto...». Humour scozzese..., non era vero. Anche il tennis allontana l'età della pensione, ma solo per il più grande…..

Inchinatevi a Re Roger

Federico Ferrero, l’unità del 9.07.2012

A un mese dal 3lesimo compleanno, all'età in cui i grandi hanno, la storia ce ne offre una notevole rassegna, placato la fame o esaurito il vigore, Roger Federer si permette di aggiungere tre gioielli alla sua aureola. Il primo ha il sapore di un incredibile, vagheggiato lungo gli ultimi tre anni, settimo titolo ai Championships. Proprio là, «where it all begun., come mirabilmente riassunse Agassi: là dove tutto ebbe inizio. Anche per Rogi, quando fu battezzato con il fuoco a Wimbledon 2003. Sette Wimbledon, quindi. Come Sweet Pete Sampras, l'unico fenomeno che si possa rapportare a Roger senza subire le distorsioni del tempo: vale la pena rammentare che i sette successi di William Renshaw tra il 1881 e il 1889, al di là dell'età pionieristica, furono più che agevolati dall'istituzione del challenge round, la possibilità ameritocratica - cancellata dal 1922 - di disputare solo la finale per chi avesse conquistato il successo l'anno precedente. Il secondo è lo Slam numero diciassette. Basti ricordare che il solo Sampras avvicina Roger, fermo a quattordici. Il terzo, meno prezioso e nel contempo meno pensabile, il ritorno alla prima posizione mondiale, abbandonata dopo il Roland Garros del 2010 e ripresa ieri per togliere lo sfizio di un ultimo primato a Pete, quello delle 286 settimane in vetta al ranking. Né il premier James Cameron ne il primo ministro scozzese Alex Salmond, per un giorno uniti da un sentimento patrio impossibile da tener saldo fin dalla battaglia di Bannorbuck, hanno potuto sospingere Andy Murray al compito ingrato di abbattere Mister Tennis. E ciò a dispetto di un primo set in cui lo «scottish guy. si è assunto la responsabilità di rischiare col colpo meno sicuro, il dritto, pur di togliere l'iniziativa al re dei prati. Non aveva mai vinto un set, Andy, nelle prime tre finali Slam: né opposto a Roger agli Us Open 2008 e Australian Open 2010, né durante la dolorosa finale di Melbourne Park contro Djokovic l'anno seguente. Segno di un campione costretto dal destino a restare compresso nella morsa di tre fenomeni - Djokovic, Nadal, Federer - eppure ormai maturo anche per sopportare il peso di una finale in casa, quella che la Gran Bretagna sognava dal 1938. Ma il 2012 è l'anno in cui gli dèi hanno ancora indicato la strada del Migliore: con la sua arma, il rovescio, lo scozzese ha fallito una palla break sul quattro pari, probabile protagonista dei suoi prossimi incubi; Federer non ha tremato, anzi, ha tagliato due volée da urlo per strappare il secondo parziale e sulla situazione di un set pari, un gioco pari ha lanciato un'occhiata al cielo. Ottenendo in cambio una sciacquata insistente. sufficiente a mandare i due a riflettere negli spogliatoi mentre si decideva il daffare sul tetto. Roger in confessione con Paul Annacone, Andy accompagnato da Ivan Lendl, colui che a Wimbledon 1989 aveva visto franare il suo sogno di successo, in una semifinale interrotta sul più bello contro Boris Becker, proprio contro una pioggia assassina. Il secondo tempo si è annunciato come un'altra partita, e lo è stata: 40 minuti di pausa per una finale da riavvolgere e far ripartire ma con altre premesse. Le condizioni indoor, felici per Roger, e la prospettiva di una breve distanza, tre set al più. Nel teatro ovattato dalla chiusura del tetto e un acquazzone che è riuscito talora a coprire tutti i suoni la ripresa del gioco è stata una guerra, con i due presi a scheggiarsi le armature finché il sesto gioco, un'antologia di classe e magie da ventotto punti e quasi venti minuti, ha consegnato il break e una spinta decisiva a Federer nonostante un vantaggio, solitamente tranquillizzante, di 40-0 Murray. La finale si è arrestata lì, sull'ennesimo duello che la virtù dello svizzero ha fatto pendere dalla sua parte, il restante set e mezzo non ha che amplificato quel verdetto. Per una volta sopraffatto dalle lacrime e dal dolore, Murray ha intenerito la platea fisica e in mondovisione piangendo i suoi sentiti complimenti a Roger, e rivelando che molti gli avevano pronosticato un primo successo in un major contro un giocatore «ormai morto». Federer, invece, ha iniziato a praticare un altro sport: sta giocando con la relatività del tempo. Per raccontarlo, ormai, non basta più conoscere il tennis. Servirebbe Einstein

