18/08/2012 21:46 CEST - US Open

I "cinque Everest" di New York

TENNIS - Quali sono i record invalicabili che sono stati messi a segno agli US Open? Dalla longevità di Jimmy Connors alle finali di Lendl fino alle 40 vittorie consecutive di Roger Federer. Daniele Vallotto

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5. I 16 titoli di Navratilova

Il 17 agosto 1987 Steffi Graf diventa numero 1 del mondo, la quinta dell'Era Open. È la prima di 386 settimane di dominio. Quindici giorni più tardi arrivano gli US Open e gli occhi di tutti sono puntati sulla nuova regina del tennis mondiale che ha appena cominciato a vincere a livello Major. Ma sulla sua strada si trova una vecchia conoscenza, colei che ha appena abdicato: Martina Navratilova. La statunitense ha vinto sei dei nove precedenti, due dei quali proprio agli US Open. Quell’anno, inoltre, Martina ha apposto l’ottavo sigillo a Church Road battendo proprio Steffi. Ma la tedesca, tredici anni più giovane, ha vinto il suo primo Slam al Roland Garros in finale su Navratilova e ha tutte le intenzioni di vendicare le sconfitte in semifinale agli US Open 1985 e 1986. Tuttavia Navratilova non è tipo da farsi impressionare: rifila a Fräulein Forehand la settima sconfitta, la quarta in uno Slam e conferma il titolo dell’anno precedente senza perdere nemmeno un set. Di lì in poi la storia della loro rivalità prenderà un’altra piega e il 1988 consacrerà definitivamente Steffi Graf ma il 1987 fu un anno da incorniciare per Navratilova, che vinse il titolo in singolare, doppio e doppio misto. Un evento che non si è mai più ripetuto. Agli US Open conquisterà sedici dei suoi cinquantanove titoli dello Slam, l’ultimo dei quali nel 2006, alla tenera età di 49 anni e dieci mesi. Si tratta di un record che rimarrà quasi certamente imbattuto, data la scarsa propensione dei campioni di oggi di partecipare ad altri tornei oltre a quello di singolare.

4. Connors, 18 anni da testa di serie

A parte il davvero irrepetibile record di Jimbo, capace di vincere gli US Open su tre superfici diverse, Connors detiene un altro primato davvero invidiabile. Per ben 18 edizioni consecutive lo statunitense si è presentato allo Slam americano come testa di serie. C'è poco da discutere: il giocatore di casa simbolo degli US Open è Jimmy, che a New York ha conquistato cinque dei suoi otto trionfi negli Slam. Nel 1972, appena diventato ventenne e vincitore del titolo NCAA, Connors si presentò come quindicesima testa di serie. Andò male, perché venne eliminato al primo turno dall’esperto Tom Gorman, capace di spingersi fino in semifinale quell’anno. Ma dopo quella partecipazione ne arrivarono altre 17 da teste di serie, una statistica che dimostra l’incredibile longevità del campione statunitense. Connors, tra il 1973 e il 1989 raggiungerà sempre i quarti di finale (tranne nel 1986) e arriverà in finale ininterrottamente dal 1974 al 1978. L’apoteosi arriverà due anni dopo la fine di quell’incredibile striscia, quando il trentanovenne Connors stupì il mondo issandosi fino alle semifinali.


