02/09/2012 19:01 CEST - Personaggi

60 anni da Connors

TENNIS - Buon compleanno a Jimmy Connors. Longevo e antipatico, passionale e inesorabile, noi lo festeggiamo ricordando la sua storia d’amore con New York. Enos Mantoani

| | condividi
Jimmy Connors (Getty Images North America Robert Riger )
Jimmy Connors (Getty Images North America Robert Riger )

Il 2 settembre del 1952 nasceva a East St. Louis, Illinois, James Scott “Jimmy” Connors. 60 anni fa nasceva quello che è conosciuto come il più grande “fighter” dei campi da tennis. E uno tra i più “nasty” della generazione che sfrontata, irriverente, a tratti volgare lo è stata più di tutte.

Di Connors sappiamo molto, ovviamente non tutto. Sapremo qualcosa di più quando uscirà, probabilmente a giugno 2013, la sua autobiografia già in prenotazione in molti negozi online. Dopo il successo dell'autobiografia di Agassi (per non parlare di quella di Nadal), non sarà semplice uscire sul mercato con un prodotto competitivo, ma gli sforzi in tal senso sono stati fatti, attendiamo più o meno pazienti: anche per vedere se e come risponderà a qualche stoccatina affondata da Andre. Ora dunque Jimmy lavora su questo: far uscire la sua autobiografia, cioè un racconto di sé.

È sempre difficile raccontare di sé, figurarsi quando si è da quarant’anni sotto i riflettori, quando si è vissuto molto vedendone di tutti i colori, si è passati da personaggi scomodi e fischiati a idoli, si ha un carattere "nasty": insomma, quando si è Jimbo Connors.

Dei suoi risultati sportivi, i nostri lettori sanno tutto e meglio di noi, forse meglio di Connors stesso: 8 Slam vinti in 15 finali, 2 vittorie in doppio con Nastase, un Masters e record su record ottenuti, alcuni ancora in essere, altri recentemente battuti. Connors è un nome sempre vivo, non solo nelle memorie di chi ha vissuto quella stagione straordinaria di tennis, più o meno un ventennio che Connors ha attraversato da autentico mattatore, ma è vivo come lo sono i più grandi di questo sport.

In pochi hanno dato quello che ha dato lui al tennis. Non solo come professionista, cioè come giocatore, allenatore o commentatore, ma ha regalato ai tifosi e al tennis spettacolo, rivalità accese, polemiche, insomma: entertainment puro. Il tennis di Jimbo, infatti, non è stato di certo il migliore della sua generazione, secondo gli esperti si portava dietro alcune lacune e non tutti i suoi colpi erano da fuoriclasse: ma la combinazione della sua personalità, della sua dedizione e della sua determinazione ne hanno fatto uno dei più grandi. Paradossalmente, ha fatto crescere il tennis anche come movimento mettendolo davanti ai problemi che l'era open, i crescenti cachet e i tornei sempre più ricchi ponevano. Ovviamente non da diplomatico o da politico, ma… da Jimmy Connors.

Per una magistrale analisi del mito Connors rimandiamo anche a un testo di Emanuela Audisio apparso su Ubitennis tre anni fa.

Connors e New York
Per celebrare il suo compleanno vorremmo ricordare un rapporto speciale: quello tra Jimmy Connors e la città di New York. Non sappiamo se a Connors piaccia che il suo compleanno cada il 2 settembre, cioè in contemporanea con gli US Open. Ora immaginiamo sicuramente di sì, ma non è stato sempre così. Una volta disse: “Amo New York quando vinco, odio New York quando perdo”.

La storia tra Connors e la Grande Mela è catulliano: odio e amore. E rispecchia la parabola del connubio, del link, che si creava tra il pubblico e questo genio sregolato nei modi, negli atteggiamenti, dotato di un buon tennis, ma non di un tennis eccezionale, spinto però da una grinta sportiva ed extrasportiva fuori dal comune. Comunque, prima odio e poi amore.

A chi non piacciono i combattenti, i fighters? Forse solo agli inglesi che frequentano i sacri recinti del tempio di Church Road (mai nome fu più appropriato). Agli americani invece piacciono i fighters, anche, e forse soprattutto, se sfrontati. Se poi si travalica un pochetto fuori dalla sportività... pazienza, è il prezzo da pagare per dello show extra. Gli US Open, lo vediamo in questi giorni, non è Wimbledon!

