28/09/2012 12:43 CEST - Rassegna

Errani, stop sul più bello Petrova ride (Martucci); Sara, uno spreco da record (Valesio); Agassi "Vi racconto la mia vita di campione fragile" (Audisio); Dallo sputo al rossetto il lato oscuro di Andre (Clerici)

28 settembre 2012

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Rubrica a cura di Stefano Pentagallo

Errani, stop sul più bello Petrova ride

Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport del 28.9.2012

Nadia Petrova ha perso tante partite già vinte. Stavolta, nei quarti di Tokyo (Gia, 2.168.400$, cemento), la russa, oggi numero 18 del mondo, ma già 3, ne ha vinta una per 3-6 7-5 6-3 in due ore e mezza, rovesciandola quand’era già quasi persa, sul 3-6 1-4, con doppio fallo che offriva all’avversaria la palla del 5-1 e l’eventualità di servire per il secondo e decisivo set. Avversaria che, purtroppo, era Sara Errani, la migliore italiana nel mondo, come numero 7 della classifica. Peraltro ancora in crescita come giocatrice di alto livello, dopo il salto in 8 mesi nelle «top 10», non favorita dalle condizioni indoor, stanca per la durissima stagione (col doppio impegno singolare e doppio), e sotto pressione per la quasi aritmetica qualificazione al Masters del 22 ottobre a Istanbul, non solo in doppio con Roberta Vinci (e come n. 1 del mondo), ma an- che in singolare. Storica doppietta azzurra che resta molto probabile e sembrava certa dopo il k.o. prematuro delle avversarie dirette, Bartoli e Li, per le prime 8 posizioni della «Race» (la graduatoria a punti stagionale che determina la griglia in Turchia della quale sono già sicure Azarenka, Sharapova, Agniewska Radwanska e Serena Williams). Classifica diversa da quella Wta (basata invece sui risultati degli ultimi 12 mesi) ma che, nel caso della romagnola, coincide.

Kerber e Stosur Eliminata già al 2 ̊ turno a Tokyo, Petra Kvitova, quinta classificata nella Race per Istanbul (a 5310 punti), perderà terreno. Invece, con le semifinali in Giappone, guadagneranno Kerber (6a a 5080), e Stosur (8a a 3571), lontana oggi 1249 punti dalla Errani (7a con 5045). Mentre la Li (9a con 4152 punti), stac- cata di 768 punti dall’italiana, deve fare miracolo in extremis al torneo di Pechino della settimana prossima, dove rinuncia Sere- na Williams influenzata. Come la Bartoli (10a con 3345).

Radwanska La numero 1 del mondo, Azarenka, ha rinunciato ai quarti per stanchezza, Sam Stosur, ha riscattato l’1-10 contro Maria Sharapova, imponendosi per 6-4 7-6 (10), pur frenando sul 6-4 5-3, e mancando poi 4 match point. La 3 del mondo, Agnieszka Radwanska, ha vinto il derby di ceppo polacco contro l’ex n. 1, Caroline Wozniacki (di bandiera danese), con 16 punti in 25 discese a rete!

Sara, uno spreco da record

Piero Valesio, Tuttosport del 28.9.2012

CLAMOROSA anche nella sconfitta. Sara Errani ha fallito l'ingresso alle semifinali del torneo di Tokyo ma è il come ad essere degno di essere sottolineato. Un come che è l'ennesima riprova della natura paradiabolica di uno sport che pretende dalla tua testolina di esprimere il massimo anche e soprattutto quando è a malapena in grado di produrre il minimo. Sara nel quarto di finale contro la Petrova era in vantaggio di un set e 4-1 nel secondo pure con una palla per andare 5-1. Chiudere il match e tanti saluti. Invece, invece. Invece qualcosa si è inceppato nel suo meccanismo, quel game l'ha perso e da quell'inattesa possibilità Nadia ha ritrovato forza e coraggio per risorgere dalle sue proprie ceneri e andare a vincere un incontro che aveva già perso. Succede ai grandi. Se proprio vogliamo divertirci a immaginare la madre di tutte le svolte del genere perché non
permetterci di ricordare la finale del Roland Garros '84, quando quell'Ivan Lendl tornato ora di moda grazie al suo ruolo di coach di Andy Murray , rimontò uno svantaggio di due set a zero a McEnroe dopo che da questi era stato tennisticamente spernacchiato per un'ora e mezza? Amen, comunque. Le possibilità di Sara di accedere al Masters di Istanbul restano tuttavia molto elevate anche se la Stosur, che la segue nella classifica Race, quella che tiene conto solo dei risultati dell'anno e che qualifica per Istanbul, ha battuto la Sharapova ed è in semifinale.