3. Le otto finali consecutive di Lendl

È stato un rapporto difficile quello tra gli US Open e Ivan Lendl. Prima del magico 1984, lo Slam americano aveva riservato già due delusioni allo cecoslovacco e anche dopo aver rotto il ghiaccio Ivan dovette arrendersi una terza volta in finale, concedendo la rivincita a John McEnroe. Ma ormai l’incantesimo era stato rotto e, sebbene l’attesa durò più di un anno (con un’altra finale persa, questa volta a Parigi), agli US Open 1985 Lendl conquistò il suo secondo Slam della carriera dando il via a una tripletta che lo renderanno intoccabile sul cemento newyorkese. L’anno successivo rifilerà a Mecir una delle più cocenti sconfitte della sua carriera e nel 1987, anno di grazia per i nativi della Cecoslovacchia, farà tris mettendo a segno un altro record. Nel primo turno di quel torneo Ivan il terribile disintegrò il malcapitato Barry Moir con un triplo 6-0, evento verificatosi solo una volta agli US Open, nel 1925, e mai più avvenuto da allora. Il numero 1 del mondo voleva mettere subito le cose in chiaro, arrivò in finale senza perdere nemmeno un set e quando Mats Wilander osò vincere il primo set al tie-break venne ripagato con un 6-0 nel secondo che non ammise discussioni. Dal 1982 al 1989 chi voleva vincere gli US Open doveva fare i conti con Ivan Lendl. Difficile che un altro tennista riesca a essere così dominante per un così lungo periodo di tempo.

2. Le quaranta vittorie consecutive di Federer

Abbonato com’è ai record, un secondo posto in questa classifica sembra quasi fuori luogo. E in effetti il quinquennio che va dal 2004 al 2008 vide una totale egemonia del fuoriclasse svizzero a Flushing Meadows. Una striscia che comincia e finisce con un argentino: nel 2003 l’ex bestia nera Nalbandian sconfisse un acerbo Roger negli ottavi di finale mentre nel 2009 Juan Martin Del Potro gli inflisse una delle più cocenti sconfitte in una finale Slam. Delusioni a parte, il dominio rossocrociato a New York fu impreziosito dal fatto che Federer detiene una striscia uguale in un altro Slam: l’erba di Wimbledon. In questi quaranta match a New York perse solo quindici set su 135 giocati e solo in due occasioni si fece trascinare al quinto set: nel 2004 da Agassi nei quarti di finale e nel 2008 da Andreev agli ottavi. Il suo record è pressoché intoccabile, basti pensare che in questa classifica due mostri sacri come Lendl e McEnroe sono staccatissimi, con 27 e 26 vittorie consecutive.

1. Le sedici semifinali consecutive di Evert

Impressionati dai record precedenti? Beh, quello di Chris Evert sembra davvero qualcosa di unico. La campionessa statunitense, infatti, è riuscita nell’impresa di raggiungere le semifinali per sedici edizioni consecutive, raggiungendo la finale in nove occasioni e vincendo il titolo in sei di queste. Inoltre, in diciannove partecipazioni, si è sempre classificata tra le prime otto. Un dominio simile a quello mostrato a Wimbledon, dove però la striscia venne interrotta nel 1983 al terzo turno (e dove Chris ha vinto anche meno). La prima semifinale arrivò quando Chris aveva appena sedici anni mentre il primo dei sei trionfi (record in campo femminile e maschile e che Roger Federer tenterà di uguagliare quest’anno) quando Evert doveva ancora compiere il suo ventunesimo anno d’età. Il 1986 segnò la fine dell’era-Evert: in quell’anno arrivò l’ultimo Slam e la statunitense ritoccò a sedici il numero delle semifinali consecutive a New York. L’anno successivo ci penserà Lori McNeil ad interrompere quella clamorosa striscia ma la storia era già stata fatta: difficile anche solo ipotizzare che un’altra tennista riesca ad uguagliare la sbalorditiva continuità di Chrissie sul suolo newyorkese.

Menzione d’onore: Pete Sampras b. Andre Agassi 6-7 7-6 7-6 7-6

In quella che Luca Pasta ha definito “il testamento e il manifesto del tennis di Andre e Pete” c’è molto di più del semplice rilievo statistico. Nessuno dei due giocatori riuscì a strappare il servizio all’altro ma quel che davvero conta è che, mentre le nuove leve scalpitavano per accaparrarsi il posto lasciato libero dagli ormai ex-despoti, i due campioni regalarono al loro pubblico uno dei più inimmaginabili derby che il tennis ricordi. Uno spettacolo fatto di servizi e risposte fulminanti che rimarrà scolpito nella memoria degli appassionati più di molti record. Perché il tennis è sì fatto di numeri ma questi nascono solo da prestazioni leggendarie.

 

Daniele Vallotto

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