16/10/2012 17:17 CEST - LA RIFLESSIONE

Murray, campione senza pace

TENNIS - Nonostante il successo degli US Open, le critiche sulle qualità mentali e sullo status di campione di Murray non smettono a infiammare le discussioni tennistiche. Critiche ingiuste: il salto di questi mesi è innegabile. Federico Romagnoli

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Andy Murray (Photo by Matthew Stockman/Getty Images)
Andy Murray (Photo by Matthew Stockman/Getty Images)

Come accadde al tempo anche al suo epico allenatore cecoslovacco, Andy Murray attira antipatie come il miele gli orsi. Perde una partita (la sua prima sconfitta al penultimo Masters 1000 dal 2007, fra l’altro) e subito sembra che la vittoria a Flushing Meadows non sia mai avvenuta. Improvvisamente è tornato un mezzo campione: prima doveva vincere uno Slam per dimostrare di esserlo. Ora che l’ha vinto non va più bene manco che perda in un Masters 1000. E di Slam comunque deve vincerne un altro per confermarsi.

Certo come il sole che pure se ne vincesse un altro non basterebbe, perché Federer ne ha vinti diciassette e Nadal undici. Grazie alla partita di Shanghai Djokovic si è mostrato più forte mentalmente (eppure ci ha perso tre partite su sei quest’anno), più resistente fisicamente (ma allora perché schiantarsi al suolo proprio al quinto set in quel di New York, dopo che ne aveva rimontati due e il momentum era tutto dalla sua?) e Murray deve tornare dallo psicologo (scandaloso farsi annullare cinque match points da colui che sembra avere una specializzazione al riguardo, tanto da esser stato capace di dare una lezione persino a Federer). Quando invece fu Andy a rimontare partite che sembravano compromesse, come con Cilic, in quel caso non fu una dimostrazione di grinta, ma un gentile regalo dell’avversario. Per non parlare poi di Berdych e nuovamente di Nole, che se non fosse stato per il vento col cavolo che li avrebbe battuti (verrebbe da chiedersi come mai questo vento penalizzasse chiunque tranne lui: qualcuno lo ricorderà totalmente in panne contro Nadal a Indian Wells proprio a causa del vento, e se nel frattempo ha imparato a gestirlo forse dovremmo chiamarla bravura, non fortuna).

E però secondo quasi tutti gli addetti ai lavori questo incapace fortunello sarà protagonista di altre grandi finali nel futuro prossimo, in molte delle quali dovrà fronteggiare probabilmente Novak Djokovic (benché chi scrive ritenga Federer in grado di reggere ai loro livelli almeno per un altro paio di stagioni: del resto è dal 2008 che sentiamo dire che è finito e guardate dov’è ora), fatto salvo un eventuale ritorno di Nadal capace di issarsi immediatamente a alti livelli.

Si sente spesso dire che Murray e Djokovic siano giocatori del tutto simili e che la differenza finora l’avesse fatta solo la testa, ma sulla loro similitudine c’è ben da ridire: Murray non ha l’elasticità di Nole, di cui non può permettersi le spaccate; i movimenti dei due per raggiungere la palla in corsa sono del tutto differenti, Murray ha passi molto più serrati, e su terra battuta ne risulta ampiamente penalizzato; Nole ha una seconda di servizio più incisiva (benché nessuno dei due sia il migliore dei servitori) e un dritto che è arma rodatissima mentre Murray sta iniziando ora, sotto l’egida di Lendl, a utilizzarlo come arma offensiva (e ancora non disdegna di affossarne di cruciali in rete); Murray ha un grande tocco quando deve scendere nei pressi della rete, lo stesso non si può dire di Nole (che anche con i colpi sopra la testa combina a volte dei pasticci); dulcis in fundo Murray ha un ottimo slice, capace di fare la differenza su erba. Giocano entrambi prevalentemente da fondo, questo è vero, ma sarebbe come dire che Lendl e Wilander fossero identici.

Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, una cosa è certa: le loro partite sono il giusto compromesso per chi cerca un forte agonismo ma non ama la monotonia (siamo onesti: s’è vista più varietà di gioco nelle tre ore di Shanghai che nelle sei di Melbourne). Nel 2013 gli obiettivi principali saranno Parigi per Nole e Londra per Muzza: in bocca al lupo!

Federico Romagnoli

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