26/07/2012 10:17 CEST - LONDRA 2012

Arcobaleni per un oro

TENNIS - Fra pochi giorni cominciano i Giochi di Wimbledon, dove i colori non vanno bocciati: sono una divertente, fugace variante. L'assenza di Nadal pesa come un macigno, ma chi vincerà meriterà in pieno. E per una volta, non vincesse il migliore! Riccardo Nuziale

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Wimbledon, Olimpiadi (Getty Images Europe Clive Brunskill)
Wimbledon, Olimpiadi (Getty Images Europe Clive Brunskill)

Caro diario olimpico,

ci siamo quasi! Ancora pochi giorni e il luogo per eccellenza del tennis diventerà eccezionalmente teatro del torneo olimpico, la tradizione all white & all quite che si sposa con il tripudio carnevalesco (nell'accezione positiva del termine) e fracassone dei Giochi.

Il che, prime foto alla mano, non merita una bocciatura: per quanto Wimbledon sia quello che è anche per quelle regole e tradizioni radical chic/snob che rendono il tutto irresistibile, il colore che ha baciato i giardini più famosi del mondo del tennis non è invasivo, è comunque rispettoso del luogo. Certo, l'estetica tradizionale è impagabile e imbattibile, ma non sarei severo verso questa novità a tempo determinato.

Ma aldilà dell'aspetto folkloristico, sui prati "restaurati" dell'All England Club, dopo la miseria di tre settimane dalle finali che hanno visto trionfare i cannibali Federer e Serena, si tornerà a giocare con il tuono del ritiro di Nadal che ancora pugnala le orecchie. L'assenza del maiorchino, medaglia d'oro in carica, non può che far male: il nome di un simile campione lascia un vuoto incolmabile e dispiace vederlo, ancora una volta, alle prese con un fisico più forte di lui, più debole dei suoi sogni.

Quattro anni fa Rafa vinse l'oro dopo aver trionfato nel suo torneo più memorabile, l'edizione di Wimby in cui mise fine al regno di Federer con una delle finali più straordinarie di tutti i tempi, miscela irripetibile di agonismo, intensità e tecnica. Sapere che non potrà difendere l'oro è un bruttissimo inizio di torneo. Questo però non significa che il vincitore trionferà in un torneo monco: l'assenza di un giocatore, per quanto straordinario, non può mettere in dubbio la legittimità della grandezza dell'impresa di chi riuscirà a far suo l'oro.

Precisato ciò che andava precisato, la grande caratteristica di questo Wimbledon sui generis è - in campo maschile - il cambio di formula, la distanza che passa dal meglio dei 5 al meglio dei 3.

Il che mi ha fatto subito tornare alla mente - valla a capire, la mente umana - ai mondiali di nuoto '98, disputatisi a Perth. Dove il russo Aleksandr Popov, uno degli atleti (non solo nuotatori) più eleganti che abbia mai visto, il fuoriclasse assoluto dello stile libero degli anni '90, era chiamato a confermare la doppietta 50-100 m. Ma se vinse l'oro nella lunghezza regina, nei 50m lo Zar sbagliò la partenza e si dovette accontentare dell'argento, lasciando il gradino più alto del podio al carneade statunitense Bill Pilczuk, che in carriera non avrebbe più ripetuto imprese paragonabili. I 50, proprio perché imprevedibili e intransigenti verso il minimo errore, più aperti a piccole e grandi sorprese sono da un certo punto di vista più emozionanti, ma rispecchiano assai meno i valori assoluti degli atleti, rispetto alla doppia vasca.

Cosa che si è detta allo sfinimento anche nel tennis: il 3 su 5 dà meno spazio alle sorprese proprio perché costringe l'underdog di turno a tenere alto il livello per molto più tempo, rendendo più dolci i sonni (in campo e non) dei top player.

Qui - finale a parte - è diverso e a Wimbledon è una novità assoluta. Certo, nell'arco dell'anno è il 3 su 5 a rappresentare l'eccezione e non certo il 2 su 3, i giocatori sono abituati, ma rimane il fatto che lo "scudo" della lunga distanza viene meno e questo, anche da un punto di vista psicologico, potrebbe essere un fattore destabilizzante, soprattutto in caso di giornate tecnicamente poco brillanti. Per fare esempi banali, Federer avrebbe perso con Benneteau e Murray avrebbe dovuto fronteggiare match point - e non set point - contro Ferrer. Sono esempi da prendere molto alla leggera, in quanto l'approccio alla partita nei due formati è completamente diverso e questi semplici "what if?" sono giochi ipotetici non pienamente credibili, ma allo stesso modo non completamente sottovalutabili.

Anzi, in fondo un po' di sana diversità e imprevidibilità non guasterebbero: per una volta sarebbe bello vedere sorrisi che non siano di Federer, Djokovic, Serena, Sharapova, Azarenka. Auspicio che non va accostato minimamente a simpatie ed antipatie, sia ben chiaro, tantomeno a quella malattia denominata tifo...no.

Ma se c'è qualcosa di autenticamente Bello, nelle settimane dei Giochi, è vedere discipline che solitamente non si vedono, atleti che solitamente non si ammirano, imprese che nel resto dell'anno morirebbero nel trafiletto di pagina 24, anziché essere esaltate in prima pagina con tanto di foto a colori.

Quindi, in barba al trito e ritrito spirito del signor De Cubertino, l'importante è vincere e per una volta - suvvia! - che non vincano i migliori.

Riccardo Nuziale

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