26/07/2012 10:42 CEST - TENNIS E STORIA

In odor di GOAT: Roy Emerson

TENNIS - Roy Emerson è il terzo giocatore come numero di Slam vinti in singolare e il primo come numero totale. Quindi perché non viene quasi mai considerato quando si parla dei migliori giocatori di sempre? Enos Mantoani

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Roy Emerson (Getty Images)
Roy Emerson (Getty Images)

Come si potrebbe non considerare Roy Emerson in odor di GOAT?

Se si scorre la lista dei pluirivincitori di Slam a luglio 2012 si legge Roger Federer a quota 17, Sampras a 14 e Roy Emerson a 12, posizionato prima di Borg, Laver e Nadal. Eppure è il meno noto di tutti questi signori e quello meno papabile per il titolo di GOAT (che non esiste e non esisterà mai, ma questa è un'altra gatta da pelare).

Chi è dunque Roy Emerson? E perché nessuno, o quasi, ne parla quando c'è da elencare i migliori tennisti mai esistiti?

Roy Stanley Emerson, detto Emmo, nacque nel 1936 a Blackbutt, nel Queensland australiano. La sua famiglia si trasferì in seguito a Brisbane, dove iniziò ad essere avviato al tennis in maniera sistematica. Già nel 1959, a soli 23 anni, vinse il suo primo titolo Slam, nel tempio di Wimbledon, in coppia con Neale Fraser. Per il suo primo titolo Slam da singolarista dovette invece aspettare il 1961, quando conquistò gli Australian Championships e poi gli US Championships battendo nelle rispettive finali sempre Rod Laver, di due anni più giovane. Furono le ultime volte che vinse contro Laver in una finale Slam, visto che l'anno successivo Rod compì il Grande Slam battendolo per ben tre volte (tranne che a Wimbledon) e poi passò subito al professionismo; il bilancio finale della sfida Laver-Emerson è di 49 a 18, ma ci mancano le sfide degli anni migliori dei due. Infatti, se Laver passò pro appena ventiquattrenne, Emerson rimase nel circuito amatoriale e vi costruì gran parte della sua fortuna, della sua fama e dei suoi record.

Dodici Slam in singolo, sedici in doppio, attuale detentore del record di ventotto titoli nella somma delle specialità, unico uomo al mondo ad avere vinto tutti gli Slam sia in singolo che in doppio e per di più due volte. Vincitore, nel 1964, di tre delle quattro sfide Slam; a Parigi si fermò solo ai quarti superato nettamente dal nostro Pietrangeli 6-1 6-3 6-3.

Altri dati statistici recitano come un rosario le otto Davis Cup vinte con la sua Nazionale dal 1959 al 1967 ed elencano inoltre i suoi sei Australian Championships, di cui cinque consecutivi. Tutti i suoi titoli, però, sono stati conquistati, tra il 1959 e il 1967, tranne due di doppio, quello di Wimbledon 1971 (come compagno c'era Laver) e quello australiano del 1969; ovvero, fu il più vincente amatore in quell'ultimo scorcio di epoca che precedette il fatidico 1968, l'inizio dell'Era Open.

Gianni Clerici dice che di fronte a questi aridi dati dovremmo quasi inchinarci salutando forse uno dei più grandi di sempre. Invece il nome di Roy Emerson così tante volte ripetuto negli albi d'oro delle cinque competizioni maggiori del tennis è solo la testimonianza di quello che gli anni Sessanta hanno perduto in termini di competitività e di spettacolo dividendo i migliori tra due categorie di comodo: professionisti e amatori.

