20/09/2012 19:20 CEST - Personaggi

Mario Ancic, il tennista che visse due volte

TENNIS - Mario Ancic è stato ammesso al prestigioso master della Columbia Law School. "Ho sempre aspirato alla perfezione" dice. Sia quando batteva Federer a Wimbledon che oggi, sui libri. Alessandro Mastroluca

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Mario Ancic è stato ammesso al master della Columbia Law School
Mario Ancic è stato ammesso al master della Columbia Law School

La Columbia Law School, fondata nel 1858, è tra le più selettive scuole di legge degli Stati Uniti. Nel 2010 solo un richiedente su 10 è stato ammesso. Qui hanno studiato due ex presidenti degli Usa (Franklin Delano Roosevelt e Theodore Roosevelt), nove giudici della Corte Suprema, e un gran numero di consiglieri presidenziali, di senatori e diplomatici, di attivisti e politici, e i presidenti o fondatori di oltre trenta tra college e università.

Ogni anno, la Columbia Law School ammette circa 200 studenti stranieri al suo prestigioso Master. Tra gli ammessi quest’anno un attivista armeno per i diritti civili, un esperto di finanza e terrorismo del Bangladesh, e un giovane avvocato croato che in un’altra vita ha battuto Roger Federer a Wimbledon: Mario Ancic.

Gli infortuni e la mononucleosi l’hanno costretto ad abbandonare la carriera a soli 26 anni. Ma Mario, cresciuto in una famiglia che ha sempre dato molto peso all’istruzione, non si è lasciato abbattere dalla malattia. Si è laureato in legge all’Università di Spalato nel 2008 con una test dal titolo “Atp Ieri, Oggi e Domani”. E a proposito di ATP, è convinto che “sia un’organizzazione unica, con due posizioni molto diverse al suo interno: i giocatori da una parte, i direttori dei tornei dall’altra. E naturalmente bisogna trovarsi molti compromessi, e non sempre è positivo. Io capisco le paure e le lamentele dei giocatori, sono stato con loro fino a poco tempo fa. Dal mio punto di vista i giocatori in futuro hanno bisogno di trovare una rappresentazione più forte indipendente dall’ATP”.

Dopo la laurea, Ancic ha ottenuto un dottorato, passato l’esame da avvocato e lavorato per uno dei principali studi legali croati, Savoric & Partners.

Ha deciso di frequentare un master negli Usa dopo aver trascorso qualche mese alla Harvard Law School per un progetto di ricerca. Il suo supevisore era Peter A. Carfagna, un tempo l’avvocato principale della IMG, la società di management che rappresentava anche Ancic. Al termine del progetto ha presentato un paper sulle ramificazioni legali del doping nel tennis professionistico che Carfagna ha valutato degno di pubblicazione.

“Mario si sta approcciando alla carriera legale nello stesso modo in cui affrontava l’allenamento quando giocava a tennis” ha spiegato Carfagna. “E’ una spugna, è instancabile, e sta facendo di tutto per diventare il miglior avvocato possibile”.

Ancic, che vorrebbe trovare un lavoro in un grande studio newyorchese prima di tornare in Croazia, non ha perso la passione per il tennis. E già la squadra dell’università sogna di poterlo veder giocare con loro.

Qualche settimana fa Katarina Kovacevic, che gioca nella squadra femminile, l’ha visto su una panchina, si è presentata e gli ha confessato di essere stata una raccattapalle durante uno dei suoi match agli Us Open. Ancic ha anche giocato con Haig Schneiderman, capitano della squadra l’anno scorso.

Certo, nulla a che fare con i suoi giorni di gloria, quando Boris Becker affermava: “E’ arrivato il futuro del tennis, e si chiama Mario Ancic”. Era il 2004, dopo le seminali raggiunte a Wimbledon battendo in tre set Tim Henman nei quarti.

Una breve stagione di gloria e sfortuna
Il suo debutto ai Championships era stato folgorante: prima partita sull’erba di Church Road e vittoria netta su Roger Federer, che solo un anno prima aveva fatto gridare al cambio della guardia dopo il successo su Pete Sampras.