Questione di FEDErer

Alberto Giorni, il Giorno del 9.07.2012

Quando Andy Murray ha sbagliato il dritto sul matchpoint, Roger Federer si è disteso per qualche secondo sulla sacra erba del Centre Court per celebrare il momento, senza esagerare, da vero gentleman. Aveva appena spezzato il sogno di tutto il Regno Unito, scrivendo allo stesso tempo l'ultimo capitolo della sua leggenda: la Restaurazione. Imponendosi 4-6 7-5 6-3 6-4 in 3h24', lo svizzero sigilla il suo settimo Wimbledon (eguagliato il record di Pete Sampras), il 17 Slam e torna numero 1 del mondo dopo due anni. E ricaccia in gola l'urlo dei 15mila del Centrale, più i 20 milioni di britannici davanti alla tv, che hanno sperato invano nel successo di un suddito di Sua Maestà 76 anni dopo l'ultima volta (Fred Perry nel 1936). La regina Elisabetta non si è fatta vedere: nel Royal Box, delusi, Kate Middleton, la sorella Pippa, il primo ministro David Cameron e David Beckham. «Ogni volta ci vado sempre più vicino — ha sussurrato Murray in campo alla Bbc prima di sciogliersi in calde lacrime, imitato dalla fidanzata Kim in tribuna —. Complimenti a Roger». Federer l'ha consolato con un abbraccio: «Andy riuscirà a portare a casa uno Slam prima o poi», ha detto, mentre il maxischermo inquadrava la moglie Mirka con in braccio Myla e Charlene, le gemelline di tre anni Ancora lui: «Qui ritrovo sensazioni familiari, è incredibile aver vinto sette volte come il mio idolo Sampras». A cui toglierà il record di settimane in vetta alla classifica: oggi lo raggiunge a 286, lunedì il sorpasso. Una finale storica, la prima giocata col tetto chiuso dal terzo set in poi a causa della pioggia. Murray non dormirà parecchie notti ripensando alle 4 palle break mancate nel secondo set (due sul 2-2 e due sul 4-4): se fosse andato avanti due set a zero, difficilmente lo svizzero sarebbe riuscito a rimontare. Negli ultimi due parziali, indoor, Federer è salito in cattedra finendo per dominare. Più che a Wimbledon, sembrava di essere a Wembley. A ogni punto dello scozzese, pareva avesse segnato l'Inghilterra; anche gli errori di Federer venivano sottolineati dai boati poco british del pubblico, che però alla fine gli ha tributato una convinta standing ovation.

Sette Wimbledon, 17 Slam, 75 titoli in carriera, 286 settimane (almeno) in testa alla classifica mondiale.

Daniele Palizzotto, il tempo del 9 Luglio 2012

Due anni e mezzo dopo l'ultimo Slam vinto in Australia, a un mese esatto dal 31° compleanno e proprio mentre una carriera mai così gloriosa sembrava inevitabilmente declinare senza nuovi grandi acuti, Federer è tornato a ruggire sull'amata erba londinese disputando un torneo fantastico non tanto e non solo per il gioco mostrato, ma per la capacità di interpretare al meglio i momenti importanti, doti esclusive di un campione: vicino alla sconfitta contro Benneteau e in difficoltà con Malisse, ma poi perfetto contro Youzhny, Djokovic e Murray. È stata una finale molto bella, per le emozioni ma anche per il gioco espresso dai protagonisti. Settantasei anni dopo il trionfo targato Fred Perry, il Regno Unito ha davvero sognato di poter nuovamente festeggiare un campione di casa dopo le delusioni degli ultimi quindici anni, quattro semifinali perse da Henman e tre da Murray. Per il 25enne scozzese, però, anche la quarta finale Slam - prima sull'erba dell'All England Club - si è conclusa male, anzi peggio, con «incontrollabili» e certo comprensibili lacrime davanti al proprio pubblico. Eppure, per una volta, Murray aveva interpretato bene la partita, almeno in avvio. Solido al servizio, aggressivo in risposta e poi pronto ad attaccare appena possibile, lo scozzese è scappato subito 2-0 grazie agli inusuali errori di Federer con il diritto. Poi, certo, Murray il pavido ha restituito il favore (2-2) tradito dal colpo migliore - il rovescio bimane - ma il modo in cui il numero 4 mondiale ha annullato le due palle break concesse sul 3-4 (diritto vincente e volèe bassa di rovescio) e poi ribaltato e chiuso con autorità il primo set ha illuso il pubblico del Centre Court. La finale è rimasta nelle mani di Murray per quasi tutto il secondo set. Stranamente impreciso con il diritto, poco incisivo con la seconda di servizio (9 punti su 21 conquistati nei primi due set), incapace di sfruttare le occasioni (un'altra palla break mal giocata in avvio di secondo set) e sfortunato con i nastri e le chiamate dei giudici di linea, Federer ha rischiato il tracollo quando - sul 2-2 e poi sul 4-4 - ha dovuto fronteggiare quattro pericolose palle break: al di là di un banale rovescio sbagliato da Murray, però, lo svizzero si è salvato con coraggio. Poi, in un attimo, la partita è cambiata. A suon di fantastiche e disumane stop volley Federer ha strappato servizio e secondo set allo scozzese, e dopo l'immancabile interruzione per pioggia e conseguente chiusura del tetto lo svizzero è salito in cattedra, chiudendo con un devastante diritto il fondamentale game del 4-2 e poi veleggiando con sicurezza, mentre Murray calava vistosamente al servizio e si arrendeva alla maggior classe dell'avversario. «E pensare che dopo la semifinale - ha ammesso Murray, tra le lacrime - i miei amici mi incoraggiavano dicendo: "Dai che Federer è morto, questa è la tua chance". Penso di aver giocato un buon match, con tanti scambi e game combattuti, ma Roger ha dimostrato perché occupa un posto cosi grande nella storia». Un posto privilegiato e forse inarrivabile: oggi Federer tornerà in testa alla classifica mondiale scavalcando Djokovic e Nadal, ma soprattutto raggiungerà e poi supererà Pete Sampras - eguagliato nel conto dei titoli conquistati a Wimbledon - per numero di settimane trascorse in vetta al ranking: «Sampras è il mio eroe - ha sorriso Federer - raggiungerlo è incredibile. Negli ultimi anni sono cambiate tante cose nella mia vita, ma ho sempre creduto nel lavoro e questo successo mi ripaga». E fra tre settimane il re tornerà a Wimbledon per inseguire l'ultimo sogno: l'oro olimpico.
 

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