A proposito di amatorialità, Emerson rispondeva candidamente a chi gli chiedeva dello status di amatore: “Amatore? E che cos’è?”. Una conferma in più del fenomeno del pagamento sottobanco anche per i non professionisti. E infatti Emerson si ribellò pure all'estabilishment per poter giocare più partite all'estero e fu anche squalificato per un certo periodo dalla federazione australiana: era un periodo in fermento, in evoluzione, ed Emmo si venne a trovare proprio al centro del passaggio a una nuova era del tennis. Nel 1984 disse: “Volete sapere cos'è successo nel tennis negli ultimi 20 anni? Beh, io ho firmato il mio primo contratto da professionista per 75,000 dollari e per giocare circa 360 giorni all'anno. L'altro giorno Jimmy Connors ha giocato un'esibizione e ha guadagnato 75,000 dollari in due ore e mezza”. Roy firmò infatti da pro nello stesso 1968, poco prima della liberalizzazione, ed era ben cosciente che quel processo di apertura ebbe inizio con la sua generazione.

Una generazione che fu di fenomeni australiani cresciuti sotto l’ala protettiva di Harry Hopman: si pensi solo a giocatori come Frank Sedgman, Lew Hoad, Ken Rosewall, Rod Laver, Neale Fraser, John Newcombe, Fred Stolle, Tony Roche, lo stesso Emerson, Ashley Cooper, e solo per citarne i più famosi.

Roy era una delle figure più tipiche e rappresentative di quella scuola: alto 183 cm per 79 kg, era propenso al serve and volley sistematico, dotato di agilità e di una forma fisica sempre al top. Uno stile di gioco non molto vario forse, ma che lo portò anche a vincere due Roland Garros, sintomo di sagacia anche tattica. Era poi il suo ritmo a far crollare le certezze degli avversari: più era in difficoltà e più accelerava il ritmo degli scambi per mettere pressione e incertezze sugli altri.

La sua eccezionale prestanza lo portò a giocare ancora per molti anni; nel 1978 lo troviamo ancora capitano e giocatore della squadra World Team Tennis di Boston, giocando il doppio con Tony Roche e capitanando, tra le altre, Martina Navratilova.

Fece addirittura un’ultima apparizione nel 1983 al torneo di Gstaad, in Svizzera. L’anno prima venne introdotto nella Hall of Fame, ma volle omaggiare quella città, nella quale ancora possiede una tenuta estiva in cui si dedica all’insegnamento dello sport che tanto gli ha dato. La cittadina svizzera, dove vinse nel 1969, lo ricambiò battezzando il campo centrale di seimila posti con il suo nome. Notizia recente è che gli organizzatori, visto il probabile spostamento di calendario dell’evento, passando ad essere svolto prima di Wimbledon, potrebbe cambiare superficie passando dalla terra battuta all’erba; di certo Emerson ne sarebbe felice!

Com’era felice di vedere Hewitt vincente nei primi anni Duemila: diceva che Lleyton gioca ogni punto come se fosse la seconda guerra mondiale, un’attitudine in cui sicuramente si rivedeva.

Roy Emerson tiene molto al suo record ineguagliato e forse ineguagliabile di 28 titoli Slam complessivi, ma è il primo a riconoscere che è un record ineguagliabile perché ormai nessuno gioca più il doppio e inoltre è ben cosciente che anche i suoi titoli dello Slam in singolare vanno relativizzati. Nel 2000 disse su Sampras, che lo aveva appena sorpassato nella classifica come numero di Slam vinti: “Sampras è il GOAT e mi devo solo complimentare con lui perché i tornei sono un po’ più consistenti di questi tempi”. Emerson era sicuramente consapevole di non essere neanche il migliore giocatore del suo tempo; quanti Slam avrebbe vinto negli anni Sessanta dovendo confrontarsi con Hoad, Rosewall, Laver, Gonzalez e compagnia bella?

Ecco dunque come una volta di più, leggendo la biografia di questo comunque straordinario tennista, abbiamo la conferma che il titolo di GOAT non esiste, e se esistesse non ci si potrebbe basare solo sul numero dei titoli dello Slam per stilare una qualsiasi classifica dei migliori giocatori di sempre. Rimane forse una condizione necessaria, ma non certo sufficiente.

Enos Mantoani

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