26/07/2012 22:44 CEST - L'approfondimento

Tennis Canada: come nasce un successo

TENNIS - Intervista con Roberto Brogin, il tecnico italiano che lavora a Montreal. "Wimbledon junior non è un punto d'arrivo". "I giovani devono giocare i tornei junior per crescere mentalmente" Vanni Gibertini

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Eugenie Bouchard and Filip Peliwo
Eugenie Bouchard and Filip Peliwo

Quando cinque anni fa Tennis Canada si era posta l’obiettivo di “far diventare il tennis l’attività sportiva e ricreativa leader in Canada” e di “portare il Canada in maniera costante ai vertici delle classifiche mondiali”, l’entusiasmo e la voglia di fare erano tanti, ma c’era più di un dubbio su come e quando il pesante investimento effettuato (quasi 9,5 milioni di dollari canadesi l’anno di media) avrebbe regalato qualche risultato. Altre Federazioni con tradizioni e budget ben superiori a quella canadese (si pensi a quella inglese) hanno passato lunghi periodi senza riuscire a produrre giocatori di livello mondiale. Si può capire quindi come il successo registrato in tre delle quattro prove juniores all’ultimo torneo di Wimbledon da parte di giocatori che sono cresciuti nel National Tennis Center di Montreal, dove tutti i più promettenti juniores della Nazione vengono concentrati a partire dall’età di 14 anni, abbia messo di buonumore un po’ tutto lo staff che quotidianamente si prodiga per la causa del tennis canadese negli uffici della Federazione, a due passi dal centrale dove ogni anno si disputa la Rogers Cup.

Eugenie Bouchard e Filip Peliwo, entrambi classe 1994, appena rientrati dall’Europa dopo il trionfo sui prati di SW19, sono stati presentati alla stampa nazionale con il legittimo orgoglio di chi ha visto tanti anni di sacrifici dare i primi frutti, che naturalmente si spera siano solo un antipasto per ben altri successi futuri. “Il mio obiettivo è vincere un torneo dello Slam a livello senior” ha dichiarato apertamente Eugenie Bouchard, nata e cresciuta a Laval, isola sul fiume San Lorenzo adibita a grosso sobborgo di Montreal, che a 9 anni, neanche un anno dopo aver preso in mano la racchetta, vinceva già il suo primo torneo nazionale. “La sensazione di giocare sul campo n.1 di Wimbledon è stata bellissima, tutto molto ‘cool’: le tribune, la gente, il challenge system. All’inizio ero molto nervosa, poi mi sono sciolta un po’ e sono riuscita a pensare solamente a giocare, solamente al tennis, fino alla fine”.

Il suo ‘collega’ di vittoria Peliwo, nonostante fosse già andato vicino ad un’affermazione importante in gennaio all’Open d’Australia, dove venne fermato da Luke Saville solo per 6-4 al terzo set, si è dichiarato molto più sorpreso del trionfo londinese: “Prima di quest’anno sull’erba non avevo mai vinto un match. Quest’anno ho iniziato prendendo un turno alla volta, nei quarti ho battuto il giocatore che mi aveva battuto nel torneo di preparazione [il francese Couacaud] e la vittoria in semifinale [contro l’americano Krueger recuperando uno svantaggio di 7-5, 5-1] mi ha dato la fiducia di cui avevo bisogno”.

Questo successo canadese parla anche un po’ italiano, dal momento che uno dei membri dello staff tecnico del National Tennis Center di Montreal è il nostro Roberto Brogin, ex coach, tra gli altri, di Safin, Sanguinetti e Gaudenzi, che è uno dei sette maestri (più un preparatore atletico) che lavorano nella struttura d’eccellenza del tennis canadese: “E’ stato un ottimo risultato, anche un po’ fortunato, ma quella ci vuole sempre in tutte le cose. Adesso dobbiamo cercare di mantenere la stessa umiltà con la quale abbiamo lavorato per gli ultimi cinque anni, smorzando i facili entusiasmi che già vedo stanno spuntando. Perché è vero che per noi del centro, lavorando esclusivamente sui giovani, un doppio successo a Wimbledon juniores è una grande affermazione, ma non significa che automaticamente abbiamo trovato un futuro campione di Slam”.

