28/09/2012 13:16 CEST - Profili

Il tennis dei miracoli

Da Medjugorie, Marin Cilic ha iniziato la sua ascesa che lo ha reso uno dei giovani più promettenti del circuito. Decisivo l'incontro con Goran Ivanisevic. Alessandro Mastroluca

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Se non uccide fa crescere. Potrebbe essere questo il motto di Marin Cilic, esponente di punta del nuovo tennis croato. Vent’anni compiuti da poco, due titoli Atp già in bacheca, alle spalle un’ottima carriera da junior e prospettive di successi tra i pro.

Arriva al tennis quasi per caso, a sette anni. Nasce a Medjugorie, dove il primo campo da tennis è stato costruito nel 1991, e mostra subito di avere talento e passione per lo sport, soprattutto calcio e pallamano, messi in secondo piano, però, dallo scoppio della prima guerra dei Balcani. La città delle apparizioni e dei miracoli viene risparmiata dai danni del conflitto, che distrugge molti paesi vicini. E alla fine della guerra Cilic inizia la sua nuova vita, e la sua nuova carriera.

Nel 1995 una sua cugina, Tanja, visita Medjugorie dalla Germania. Scoppia qui l’amore per la racchetta. “Giocavo tre volte la settimana” ha raccontato Cilic. “Il mio primo allenatore mi ha insegnato la tecnica di base, e dopo un po’ ho iniziato a vincere diversi tornei locali”.

Con l’aumentare dei trofei in bacheca, cresce il bisogno di confrontarsi con giocatori migliori; perciò il giovane Marin lascia la famiglia e parte per Zagabria. All’inizio del 2002, Cilic ha un incontro decisivo. Ha l’occasione di allenarsi con l’eroe nazionale, il campione che l’estate precedente era stato acclamato come simbolo di una nazione dopo aver vinto Wimbledon, da wild card, Goran Ivanisevic.

“Me l’hanno portato quando aveva 13 anni e mezzo” ha spiegato Ivanisevic. “Mi sono allenato molto con lui, è un ottimo ragazzo e un grande giocatore. Può diventare un futuro top 10”. La parola di Goran è “pesante”: anni prima aveva preannunciato ad un giornalista britannico, durante una conferenza stampa a Wimbledon, di tenere d’occhio un ragazzino inglese che aveva visto giocare e che secondo lui avrebbe fatto strada. Quel ragazzino era Tim Henman.

Ivanisevic presenta Cilic a Bob Brett, l’australiano che gestisce un’accademia a San Remo e che ha portato Becker a conquistare Wimbledon nel 1991. “Dopo sei mesi il tennis è diventata la mia priorità assoluta” confessa Cilic.

Brett ha apprezzato non solo il potenziale tecnico, soprattutto il rovescio, che senza dubbio rappresenta il suo punto di forza, ma anche la solidità mentale del ragazzo. “Sapeva muovere l’avversario, dettare gli scambi anche senza potenza. Aveva già una buona comprensione del gioco e del campo. In più, è abile, è preparato al duro lavoro, ed è questo che fa la differenza. Impara presto, è molto analitico, perciò è facile lavorare con lui”.

Il debutto tra i pro non è dei migliori. Nel 2005, al challenger di Zagabria, perde presto, 6-4 6-2 da Francisco Costa. Ma la settimana successiva alza al cielo il trofeo di campione del Roland Garros junior. Finisce l’anno al secondo posto del ranking giovanile, dietro Donald Young.

Ottiene una wild card per Umag, a luglio, dove viene battuto 7-5 6-2 dal belga Vliegen. “È stato bello, mi ha fatto capire che avevo bisogno di molta più esperienza per competere ogni settimana a quel livello” ha detto.

Esperienza che gli frutta il titolo a New Haven. Non ha grandi sensazioni all’inizio, beneficia del ritiro di Troicki, poi il suo gioco cresce fino al successo finale contro Fish. E all’inizio di quest’anno il bis a Chennai, in finale sull’”indiano d’America” Somdev Devvarman, e campione universitario negli Usa.

Questo è solo l’inizio, e Marin lo sa bene. “È bello essere considerato un giocatore in ascesa, un futuro top 10. Ma anche se tutti prospettano un grande avvenire per me, devo lavorare tanto per ottenerlo”.
 

Alessandro Mastroluca

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