25/09/2012 16:06 CEST - Personaggi

Gajdosova, in finale con la morte nel cuore

TENNIS - Venerdì Jarmila Gajdosova riceve la notizia peggiore: sua mamma è morta. I familiari la convincono a non ritirarsi dal torneo di Seoul. "Lei sarà sempre qui, quando tornerai" le dicono. Jarmila arriva in finale di doppio. Alessandro Mastroluca

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Jarmila Gajdosova (Getty Images North America Matthew Stockman)
Jarmila Gajdosova (Getty Images North America Matthew Stockman)

Venerdì scorso, Jarmila Gajdosova ha ricevuto la notizia che nessuno vorrebbe mai avere: sua mamma era morta. “E’ stato uno shock” ha scritto in una commovente lettera aperta sul sito ufficiale della Wta. “Ero molto triste, ho pianto molto, e piango ancora adesso. Era la mamma migliore del mondo, le volevo bene, mi mancherà per tutta la vita. È come essere in un incubo da cui non puoi svegliarti”.

“Ho parlato con mio papà e con mio fratello, e mi hanno detto di continuare a giocare, che avrei sempre trovato mia mamma una volta tornata a casa, che posso sempre andare a trovarla e comunque ho la mia vita e il tennis. Perciò ho provato a vincere per mia mamma ma come potete immaginare non è stato facile restare concentrata, e più ci provavo peggio andava. È stato molto triste perder. Mi ha spezzato il cuore: volevo vincere perché mia mamma fosse orgogliosa, ma non ci sono riuscita. Continuare a giocare è stata una decisione difficile. Volevo essere con mio papà, con la mia famiglia. Comunque tutti sono stati molto gentili, ho ricevuto tantissimi fiori, e vuol dire davvero molto per me”.

Sono stati 18 mesi difficili, per Jarmila. Un anno fa, al Roland Garros, Jarmila si è appena messa alle spalle il burrascoso divorzio da Sam Groth, che l’ha accusata di averlo sposato solo per avere la cittadinanza. Il legame con l’Australia, però, inizia molto prima. La sua relazione con Groth inizia nel 2006. L’anno successivo le viene concessa una borsa di studio all’Istituto Australiano dello Sport. Nel febbraio 2009 sposa Sam Groth e a novembre diventa cittadina australiana. “L’ho amato, gli ho dato tutto, lui si è preso quello che voleva e se n’è andato”, risponde al suo ex marito.

Pochi giorni dopo il divorzio è stata protagonista di un match commovente contro Virginie Razzano. Otto giorni prima, il 16 maggio,aveva perso l’uomo che per undici anni le era stato accanto come coach e come compagno di vita, Stephane Vidal. Per nove di quegli undici anni, Stephane ha combattuto contro un tumore al cervello. Poche ore prima di arrendersi alla morte, si avvicina a Virginie e le sussurra: “Gioca”.

L’estate scorsa, subisce attacchi pesantissimi dopo aver perso da Vania King al secondo turno degli Us Open. Le danno della “rifugiata”, le scrivono che il suo atteggiamento non è degno di un’australiana. Per un po’ pensa di chiudere il suo account twitter, ma dopo una settimana torna ad aggiornare il suo profilo.

La scelta di Jarmila, quella di giocare nonostante il dolore, quella di giocare quasi ad allontanare il peso del dolore e della distanza, è una scelta dolorosa. È la stessa decisione che ha preso Novak Djokovic a Montecarlo dopo aver saputo della morte del nonno Vladimir, il nonno paterno da cui si rifugiava durante i bombardamenti.

Non tutti reagiscono allo stesso modo. Ci sono sportivi che si fermano e altri che continuano. Ci sono anche familiari che nascondono i lutti, come i genitori di Wu Minxia che non le hanno detto della morte della nonna per non turbare le Olimpiadi della regina dei tuffi.

Non c’è una decisione giusta e una sbagliata, non esiste una direzione esatta di fronte al bivio da cui non c’è ritorno. Scegliere di continuare, come Jarmila, non è un gesto di egoismo. È la risposta coraggiosa di chi, come Sant’Agostino, comunica al mondo che “La morte non è niente”.

La morte non è niente. 
Sono solamente passato dall'altra parte: 
è come fossi nascosto nella stanza accanto. 
Io sono sempre io e tu sei sempre tu. 
Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora. 
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; 
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. 
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste. 
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, 
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano 
quando eravamo insieme. 
Prega, sorridi, pensami! 
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: 
pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza. 
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: 
è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza. 
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? 

Alessandro Mastroluca

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