A gettare acqua sul fuoco ci pensa anche Louis Borfiga, Vice Presidente per le High Performance di Tennis Canada, che coordina il team di professionisti del centro tecnico: “Abbiamo vinto una prova junior: la strada per arrivare ai successi nei tornei veri è ancora lunghissima, ed il passaggio dai tornei juniores a quelli professionistici è uno dei periodi più delicati nella carriera di un giocatore. Queste vittorie nei tornei giovanili però sono importanti, non solo per il prestigio di un titolo di Wimbledon, ma soprattutto perché le partite vinte rimangono nella memoria dei giocatori sconfitti anche dopo il passaggio al professionismo, e contribuiscono già da subito a dare un’impronta alla rivalità futura”.

Bouchard e Peliwo sono gli unici due classe 1994 al momento presenti al National Tennis Center, per cui secondo Brogin “è una buona cosa che abbiano colto questi successi alla fine della loro carriera juniores così che si crea un ‘effetto traino’ per tutti gli altri ragazzi e ragazze che procederanno il lavoro in ambito giovanile con noi nelle prossime stagioni. Dato il potenziale superiore alla media che era stato palesato da alcuni elementi, recentemente abbiamo deciso di apportare qualche modifica all’organizzazione del lavoro: prima avevamo un solo grande gruppo con tutti gli atleti, seguito a turno da tutti i membri dello staff tecnico. Ora abbiamo deciso di formare dei mini-team con 2/3 atleti seguiti da un maestro specifico in modo tale da convogliare tutti i consigli tecnici attraverso di lui ed evitare consigli divergenti ai ragazzi”.

Per quel che riguarda Genie (il soprannome con cui tutti chiamano la Bouchard) sono stati assunti due tecnici part-time che si dedicano solamente a lei, uno in America ed uno in Europa: si tratta di Yves Boulais, tecnico canadese che ha aperto una academy vicino ad Atlanta insieme con la connazionale ex-pro Patricia Hy, e di Nathalie Tauziat, ex top-10 francese e finalista di Wimbledon nel 1998, che ha seguito Eugenie nella preparazione della vittoriosa cavalcata londinese. “Lavorare con Nathalie mi ha aiutato molto, sia a Roehampton nel torneo di preparazione sia a Wimbledon – ha confermato la Bouchard – Lei è stata una giocatrice di alto livello, sa cosa occorre per vincere e mi ha migliorata molto nell’essere aggressiva in campo e nelle volee”. Anche Brogin è soddisfatto dell’esperimento, che sicuramente continuerà nel prossimo futuro e potrebbe essere ampliato per includere altre giocatrici, compatibilmente con gli impegni in Francia della Tauziat: “Volevamo provare a far lavorare Eugenie con un coach donna, dal momento che qui al centro tutti i maestri sono uomini e le dinamiche del rapporto tra due donne sono differenti. Nathalie si è dimostrata estremamente professionale, molto dedita al lavoro e si è inserita benissimo nel contesto del lavoro portato avanti da noi a Montreal. E’ stato veramente un esperimento ben riuscito”.

Ma come già detto in precedenza, la strada verso i successi importanti è ancora lunga, e se al rientro da Wimbledon i due neo-campioni hanno dovuto passare una giornata tra conferenze stampa, conference call per i media da fuori Montreal ed una lunga serie di interviste individuali con radio e televisioni, ventiquattr’ore dopo Eugenie e Filip sono passati dalla luci della ribalta al sudore anonimo del circuito professionistico minore, impegnati nel primo turno del Challenger da $50.000 di Granby, ridente (si fa per dire) cittadina a circa 60 chilometri ad est di Montreal. Lì Peliwo è uscito al primo turno perdendo in due set tirati contro il 30enne moldavo Roman Borvanov (n.267 ATP), mentre per Eugenie è arrivata la prima affermazione in un torneo di questa importanza (dopo le affermazioni nei $10.000 di Bastad in primavera) sconfiggendo in finale la più quotata connazionale Stephanie Dubois in un derby tra montrealesi.

