23/10/2012 17:34 CEST - Personaggi

Le sette vite di "Rusty "

TENNIS - A Valencia, Hewitt si è rilanciato battendo Monaco: prima vittoria dopo 10 sconfitte contro un top-10. A luglio era numero 233 del mondo. Finirà la stagione nei 100. E al ritiro non vuole proprio pensare. Alessandro Mastroluca

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Lleyton Hewitt (Photo by Clive Brunskill/Getty Images)
Lleyton Hewitt (Photo by Clive Brunskill/Getty Images)

Essere risoluti, determinati a vincere, a vincere secondo le regole ma, se necessario, a spingersi fino ai limiti delle regole. Fare dell'impossibile qualcosa che il corpo umano possa raggiungere”. Così John Arlott, telecronista della BBC, definiva l'”australianità”, il carattere nazionale australiano. Parlava di cricket, ma avrebbe potuto benissimo riferirsi al tennis. E a Lleyton Hewitt.

Hewitt che tutti chiamano “Rusty” ma la ruggine ancora non sa cosa sia. Hewitt che ha iniziato la stagione da numero 182 del mondo e a luglio, dopo sei mesi di assenza per un intervento al piede (impianto di una placca d'acciaio all'alluce sinistro) era precipitato alla posizione 233. Hewitt che a Valencia ha interrotto una serie di 10 sconfitte di fila contro top-10 e praticamente estromesso Juan Monaco dal Masters di Londra.

Ormai quasi certo di finire la stagione tra i primi 100, toglierà agli organizzatori degli Australian Open l'imbarazzo di dover scegliere se assegnare la wild card al veterano con più vittorie, più tie giocati e più anni di presenza in Davis o a uno dei teenager emergenti.

Un invito potrebbe andare a Ebden, se non dovesse superare il cut-off (ora è intorno alla posizione n.110). O alla grande speranza di Barmera Luke Saville, classe 1994, vincitore del titolo junior agli Australian Open lo scorso gennaio e poi finalista a Wimbledon, giocando sempre contro il canadese Peliwo. O ancora all'atipico James Duckworth, nipote di Beryl Penrose, che vinse gli Australian Championships nel 1955. Atipico perché ha cercato, e trovato, successo soprattutto sulla terra rossa europea; l'anno scorso ha perso da Marinko Matosevic nella finale dei playoff per la wildcard allo Slam di casa.

Ancora capace di coraggio e passione (la vittoria su Roddick, costretto però al ritiro, o il set tolto a Djokovic agli Australian Open; il successo in cinque set su Gilles Muller agli ultimi Us Open), counter-puncher spigoloso come Jimmy Connors, come Jimbo è stato sportivamente “odiato” in gioventù e amato quando ha iniziato a invecchiare e perdere di più.

Di ritiro non vuole ancora sentire parlare, ma le due sconfitte contro Mayer e Stebe potrebbero essere state le sue ultime due partite in Coppa Davis. “E' un guerriero senza più energie” ha detto John Fitzgerald. Un guerriero da celebrare perché ha portato l'Australia a giocare quattro finali in cinque anni tra il 1999 e il 2003. Un guerriero da accantonare per guardare avanti e aprire un altro capitolo di storia.

Il suo canto del cigno nell'estate australiana potrebbe allora arrivare in un certo senso lì dove tutto è cominciato. Hewitt sarà a Brisbane, torneo che apre la stagione australiana. Fino al 2009, però, si è giocato a Adelaide. Lì, nel 1998, a 16 anni, ha battuto il numero 1 del mondo, Andre Agassi (idolo di cui aveva il poster in casa), in semifinale e Jason Stoltenberg in finale. Solo Aaron Krickstein (Tel Aviv, 1983) e Michael Chang (San Francisco, 1988) erano più giovani di lui quando hanno vinto il loro primo titolo Atp. Hewitt era numero 550 del mondo. “Tutti abbiamo capito che aveva qualcosa di speciale” ha detto Tony Roche

Ma la vera conferma arriva 12 mesi dopo, come ha ricordato Darren Cahill. “Stava giocando un challenger a Perth (era testa di serie numero 1). Poche settimane dopo avrebbe dovuto difendere il titolo a Adelaide. In poco tempo sarebbero scaduti quasi tutti i suoi punti. C'era molta pressione. Vinse il torneo in singolare (64 64 su Draper) e in doppio. A Adelaide poi arrivò in finale (perse da Thomas Enqvist 46 61 62). Lì è stato chiaro che sarebbe diventato un grande giocatore”.

Tutta l'essenza dell'australianità, però, si può racchiudere in una novantina di secondi. È la finale di Indian Wells 2005. Hewitt ha un problema al dito del piede, è rimasto fuori quattro settimane e nemmeno avrebbe dovuto giocarlo quel torneo. Federer, invece, ha vinto 41 delle ultime 42 partite. Ha conquistato il primo set 6-2 e ha una palla break nel terzo gioco del secondo set. Hewitt gioca una prima di servizio, 11 rovesci incrociati, sette dritti, due drop, due pallonetti e chiude il punto, dopo 45 colpi, con una volée in tuffo. Una standing ovation accompagna la fine di uno degli scambi più memorabili della storia recente. “Nei grandi momenti, nei match che contano” ha detto il suo coach di allora, Roger Rasheed, “Lleyton è sempre presente al massimo. La competizione, l'adrenalina lo motivano. Ha un'enorme fiducia in se stesso, un insaziabile appetito per il lavoro. Ma soprattutto un amore infinito per il gioco del tennis”.“

Alessandro Mastroluca

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