ITF-WTA IN GUERRA In teoria potrebbe anche trattarsi della fine della Fed Cup, almeno per come siamo stati abituati a concepirla in questi anni. La Wta ha risposto picchissime alla richieta dell'ITC (la Federazione internazionale che possiede e gestisce Fed Cup e Davis) di portare a quattro gli incontri di Fed cui una giocatrice deve prendere parte (si badi bene, nel quadriennio precedente i Giochi!) per poi potere prendere parte all'Olimpiade. La commissioner della Wta Stacey Allaster ha annunciato che a queste condizioni l'accordo non sarà rinnovato: e se non si troverà un accordo la Wta non terrà conto della date di Fed per compilare i propri calendari.

Agassi "Vi racconto la mia vita di campione fragile"

Emanuela Audisio, la Repubblica del 28.9.2012

ERA il David Bowie della racchetta. Capellone e diverso. Si truccava, si smaltava le unghie, giocava con i pantaloncini jeans, scartati da McEnroe e anche senza mutande (a Parigi). Ora con “Open”, in Italia, è il caso letterario dell’anno: 130 mila copie vendute (50 mila negli ultimi tre mesi).Aveva la ribattuta più veloce del mondo, ora vince con un’onda lunga e lenta, ma sempre implacabile. Un long-seller, visto che negli Usa l’autobiografia è uscita tre anni fa. Non facevi in tempo a servire, che già ti aggrediva da fondo campo, ora invece ti conquista in 493 pagine, insomma ce ne mette, non ha più fretta. E in un anno è salito in cima. Era il kid di Las Vegas: pazzo, scatenato, eccessivo. Un vandalo, con la racchetta e senza. Sfasciava certezze, veloce come una pallina della roulette. Ciuffo rosa da moicano e orecchino. «Ti vesti da finocchio», gli disse il padre, ex pugile, emigrato dall’Iran. Per Ivan Lendl, che non voleva fargli un complimento: «Un taglio di capelli e un dritto». Per l’Italia era un campione barbaro e viziato, lontano da ogni classicità, uno che faceva ragazzate.