“Anche se è importante che i ragazzi inizino a racimolare punti nei tornei professionistici - ci ha spiegato Brogin – credo però che sia altrettanto indispensabile dedicare tempo ai tornei juniores. I ragazzi di 16-17 anni, quando giocano un Future o un Challenger, tendono a giocare con il braccio leggero, senza nessuna aspettativa, consapevoli che qualunque risultato positivo è un bonus. Ai tornei juniores, invece, c’è molta più pressione, sentono il peso di fare il risultato, e questo aiuta molto a crescere dal punto di vista mentale”.

Infatti Peliwo, che dopo la vittoria a Wimbledon è diventato il n.1 nel ranking junior ITF, è ben consapevole del ruolo che questa posizione implica: “Andrò sicuramente a giocare gli US Open junior, dove sarò testa di serie n.1, e quindi sarò il giocatore da battere, tutti gli occhi saranno puntati su di me”.

Le risorse dedicate da Tennis Canada allo sviluppo del tennis rappresentano quasi un quarto del budget della federazione, e tra queste spese vi è quella di mantenere il centro d’eccellenza del National Tennis Center con tutti i ragazzi e le ragazze che vi risiedono permanentemente, quando non sono in giro per il mondo a giocare nei tornei: “Passiamo circa tre mesi l’anno qui a Montreal – ha confermato Peliwo – per il resto andiamo a giocare tornei in tutto il mondo. Tennis Canada ci offre la grande opportunità di confrontarci sempre con i migliori, ed è così che si diventa più forti”. E da questo punto di vista si cerca di dare ai ragazzi tutte le opportunità per giocare ad alto livello: “Il gruppo di maestri viaggia con gli atleti a rotazione, anche per dare un po’ di respiro e di vita normale ha chi ha famiglia e figli – ci spiega Brogin – io sono appena tornato da un viaggio in Europa di due mesi e mezzo, un po’ anche per scelta, perché ho preferito rimanere in Europa ad allenarmi tra Parigi e Wimbledon invece di far fare due transvolate atlantiche in più ai ragazzi. Siamo rimasti ad allenarci da un amico che conosco sul Lago d’Iseo che ha due campi in erba, perché io voglio che i ragazzi sentano la trasferta come un evento importante, non voglio che diventino troppo blasé nei confronti dei viaggi a 16 anni. Eugenie, che ha 18 anni, è già andata quattro volte in Australia, e non ci sono molti tennisti, per non parlare di teenager normali, che possono vantare esperienze del genere, è bene che apprezzino il privilegio che viene loro concesso”.

Tra gli addetti ai lavori comunque nessuno si fa illusioni: sono stati troppi gli esempi in passato di campioni juniores che sono stati inghiottiti dal circuito professionistico e non sono riusciti ad emergere dai gironi infernali dei Challenger e dei tornei minori. “Soprattutto tra gli uomini, dopo il passaggio da juniores al professionismo ci vogliono almeno 2-3 anni in cui bisogna rimanere sotto il tavolo e mandar giù tanti bocconi amari – sentenzia Brogin - Fortunatamente qui abbiamo avuto la lietissima sorpresa di Milos Raonic, che nessuno si aspettava, soprattutto così presto, per cui la pressione di dover portare in Canada quei risultati per cui la Federazione ha investito tanto sarà per lo meno alleviata dalla presenza di un top 30 ATP”. E di pressione siamo sicuri ce ne sarà parecchia, soprattutto su Eugenie Bouchard, che essendo “di casa” a Montreal, ha tutti gli occhi dei media locali puntati addosso come ambasciatrice del tennis “made in Quebec”. E’ stato molto divertente osservare come, in occasione della presentazione dei due vincitori alla stampa, una volta iniziata la processione delle interviste individuali, tutti i media francofoni abbiano accerchiato la bella Eugenie, lasciando soltanto i pochi media anglofoni a parlare con Filip Peliwo. Il quale è stato totalmente ignorato dai giornali e dalle televisioni di Montreal, nonostante anche lui il suo Wimbledon lo avesse vinto, ma purtroppo si è macchiato della colpa di provenire da quella landa lontana ed anglofona che è Vancouver e di non essere riuscito a dire altro che un timidissimo “bonjour” nella lingua di Molière. Troppo poco per essere considerato da queste parti. Anche questo è il Canada.

Vanni Gibertini

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