08/12/2012 19:22 CEST - Approfondimenti

Dilettanti e professionisti: storia di una rivoluzione

TENNIS – Il 1968 rappresenta un cruciale spartiacque nella storia di questo sport: con i tornei di Bournemouth e, soprattutto, il Roland Garros ha ufficialmente inizio l’Era Open. Dalle tournée con Fred Perry e Ellsworth Vines al Grande Slam di Rod Laver. I cambiamenti dell’organizzazione del “sistema-tennis” e la nascita dell’ATP. Daniele Camoni

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Rod Laver
Rod Laver

Chiunque conosca minimamente la storia del tennis avrà certamente sentito parlare della separazione tra “dilettanti” (o amateurs) e “professionisti”, una distinzione che oggigiorno causa non pochi problemi ed incongruenze al momento di valutare l’evoluzione storica del nostro amato sport nonché le carriere di diversi tennisti, soprattutto di coloro i quali hanno avuto modo di attraversare le due grandi epoche del tennis moderno, l’Era dilettanti-professionisti e l’Era Open (esempio emblematico è Ken Rosewall) o di coloro che, come Pancho Gonzales, spesso si vedono (purtroppo) tagliati fuori dai discorsi sui migliori di sempre, a causa di mere questioni “di cronologia”.

Cosa significava realmente e, soprattutto, cosa implicava essere dilettanti o professionisti in quanto a guadagni e (possibili) partecipazioni a tornei, le due grandi questioni su cui si gioca questa multiforme e spesso complicata distinzione ?

Come accenno preliminare, basterà dire, a grandi linee, che i dilettanti avevano un loro proprio circuito (comprendenti anche quelli che oggi si definiscono Grandi Slam) e lo stesso può dirsi dei professionisti. Con riferimento a questi ultimi, però, l’attuale sistema tennistico organizzato secondo un ampio ventaglio di tornei in successione non rappresenta propriamente la realtà di quello che allora poté definirsi un circuito pro (pro tour): lo schema consolidato era soprattutto quello di scontri diretti continui (head-to-head) tra grandi campioni dell’epoca, in tournées di durata variabile. La nascita del primo “circuito professionistico” risale al 1926, quando C.C. Pyle mise sotto contratto diversi giocatori statunitensi e francesi, che si affrontavano in esibizioni davanti ad un pubblico pagante : tra i massimi protagonisti spiccano i nomi di Vinnie Richards e della “Divina” Suzanne Lenglen, due tra i massimi fenomeni dell’epoca.

Così, ad esempio, nel 1963, in una tournée erbivora tra Australia e Nuova Zelanda a tre (Rosewall, Laver e Hoad), Rosewall si impose su Laver per 11 incontri a 2 e Hoad dominò “The Rocket” per 8 incontri 0. In una successiva tournée negli States si poté invece assistere a continue sfide incrociate tra Rosewall, Laver, Gimeno, Ayala, Buchholz e MacKay. Ognuno doveva fronteggiare gli altri cinque per almeno otto volte : il primo classificato (quello con più vittorie) avrebbe affrontato il secondo, il terzo invece il quarto , in una sorta di schema a semifinali incrociate : nelle fasi finali, Rosewall batté Laver per 14-4, Gimeno si impose su Buchholz per 11-7.

Il circuito professionistico comprendeva anche alcuni tornei, sebbene questi fossero presenti in numero molto limitato e offrissero compensi molto più bassi rispetto a quelli offerti dai promoters negli scontri diretti : ad esempio, in una tournée nord-americana nel 1937, Fred Perry guadagnò $91.000 dopo aver affrontato a ripetizione Ellsworth Vines, mentre la vittoria degli US Pro Championships gli fruttò $450 !! Nel biennio 1937-1938, inoltre, Vines non disputò un singolo torneo, ma giocò 70 matches in due tournées. O ancora : nei suoi primi cinque mesi da professionista, nel 1957, Ken Rosewall affrontò Pancho Gonzales in 76 incontri (Gonzales si impose 50-26), disputando tuttavia solo 9 incontri in tornei da circuito.

Solo a partire dagli anni Sessanta, infatti, i tornei professionistici incominciarono ad acquistare maggiore rilevanza rispetto agli scontri testa a testa : tra questi si ricordano gli US Pro Championships (disputatisi tra il 1927 ed il 1999 ; nel periodo 1954-1962 vennero disputati indoor), i Wembley Championships (1934 – 1990) ed i French Championships (1930 – 1968). Di fatto, questi possono considerarsi come il corrispettivo professionistico dei tornei del Grande Slam. I primi due tornei sopravvissero all’avvento dell’Era Open, trasformandosi in appuntamenti forse minori ma sempre carichi di grande fascino.

Tra i tornei pro, bisogna citare anche il cosiddetto “Tournament of Champions”, disputato tra il 1956 ed il 1959 ed il Wimbledon Pro (Wimbledon World Professional Championship), un evento mitico che merita di essere approfondito.

Nel corso dell’edizione 1966 di Wimbledon, Herman David (chairman del torneo londinese) discusse con Jack Kramer e Bryan Cowgill (tennis executive della BBC) della possibilità di far sì che dilettanti e professionisti disputassero congiuntamente il mitico torneo erbivoro con sede presso l’All England Club.