Uno grande sul campo, anzi su ogni tipo di campo (terra, erba, cemento): 21 anni di carriera, 1.000 partite, l’unico americano ed uno dei sette giocatori al mondo ad aver vinto 4 titoli del Grande Slam. Ora a 42 anni è un Amleto calvo, sopravvissuto ai dubbi, ai tormenti e al suo regno. Non si è ucciso, anzi si è ritrovato, con parole che lasciano il segno. Come i suoi schiaffi al volo. La sua partita è iniziata presto, prigioniero del padre, rissoso e collerico, che lo voleva campione a tutti i costi e che con uno sparring-robot lo esortava: «Fagli venire le vesciche al cervello al tuo avversario». Poi cambia il tipo di gabbia, ma non la ribellione: «Voglio essere un sedicenne normale, ma la mia vita continua a diventare sempre meno normale». E restano le insicurezze, il masochismo, le debolezze, i capitomboli. Il vuoto dietro il campione. E il Gack, la metanfetamina, presa quando nulla funziona più. Il matrimonio nel ’97 con Brooke Shields, la crisi, lei che gli dice: «Tu non ti sei evoluto», la discesa da numero 1 a 141 del mondo, la risalita, l’incontro con Steffi Graf, il matrimonio, due figli (Jaden e Jaz), l’addio allo sport nel 2006 e finalmente la consapevolezza da uomo: «Ho giocato a tennis per un sacco di motivi e nessuno era il mio».
Allora Andre, sorpreso dall’Italia?
«Per niente. Voi mi avete capito, siete recettivi. Ho sempre avuto questa sensazione, anche quando giocavo, voi sentivate che ce la mettevo tutta, che cercavo una quadratura, di mettere i pezzi insieme, anche nella vita. Ci mettevo passione, voglia, allenamento, pure nei miei sbagli. Ero disturbato, ma voi sembravate non farci caso. Davo l’idea di un bullo arrogante, ero solo pieno di ansie. C’è gente che dentro il campo rinasce, diventa leone, si sente finalmente bene, io invece stavo male da cani. Bastava un ritardo per la pioggia e già cadevo in confusione, mi venivano i dubbi, le incertezze. È stato brutto vivere così, anzi patire. L’autobiografia l’ho voluta come me, mi sono dilaniato, sbranato, sono andato a fondo, ho scelto J.R. Moehringer, per scriverla, non perché è un premio Pulitzer, ma perché mi era piaciuto da impazzire il suo libro, “Il bar delle grandi speranze”. Ci abbiamo messo tre anni e otto versioni e ho tolto molte ore alla mia famiglia. Non è stato uno scherzo, avevo più da perdere che non da guadagnare».
McEnroe dice che lei scrive per non pagare la psicanalisi.
«Ho pagato anche quella, quando serviva. E ho letto il libro di John da cui ho appreso molte cose sulla sua vita che non sapevo. Ma forse ha ragione lui: io volevo scavarmi, andare dentro i miei conflitti, affondare nella mia confusione. Essere molto open. Però al mondo c’è un sacco di gente che non sta bene nella sua pelle, a disagio nei matrimoni, nell’adolescenza, con se stessa. Sarò presuntuoso, ma volevo dire che si può arrivare a capirsi. Se l’ho fatto io, ci possono riuscire anche gli altri. Il libro si fonda su questa speranza: si è persi, ma ci si può ritrovare. Non è sul tennis, ma su come sia difficile confrontarsi con la propria identità. L’ho scritto: amo e riverisco tutti quelli che hanno sofferto».
In America hanno fatto scandalo i suoi sballi.
«Puro sensazionalismo. Sono contento che l’Italia abbia capito che la droga è stata un momento di sconforto, che il libro non era su quello, sul sentirsi finalmente Superman e non dormire per due notti, ma sulla fatica che si fa a crescere. Stavo male, cercavo aiuto, non sapevo come dirlo. Non è la sola mia contraddizione: io cercavo l’autorità, e poi mi ribellavo».
A nome di tutti i ragazzi rovinati dai sogni di gloria dei genitori.
«Io mio padre sono arrivato a capirlo. È arrivato dall’Iran e a noi figli ha voluto regalare il sogno americano, lui non aveva mai potuto scegliere. Avevo sette anni quando mi disse che sarei diventato numero uno.Per lui contavano forza e disciplina, non il calore umano, né la fragilità. Ora ci abbracciamo, ma prima evitava ogni contatto fisico. Solo quando mi ha visto a pezzi, all’Us Open del 2006, allora ha odiato anche lui il tennis e ha realizzato quanto fisicamente mi avesse fatto male dare tutto».
Suo padre ha letto il libro?
«No. Dice che non ne ha bisogno, lui c’era e non ha bisogno di qualcuno che glielo racconti. È convinto che il tennis abbia rovinato il nostro rapporto, non lui. Non mi chieda se si sente in colpa, lui pensa di non averne di colpe, anzi rifarebbe tutto quello che ha fatto, ne è fiero. Quando dopo tre sconfitte nelle finali del Grande Slam ho vinto contro Goran Ivanisevic a Wimbledon e ho chiamato casa, papà mi ha detto: come hai potuto perdere il quarto set?».
Lei crede si possa essere felici e vincere?
«Io non ci sono riuscito. Pensavo troppo, anche se mio padre me lo proibiva. Non volevo giocare a tennis e quello spara-palline contro cui dovevo combattere, 2.500 al giorno, ha rovinato la mia infanzia. Io sono cresciuto con le ossessioni e con le frustrazioni, forse Federer sarà diverso. Ma fino a quando si sta nel fuoco non si sentono a fondo le scottature. Hai bisogno di allontanarti dall’azione per riuscire a sentire il suo respiro. Forse tra qualche anno anche Federer e quelli che sembrano vincere con calma ed equilibrio scriveranno i loro libri e verrà fuori tutta un’altra storia. È che io sono diventato famoso in fretta, ma ci ho messo molto a crescere».
Ci si sposa tra vittime, per questo sua moglie è Steffi Graf?
«Siamo diversi. Ok, anche lei ha avuto un padre che l’ha molto controllata e ha voluto gestire la sua vita. Ma diversamente da me lei ha sempre voluto giocare. Quando ho iniziato a dire alla gente che odiavo il tennis loro mi rispondevano: ma dai, che in realtà lo ami. Quando l’ho detto a Steffi mi ha risposto: non lo odiamo tutti? Lei mi ha insegnato la pazienza ed è stata la mia prima lettrice, perché è una persona molto privata, e io avevo paura di mancarle di rispetto».
Vede altri Agassi in giro?
«Mettiamola così: vedo tanti giocatori che hanno paura dei giudizi, così come io temevo quello di mio padre. Vedo gente spaventata che cerca di nascondersi, e mi ricordo di quando facevo cose pazze perché per la paura volevo scomparire dalla faccia della terra. Quando Becker disse che tutti mi odiavano, mi ferì tantissimo. Già ero insicuro, quelle parole furono una lama».
Però lo sport serve.
«È uno specchio formidabile. Ma solo se non ti travesti. E mostri la tua vulnerabilità».

