22/08/2012 20:29 CEST - Controtendenza

Contro i master 1000

TENNIS - Nei master 1000 ci sono sempre tutti i più forti. Ma vogliamo davvero vedere sempre finali tra i primi quattro? Gli altri tornei ormai contano pochissimo. Non sarebbe bello avere un po' più di varietà? Daniele Malafarina

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Pete Sampras (Clive Mason, Getty Images)
Pete Sampras (Clive Mason, Getty Images)

C’è voluto del tempo ma il sogno di Mark Miles, CEO dell’ATP alla sua fondazione nel 1990, si è realizzato. Miles auspicava per il tennis un minicircuito simile a quello di formula 1 dove fossero sempre presenti tutti i migliori.
Così non era negli anni ottanta e nemmeno nei novanta. L’istituzione della categoria di tornei d’elite, allora denominati super9, risale al 1990 appunto ma la partecipazione non era affatto obbigatoria. Ci sono voluti più di vent’anni, una serie di ritocchi al sistema di classifica ed ai montepremi ed un completo ricambio di due generazioni di tennisti per realizzare a pieno il cambiamento. Il sistema si è realizzato completamente solo nel 2009 quando la nuova distribuzione dei punti, ideata per rendere più chiaro il sistema di classifica, ha di fatto ridotto ulteriormente il totale dei punti assegnati dai tornei non appartenenti al minicircuito d'elite.

Oggi abbiamo quattordici tornei (gli slam, il masters ed i master1000) che da soli realizzano la quasi totalità dei punti e dei match per i giocatori di punta. Salvo rare eccezioni tutti i più forti sono sempre presenti a questi appuntamenti e le sfide tra ‘big’ sono più frequenti oggi rispetto a vent’anni fa. Sicuramente questo sistema fornisce un’immagine chiara delle gerarchie del tennis moderno ma è tutto oro quello che luccica?

Gli altri tornei, ovvero i 500 ed i 250, sono peggio che snobbati dai big, i quali, con l’attuale sistema di classifica, possono persino permettersi di usare i 1000 come allenamento per gli slam e partecipare ai tornei minori in base all’umore (ed agli ingaggi).
Il nuovo sistema garantisce montepremi maggiori ed i primi giocatori al mondo sono invariabilmente tra gli sportivi più pagati al mondo. Nel contempo però la profondità dei campi di partecipazione si è ridotta. I giocatori in grado di accedere ai tabelloni dei tornei principali sono diminuiti e gli introiti per i giocatori di media classifica non sono cresciuti di pari passo con quelli dei big.
Allo stesso modo la classifica è diventata più stabile, garantendo ai campioni un cuscinetto contro gli imprevisti. Infatti qualche passo falso nei tornei più importanti viene prontamente ammortizzato dal fatto che i comprimari non hanno altri tornei dove fare punti pesanti per la classifica. Tutto questo risulta in una programmazione limitata al minimo non solo per i primissimi ma per tutti i top30. Pochissimo spazio lasciato all’autodeterminazione della propria programmazione con conseguente pochissimo spazio lasciato ai giocatori non di vertice. Infatti oggi un top20 per mantenere la classifica è costretto (anche da contratto) a seguire i big nel circo dei master1000. Se non si presenta in classifica gli entra uno zero che non può essere assorbito in nessun modo. Inoltre andare a giocare altrove frutta pochissimi punti nonostante l’impegno richiesto non sia certo inferiore (basti pensare che un quarto di finale in un 1000, ottenibile con due o tre partite vinte, vale 180 punti contro i 150 di una finale in un 250). Però con tutti i più forti sempre presenti le possibilità di vittoria per i comprimari sono per forza di cose inferiori. Vedere giocatori come Berdych e Tsonga avere 7 o 8 titoli in carriera fa una certa impressione per chi ricorda Emilio Sanchez vincerne 15.

Rivalità come quelle tra Federer e Nadal e Djokovic danno risalto al tennis rendendolo popolare e più accessibile rispetto ad una volta. Il frequentatore medio negli anni novanta sarebbe rimasto spesso perplesso nel non vedere Agassi e Sampras presenti al via negli stessi tornei e nel vedere una quantità di nomi diversi arrivare alle fasi finali di molti tornei.

Però da qui a sostenere che il tennis in generale ne abbia guadagnato c’è un passo abbastanza lungo. Meno tornei significa che meno persone in giro per il mondo hanno l’occasione di vedere del tennis dal vivo. Inoltre col sistema attuale l’appeal di giocatori forti, a ridosso dei primissimi, è nettamente inferiore rispetto ad una volta. In pratica il sistema attuale si regge su pochi grossi nomi che ogni anno si recano sempre negli stessi posti (si potrebbe quasi parlare di distruzione della biodiversità tennistica).

Questo impoverimento comporta anche dei rischi. Il giorno in cui al vertice ci saranno giocatori meno capaci di trascinare le folle cosa succederà? Il marketing è una via di uscita ma per quanto tempo si può riuscire a vendere un prodotto standardizzato e poco vario?
Il vecchio sistema aveva i suoi difetti e tornei con un forte impegno economico non possono permettersi di non avere nessuno dei primi quattro al via (come accadde a Roma). Però è proprio necessario avere sempre tutti i top ten in tutti gli stessi tornei? Non sarebbe bello avere nella setssa settimana in parallelo un torneo con Federer e Murray ed uno con Djokovic e Nadal?
Non sarebbero più contenti anche i giocatori se potessero scegliere dove andare con un minimo di elasticità?
 

Daniele Malafarina

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