Il suo momento di gloria è racchiuso tra l’estate del 2004, con il bronzo ai giochi di Atene in doppio con Ljubicic, e il 2006. Nel 2005 vince il suo primo titolo a ‘s-Hertogenbosch, ma perde due finali abbordabili a Scottsdale e Tokyo contro Wayne Arthurs e Wesley Moodie. Pur perdendo i primi quattro singolari disputati in stagione nella manifestazione, chiude l’anno portando alla Croazia il punto decisivo (su Michal Mertinak) nella finale di Davis contro la Slovacchia.

L’inizio di 2006 è balbettante. Esce al secondo turno ad Adelaide sprecando tre match point contro Xavier Malisse e perde due finali da favorito: da Nieminen a Auckland e Clement a Marsiglia. Sulla terra rossa mostra importanti progressi a livello di solidità mentale. A Roma salva tre match point a Florent Serra e Ruben Ramirez Hidalgo, ad Amburgo vince tre partite di fila dopo aver perso il primo set e cede solo in semifinale a Robredo che finirà per vincere il torneo.

Si prende la rivincita pochi mesi dopo, al Roland Garros. Vince 75 al quinto, raggiunge per la prima volta i quarti a Parigi, ma paga la stanchezza contro Roger Federer. Conferma poi il titolo a ‘s-Hertogenbosch e torna nei quarti a Wimbledon (perde ancora da Federer). Il lavoro sul fisico e sul gioco sembra dare i primi risultati. Non è più un attaccante puro e il lavoro con Fredrik Rosengren, iniziato nell’agosto 2005, ha di molto cambiato il suo dritto. In estate, però, si fa male cadendo dal jet-ski e deve saltare gli Us Open. Vince il suo terzo, e ultimo titolo, a San Pietroburgo ma non riesce a qualificarsi per il Master di fine anno.

Nel 2007, dopo gli ottavi agli Australian Open, va in Germania per giocare la Davis. “Mi sentivo male, ma ho continuato a giocare: non è stato un bene” dirà. Riesce anche a strappare un set a Tommy Haas nel primo singolare. Ancora non lo sa, ma il malessere che sente non è influenza, come crede, è mononucleosi. Va anche a Rotterdam, ma deve ritirarsi dopo quattro game contro Seppi. “Ero stanco morto, dormivo 18 ore al giorno. È difficile da spiegare a chi non ha mai avuto questa malattia. Avevo 22 anni, ero all’apice della mia carriera e non riuscivo nemmeno a camminare”.

Si rimette in moto nell’estate 2007, ma prima degli Us Open gli cade un bilanciere sulla spalla: piccola frattura e addio torneo. In autunno arriva nei quarti al Masters 1000 di Madrid, ma la mononucleosi ha indebolito il suo fisico. Un virus allo stomaco gli fa perdere nove chili e saltare i primi due mesi del 2008. Rientra e al primo torneo arriva in finale a Marsiglia (sconfitto da Murray) e nei quarti a Wimbledon. Qui gioca l’ultima grande partita della sua carriera, in ottavi contro Verdasco: sotto di due set, poi in svantaggio 1-4 nel quinto e per ben 6 volte costretto a servire per rimanere in partita, Mario vince 3-6 4-6 6-3 6-4 13-11 senza mai dover fronteggiare match point.

Il 2009, con la finale a Zagabria, è un’altra falsa partenza. La febbre ghiandolare e un infortunio alla schiena lo rallentano ancora. Tenta un ultimo rientro, partendo dai Challenger e dai Future. Le prime tre uscite sono scoraggianti: 4 partite, tre sconfitte. La scorsa settimana, in un future in Texas, al quarto tentativo riesce a raggiungere la finale, dove però perde malamente. Gioca la sua ultima partita contro Daniel Koellerer, poi annuncia l’addio.

“Il mio corpo non può più seguire i ritmi del tennis moderno, non c’era altra scelta. È stata una decisione durissima. Ho sempre aspirato alla perfezione, e quando ho capito che il mio fisico non mi avrebbe più permesso di giocare il tennis che volevo, non ho avuto altra scelta. Ho sempre combattuto, sono caduto e mi sono rialzato, ma sono sempre stato onesto con me stesso”.

Una qualità che gli tornerà utile anche da avvocato.

Alessandro Mastroluca

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