Dallo sputo al rossetto il lato oscuro di Andre

Gianni Clerici, la Repubblica del 28.9.2012

Capisco benissimo che il risvolto di un libro debba apparentarsi a una reclame, tanto da incuriosire ancor più l’acquirente già inte- ressato dalla copertina.
Rimasi tuttavia un pochino perplesso nel leggere, nella prima edizione di Open (Alfred Knopf 2009) l’autobiografia di Agassi, l’irresistibile affermazione “il segreto mondo del tennis, e quello esteriore della fama, non sono mai stati descritti così puntualmente”.
Mi affrettai a dare un’occhiata alla mia biblioteca tennistica, seconda solo a quella di Wimbledon, ritrovandovi titoli firmati da onorevoli romanzieri quali J. McPhee, e Ring Lardner, e presi nota che l’autobiografia di Andre era stata scritta da J.R Moehringer, Premio Pulitzer e autore di The Tender Bar, opera che aveva spinto il tennista a chiedergli collaborazione durante lo U.S. Open del 2006.
Avventuratomi nella lettura, mi era parso di ricordare, al di fuori di vicende alle quali ero stato testimone, qualche episodio di cui avevo letto in un paio di libri apparsi in precedenza, e che parevano dimenticati.
In My Aces my Faults, (1996 ) Nick Bollettieri, che era stato l’allenatore di Agassi dai dieci ai sedici anni, raccontava, tra l’altro, l’inizio impervio con un giovanetto “di cui non ho mai incontrato un simile, vittima di un profondo complesso Edipico, in cerca di sé fino a truccarsi pesantemente gli occhi, passarsi un rossetto sulle labbra, bucarsi i lobi delle orecchie per infilarvi anelli, e a tingersi quasi giornalmente i capelli di rosso o di arancio”.
Non sto cercando lo scandalismo ad ogni costo, tento soltanto di sottolineare che, dopo tutto, Open mi sembri un poco agiografico. Soprattutto dopo un altro libro che lo precede The Agassi Story, (2004) la biografia del padre Mike, iraniano di stirpe armena, pugile per il suo paese in due Olimpiadi, emigrato a Chicago e poi buttafuori a Las Vegas, suocero del grandissimo Pancho Gonzales, e padre di quattro figli, tutti avviati invano al tennis ad eccezione di Andre.
Quando incontrammo, in America, assieme a Bud Collins, il 6 Settembre del ‘95 (cfr La Repubblica) Mike Agassi, egli ebbe a raccontarci cose che non si trovano nella più recente biografia.
Così come è assente la storia di un Andre che, sul Centrale di Flushing Meadows, in una notte di furore, sputa verso l’arbitro e afferma poi di aver preso di mira la propria scarpetta. Un peccato, perché lo si sarebbe potuto battezzare “Sputo Boomerang”.
E, solo ora, mi viene da pensare a un altro libro, che con il tennis non ha niente a che fare, ma riguarda piuttosto le biografie: Vite Immaginarie, di Marcel Schwob (Adelphi, 1972).
È quello, con tutta probabilità, il modello di Open.

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