Però Connors non è mai stato in tutto e per tutto quello che noi pensiamo il frutto tipico degli stereotipi sugli americani (lo è assai di più Roddick). Innanzitutto perché è stato poco patriota in Davis. L’ha giocata poco e amata forse meno. Secondo McEnroe perché non si guadagnava abbastanza. Connors non ha lo spirito americano di un McEnroe o di un Roddick, appunto. E non ne ha neanche l’ironia. Quando McEnroe si arrabbiava, era quasi divertente. Ispirava più un sentimento di tenerezza: come se fosse un giovanotto viziato che fa i capricci. Quando Connors si arrabbiava incuteva paura.

Jimbo ha saputo conquistarsi il pubblico newyorkese con due qualità, la longevità sportiva e lo spirito agonistico, e con una circostanza sfavorevole: ha iniziato a perdere, ma a perdere combattendo.
Lui che più che il piacere delle vittorie voleva evitare il dolore delle sconfitte, ha saputo negli anni trasformare i rovesci sportivi in standing ovations. Soprattutto a New York, dove non hanno pesato i 5 US Open vinti in singolare (1974, 1976, 1978, 1982, 1983), a cui si aggiunga il titolo in doppio con Nastase del 1975 (solo loro due potevano sopportarsi a vicenda), né ha pesato la frequenza assidua per un ventennio allo Slam a stelle e strisce, dal 1970 al 1992 con l’eccezione del 1990 in cui subì un’operazione al polso sinistro. Non ha pesato neppure la rivalità con McEnroe: una rivalità antipatica, anche a vedersi; tanto più che è McEnroe il vero pupillo dei newyorkesi, vista la sua provenienza. Non ha fatto la differenza la vittoria nella finale dei Masters del 1977 su Borg, l’unica della sua carriera e che si compì al Madison Square Garden.

No. Ha fatto la differenza il suo essere combattente all’età in cui i tennisti si dedicano ad altro. Di essere un vero e proprio mattatore in campo, di usare, come dice McEnroe, l’energia del pubblico come benzina per il suo gioco. Ha contato davvero vedere quest’uomo irriducibile sputare sangue e sudore a rincorrere palline e inventare passanti dopo quattro smash respinti.

Di queste partite epiche abbiamo scritto su Ubitennis nei giorni scorsi: irrinunciabile farci riferimenti ad ogni edizione degli US Open e perciò rimandiamo agli ottimi articoli di Luca Pasta
e Alessandro Mastroluca (prima parte e seconda parte).

Da queste analisi dei match esce la migliore delle doti di Connors: la perseveranza. La perseveranza si fa apprezzare molto al di là dell’Oceano: risalire e ripartire dopo aver subito rovesci dalla sorte o dal tempo che passa è un sogno americano. Tanto che Joel Drucker ci ha scritto sopra un bellissimo libro biografico e autobiografico, in cui Connors è ispirazione nei frangenti più difficili della vita dell’autore.

Riportiamo anche il commento di Drucker alla penultima apparizione di Connors agli US Open, nel magico torneo del 1991: “Spesso Connors è stato al di sopra della legge. In quell’anno, a New York,
Connors ERA la legge
”. Già perché pur amato dal pubblico, non è che il lupo avesse perso il vizio di dirigere anche l’arbitro in campo, oltre alla folla, all’avversario, alle palline, ai raccattapalle. E mai a parole gentili.

Come ultimo omaggio a Jimbo vorremmo anche ricordare un suo tipico gesto: agitare avambraccio e pugno dopo un punto conquistato. Non so se sia stato il primo a proporre questo gesto poco elegante. Di sicuro è stato un modello. Inimitabile. Non era un continuo fare pugnetti in faccia agli avversari anche su doppi falli o su punti insignificanti, non serviva, solo, a far innervosire gli avversari. Era invece un gesto che proveniva dalla pancia, un gesto di passione, furore, voglia e cattiveria agonistica: insomma, era Connors stesso.

Enos Mantoani

comments powered by Disqus
QS Sport

Si scaldano le trattative di mercato: Milan e Juventus attivissime, la Roma blinda Florenzi; Thohir dice no all'Atletico Madrid per Icardi e Handanovic. Maxi Lopez è del Chievo, Trezeguet torna al River Plate

Ultimi commenti
Blog: Servizi vincenti