03/12/2012 18:04 CEST - APPROFONDIMENTO

Reyes e Grover: l'allenamento perfetto

TENNIS - Il primo ha reso un atleta Andre Agassi, il secondo ha trasformato Michael Jordan in un gigante d'atletismo. Due grandi nomi a stabilire la supremazia degli USA in fatto di preparazione fisica. Karim Nafea

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Da sinistra: Brad Gilbert, Andre Agassi e Gil Reyes nel 2000
Da sinistra: Brad Gilbert, Andre Agassi e Gil Reyes nel 2000

Due nomi: Gil Reyes e Tim Grover.

Il primo è leggenda e se non lo conoscete vi siete meritati un bel castigo. Il baffone latino, guru dell’allenamento, trasformò Andre Agassi in uno dei migliori atleti del circuito.

1989, Roma. Andre Agassi perde, con Alberto Mancini, una finale maratona nel torneo di Roma. Il Kid di Las Vegas, arresosi 6-1 al quinto, punta il riflettore sulla propria condizione fisica.
La Chiamata.
Alla UNLV (University of Nevada, Las Vegas) la squadra di basket va alla grande. I giocatori non sembrano mai stanchi e dimostrano delle capacità atletiche insensate.
Andre scorre la lista dello staff tecnico ed incontra la voce che cercava.
“Strenght and Conditioning Coach”: Gil Reyes.
Agassi chiama ed inizia quella che, con buona pace di tutti gli altri, sarà la collaborazione più importante nella sua vita tennistica. Con l’aiuto di una collina rocciosa sperduta nel deserto del Nevada il fisico di Andre si plasma in quello che sarà uno dei più atletici nel tour.
Nel frattempo Gil avrà la soddisfazione di vedere i suoi Runnin’ Rebels (con Greg Anthony e Stacy Augmon in campo) demolire Duke 103-73 nella finale NCAA del 1990.

Ultimamente ha trasformato in giocatore Verdasco (anche se solo per un paio d’anni) ed ha collaborato con la squadra di preparatori/coach della Adidas.
Questo per Reyes.

Per l’altro, iniziamo dalla fine. Il basket. Il basket in una delle sue incarnazioni migliori: Michael Jeffrey Jordan.

1989, Chicago. MJ, agonista se ce n’è uno, decide di dare un calcio alle critiche: deve portare i Bulls al titolo. La prima tappa è la palestra. Il fisico, che pure gli permette di fare questo, deve raggiungere i limiti dettati dall’evoluzione umana. Contatta un preparatore atletico ed inizia a lavorare. Alza pesi e completa sessioni fino a ridurre il grasso corporeo ad un anoressico 4 %, per 100 chili di muscoli.
Vince 6 volte, l’ultima in questo modo.
Il preparatore atletico è Tim Grover e chiunque ami il basket lo ringrazia per averci donato questa roba.

Due nomi e due figure che simboleggiano la supremazia statunitense in termini di preparazione e potenziamento del fisico. I due guru dell’allenamento sono solo un esempio di quella che è la supremazia tecnica e culturale degli statunitensi in materia di preparazione e potenziamento del fisico.
E ci sono due aspetti, importantissimi dall’altra parte dell’Atlantico, su cui ci si dovrebbe concentrare per capire questa superiorità: l’approccio all’allenamento stesso e l’attenzione dedicata al ruolo che la mente può avere sul corpo durante l’attività fisica intensiva.

Ad ognuno il suo
Non si vendono tappeti. Nei discorsi di un allenatore d’impostazione americana ricorre molto spesso la parola “massimale”. L’obbiettivo è il raggiungimento o, molto più probabilmente, l’avvicinamento del massimo raggiungibile da ogni singolo organismo. Nessuna forzatura, rischio di “rotture” diminuito. Quando un atleta è stato portato o avvicinato al massimo delle proprie capacità atletiche e fisiche l’allenamento vero e proprio ha raggiunto il suo scopo.
Nell’avvicinarsi al picco si ha la massima cura nel non accelerare eccessivamente fase catabolica ed anabolica del processo di Supercompensazione.

La ricerca del “massimo relativo” per ogni organismo sostituisce, quindi, l’allenamento sfrenato che, anche quando ben fatto, riduceva la longevità fisica e mentale dell’atleta. Benchè il picco di rendimento fisico rimanga invariato, questo metodo permette di mantenere prestazioni ottimali per un periodo di tempo maggiore (nell’esempio di Agassi e MJ, fisicamente competitivi fin quasi ai quaranta).

Mens Sana
Sì, la mente. Reyes e Grover sono straordinari non solo nell’atto vero e proprio dell’allenamento ma anche e soprattutto nel mettere i propri assistiti nello stato mentale giusto per rendere pienamente produttivo il lavoro. Ovviamente questo ha poco o niente a che fare con l’urlare incitamenti/insulti. E’ un lavoro molto più sottile e variegato che passa attraverso moltissimi dettagli, non ultime le parole. I buoni preparatori d’oggi sono anche grandi comunicatori e riescono a convincere l’atleta a “comprare” il progetto.
Quella strana combinazione tra motivazione, carica agonistica e fiducia che spinge i grandissimi ad andare oltre il la fatica ed il dolore durante gli allenamenti è il risultato della difficile e complicata alchimia di cui sono capaci Grover, Reyes e co.

Ancora una volta bisogna voltarsi verso gli Stati Uniti per migliorare lo sport.

Karim Nafea

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