All’indomani di complicate gestioni nelle stanze dei bottoni (ne parleremo più avanti), nell’agosto del 1967 Cowgill riuscì finalmente ad ottenere che i professionisti potessero disputare, per la prima storica volta, un torneo in quel di Wimbledon. Dotato di un montepremi di $45.000, il Wimbledon Pro (con un tabellone a 8 giocatori, i migliori professionisti) divenne il torneo più ricco mai disputato sino ad allora : Laver si impose su Rosewall, gettando le basi di quel Grande Slam che in un paio d’anni lo trasformerà in leggenda vivente. Inoltre, piccola curiosità, per la prima volta si assistette alla trasmissione a colori di un programma televisivo.

Al di là dei cospicui guadagni che essere professionista implicava, il livello dei migliori professionisti era di gran lunga superiore a quello dei migliori dilettanti. Passare dal dilettantismo al professionismo era un passo che non tutti si potevano permettere : una volta approdati nel pro tour, molti dilettanti di livello (anche i migliori) cadevano subito nelle retrovie, altri invece riuscivano, piano piano, ad affermarsi come tennisti di primissima fascia, non senza aver profuso grandi sforzi. Rosewall, Laver, Hoad, Gimeno ed altri fenomeni dell’epoca hanno tutti dovuto farsi le ossa a suon di sconfitte con i migliori di allora (Gonzales, Sedgman o Segura), a dimostrazione di come l’abisso tra i due mondi tennistici fosse assolutamente incredibile : nel 1962, ad esempio, Laver (allora dilettante) realizzò il suo primo Grande Slam ; nel 1963 entrò nel giro dei professionisti, e solo due anni dopo riuscì ad imporsi come il miglior pro dell’epoca, vivendo sulla propria pelle come il miglior professionista (o comunque uno dei migliori) potesse battere il miglior dilettante con buon margine, a prescindere da Grandi Slam e vittorie in serie tra gli amateurs.

Quasi tutte le nostre riflessioni su dilettanti e professionisti sono però destinate a complicarsi leggermente con l’approdo al 1968, comunemente identificato come l’anno chiave dell’Era Open. Pensare semplicemente ad amateurs e pros disputare gli stessi tornei non è propriamente corretto, non rispecchia in pieno la composita e complicata realtà di allora. Cerchiamo di capire perché.

La proposta di “aprire” i tornei del Grande Slam ai professionisti, sollevata già da diversi anni, trovò un primo banco di prova nel 1960, quando l’ILTF (International Lawn Tennis Federation) mise ai voti la possibilità di pervenire finalmente ad un “Open tennis” ; tuttavia il quesito non ebbe successo, in quanto, dei 139 voti su 209 richiesti in assemblea, ci si fermò a 134, e tutto saltò all’aria. Dilettanti e professionisti continuavano a coesistere separati.

Fino al 1968 la situazione del sistema-tennis comprendeva un circuito per dilettanti (inclusi i tornei del Grande Slam e la Coppa Davis) ed un macro-circuito per professionisti, quest’ultimo diviso in due grandi blocchi distinti : il “WCT circuit” (World Championship tennis) ed il “NTL circuit” (National Tennis league). George MacCall aveva in mano il circuito NTL e sotto contratto gente del calibro di Rod Laver, Roy Emerson, Ken Rosewall, Andrés Gimeno, Pancho Gonzales e Fred Stolle ; David Dixon (e poi il mitico Lamar Hunt) dominava la WCT, avendo invece sotto contratto i celebri Handsome Eight (John Newcombe, Tony Roche, Nikola Pilić, Roger Taylor, Pierre Barthès, Earl "Butch" Buchholz, Cliff Drysdale e Dennis Ralston). Esistevano poi alcuni giocatori “indipendenti” (freelance professionals), che non erano sotto contratto né con la WCT né con la NTL, quali Lew Hoad, Mal Anderson, Owen Davidson e Luis Ayala.

Nel dicembre 1967, la LTA (ovvero la Federazione inglese) decise, ad ampia maggioranza, che, a partire dall’anno seguente, indistintamente tutti i giocatori avrebbero potuto prendere parte a Wimbledon nonché ai tornei da disputarsi in suolo britannico ; l’ILTF, messa spalle al muro a causa del suo discusso voto del 1960, dovette piegarsi alla nuova realtà e, con decisione pilatesca, attribuì alle singole federazioni nazionali la possibilità di “legiferare” a proprio piacimento, con riferimento a dilettanti e professionisti.

Il primo torneo “open” della storia si disputò presso il West Hants Club di Bournemouth nell’aprile del ’68, mentre il primo Slam ad aprirsi ai professionisti fu il Roland Garros, nel maggio del ’68. Tornei entrambi disputatisi su terra, sia in suolo inglese sia presso l’impianto del Bois de Boulogne il vincitore risultò essere Ken Rosewall, di fatto il miglior giocatore su terra da circa un decennio a quella parte.

L’arrivo dell’Era Open non fu però un’apertura pura e semplice ai professionisti : che fine avrebbero fatto i cricuiti WCT e NTL ? Quali tornei avrebbero potuto o meno disputare i giocatori sotto contratto con George MacCall e David Dixon (o Lamar Hunt), le grandi eminenze grigie dei circuiti professionistici ? Quale influenza avrebbero avuto i potenti promoters sul tennis del futuro ?

Troverete tutte le risposte ed approfondimenti nella seconda parte di questo articolo…

Daniele Camoni

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