27/09/2012 13:59 CEST - coppa davis

Guillermo Vilas capitano di Davis? E' il destino dei grandi

TENNIS - In Argentina continuano le polemiche per l'ennesima delusione in Davis. E per i rapporti freddi tra Del Potro e Nalbandian. Ora Vilas si propone alla guida della squadra, e non sarà facile per la federazione ignorarlo. Francesca Sarzetto

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Guillermo Vilas
Guillermo Vilas

Nuova puntata della saga argentina di Coppa Davis: a quanto pare ogni mondo è paese, e capita spesso che le questioni "politiche" si infilino anche nel mondo dello sport. E in una nazione che ha giocato quattro finali senza mai vincere la preziosa insalatiera, questa coppa diventa sempre più una pubblica ossessione.

Così, anche il miglior giocatore della storia argentina, quel Guillermo Vilas capace di vincere quattro tornei dello slam e 62 titoli in tutto, si ritrova a dichiarare in un'intervista alla radio che vorrebbe diventare capitano della squadra di Coppa Davis, per poi aggiungere "So però che non sono considerato nelle alte sfere della AAT", l'associazione argentina di tennis. Il capitano attuale, Martin Jaite, è peraltro confermato alla guida della squadra anche per la prossima stagione.

"Diventare capitano di Coppa Davis è il destino di ogni grande giocatore, è quasi obbligatorio, non si può evitarlo. Sarebbe un premio alla mia carriera" dice ai microfoni della trasmissione Dos de Punta, di Radio Concepto. E giocatori più grandi di Vilas in Argentina non ce ne sono. Guillermo ha un curriculum di tutto rispetto anche nella competizione dell'insalatiera, avendo debuttato a neanche diciotto anni, nel 1970 contro il Cile, e giocato 29 incontri nell'arco di 14 anni, con un bilancio di 45 vittorie e 10 sconfitte in singolare e 12-14 in doppio, una finale nel 1981 (persa 3-1 con gli USA) e una semifinale due anni dopo, persa contro la Svezia di un giovanissimo Wilander.

E' curioso però come Vilas abbia rilasciato queste dichiarazioni pur non riferendosi specificamente a quanto successo durante la semifinale contro la Repubblica Ceca. "Il problema della Davis è che è una competizione di squadra, dove ognuno deve dare il suo contributo. La squadra dev'essere compatta, ci deve essere senso di unione. Non so se questo è il caso dell'Argentina, non ho contatti con i membri del team". Strano anche che il miglior giocatore argentino della storia finora non sia stato coinvolto: "Io sono bloccato, non sono ai piani alti della federazione. So che hanno dato diverse opportunità a molte persone, ma finora non sono stati abbastanza fortunati da trovare qualcuno che facesse contenti tutti". Restando ai tempi recenti, il capitano precedente, Tito Vazquez, era gradito a Del Potro e non, pare, a Nalbandian, che ha insistito per vederlo sostituito con il suo ex-coach Jaite, il quale a sua volta non piace invece al vincitore dello US Open 2009. Mariano Zabaleta, proveniente da Tandil come il n.8 del ranking, è stato appuntato come vice-capitano per fare da collante, ma il trucco non ha funzionato granché.

"Ai miei tempi, nella Davis c'erano i migliori allenatori, e tutti volevano giocarci per avere un ottimo coach che li guidasse. Ora quando un giocatore è convocato il primo pensiero è la paura di essere fischiato, quando invece la convocazione dovrebbe essere una festa. Dobbiamo ritrovare quello spirito". Impossibile non ripensare agli impietosi fischi riservati a Juan Martin Del Potro, alla fine dell'incontro giocato e perso domenica da Berlocq contro Berdych al suo posto, quando era stato invece osannato due giorni prima. "I fischi... non c'erano mai stati fischi. Una volta mi avevano fischiato a Buenos Aires perché avevo gettato la racchetta, e poi ho perso tre giochi di fila. Non dovrebbero esserci fischi in Davis. Ma il tennis è uno sport con dei codici. Quando si va contro di questi, non c'è più comunicazione e non si riceve il consenso di cui si ha bisogno".

Parlando dei conflitti interni alla squadra, ha rimarcato l'importanza di una figura di riferimento. "E' difficile trovare qualcuno che piaccia a tutti. Purtroppo i giocatori hanno ben poca voce in capitolo sulla scelta del capitano, e ci sono molti che si buttano sulla torta per cercare di avere qualche vantaggio. Ci si ritrova con un capitano che non si conosce, eletto dalla federazione, e ad alcuni giocatori non piace. Questo ovviamente può diventare un problema. Invece ci vogliono la buona volontà e gli sforzi di tutti per avere una squadra unita".

E se fosse lui il capitano? "Parlerei con i giocatori, e chiederei quanto conta per loro la Davis, quanto vorrebbero giocarci e chi vorrebbe giocare il punto decisivo, per cominciare ad entrare nella loro testa". Di sicuro il nome e il carisma di Guillermo potrebbero tornare utili alla causa della Davis, ma chissà cosa ne penserà la federazione della sua autocandidatura?

Francesca Sarzetto

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