19/12/2012 10:04 CEST - L'analisi

La "trivalità": chi è stato il più forte quando al meglio?

TENNIS - Tre prestigiose firme della rivista americana Tennis discutono su chi tra Federer, Nadal e Djokovic sia stato il più forte all'apice del suo rendimento. Traduzione di Vanni Gibertini

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Novak Djokovic, Roger Federer e Rafael Nadal (Photo by Clive Brunskill/Getty Images)
Novak Djokovic, Roger Federer e Rafael Nadal (Photo by Clive Brunskill/Getty Images)

Rafa domina Roger, Roger tiene sotto controllo Novak, Novak fa impazzire Rafa – questo, lo sappiamo. E’ indiscutibile che Roger Federer sia il tennista più di successo della sua straordinaria generazione. Ha vinto 17 prove del Grande Slam ed ha vinto con tanta, forse troppa costanza, contro una lunghissima schiera di illustri rivali. La regolarità di risultati conta. Rimanere in salute conta. La perseveranza conta. La determinazione conta anche quella. E’ anche indiscutibile che Rafael Nadal sia il re della terra battuta, con un record di sette vittorie al Roland Garros, ed una sola sconfitta in 53 match giocati al Bois de Boulogne; e che la striscia consecutiva di 43 vittorie messa a segno da Novak Djokovic all’inizio del 2011 sia un’impresa ineguagliata dai suoi due rivali.

L’oggetto del contendere qui non è quale giocatore abbia messo a segno i record più straordinari; bensì vogliamo ragionare su quale dei tre sia stato il migliore quando è stato all’apice della forma. Valutando la questione esclusivamente dal punto di vista degli head-to-head, Nadal ha un lieve margine, soprattutto in virtù del suo vantaggio su Federer per 18 vittorie a 10, che comprende anche un eloquente 8-2 nelle prove dello Slam. Federer conduce 15-12 su Djokovic, con un’incollatura di vantaggio (6-5) nei Majors. E sebbene Nadal conduca su Djokovic per 19-14, e per 6-3 nei tornei dello Slam, tutte e tre le vittorie del serbo sono venute in finali disputatesi negli ultimi 16 mesi. La terza di quelle partite, agli Australian Open 2012, è stata la settima vittoria consecutiva di Djokovic sullo spagnolo, la più lunga striscia vincente che ognuno dei tre giocatori sia mai riuscito a mettere a segno nei confronti di uno degli altri componenti del trio.

Quindi chi è stato il migliore quando è stato al suo massimo? La questione è stata posta al “triumvirato” di esperti della rivista Tennis, i due senior editor Peter Bodo e Stephen Tignor, ed al collaboratore Tom Perrotta: i tre vantano più di 60 anni di esperienza passati a seguire tornei in giro per il mondo.
Che il dibattito inizi!

ROGER FEDERER  - di Peter Bodo

Quando si tratta di stabilire chi tra i tre sia stato il migliore quando è stato al top della forma, i Big 3 sono la trasposizione tennistica del gioco da bambini di roccia (Djokovic), carta (Federer) e forbici (Nadal). Conosciamo gli eventi del 2011 e del 2012; la roccia ha rotto le forbici ma la carta ha avvolto la roccia. Naturalmente, niente rimane fermo nel tennis, e questi rapporti di dominanza sono in continua evoluzione. Tuttavia, quando si tratta di scegliere il migliore dei tre, io vado per la meno ardita tra le tre scelte, ovvero Federer.

Un principio consolidato che non è mai stato smentito nel corso di questa “trivalità” è che la superficie di gioco ha sempre avuto un’importanza determinante dei successi dei tre. Si può dubitare infatti che Nadal sia – con ampio margine -  il migliore sulla terra battuta? Djokovic ha cinque titoli di Slam ed una dozzina di di Masters, ed è il migliore sul duro. Nadal ha vinto 11 Slam e 20 Masters 1000, la maggior parte dei quali sulla terra battuta. Federer ha vinto 17 Slam ed è appaiato a Nadal a quota 20 per quel che riguarda le affermazioni nei Masters 1000 – sei dei quali sulla terra, su 11 finali.

Il curriculum più equilibrato appartiene dunque a Federer. Non sorprende come la superficie sulla quale lo svizzero sia meno efficace sia la terra battuta, anche se il fatto sia quasi esclusivamente da imputare a Nadal, che molti già considerano come il più grande tennista su terra battuta di tutti i tempi. Ragion per cui dobbiamo affidarci al già citato principio dei “rendimenti relativi”, nel quale sebbene il gioco di Nadal abbia sempre avuto sullo svizzero lo stesso effetto che la kriptonite aveva su Superman, Federer si è sempre dimostrato con grande margine il n.2 sulla terra battuta (dietro a Nadal) per quasi tutta la durata delle rispettive carriere.

Federer ha raggiunto la finale dei French Open cinque volte, perdendo quattro volte con Nadal e vincendo la finale del 2009 con Robin Soderling. Al contrario, Nadal ha vinto solamente una volta agli US Open, e non ha mai affrontato Federer a New York – non per colpa dello svizzero, dal momento che lo ha “aspettato” in finale per ben sette volte. Nonostante abbia poi perso la finale del 2008 con Rafa, tuttavia è avanti per 2-1 nei confronti del maiorchino nel computo delle finali del più prestigioso torneo del mondo. Nadal conduce 2-0 agli Australian Open, ma lì Federer può vantare quattro affermazioni contro una sola di Nadal. Djokovic non riesce nemmeno ad avvicinarsi a questi numeri – per il momento.

Le statistiche possono essere fuorvianti, ma al contrario dei giudizi soggettivi hanno almeno il pregio di avere una base quantitativa difendibile. Qunidi anche cercando di non farsi trasportare dall’entusiasmo, è ragionevole passare da un’analisi quantitativa ad una conclusione soggettiva: Roger Federer è un tennista molto più versatile sia di Nadal sia di Djokovic, ed il fatto ci conduce a pensare che al suo meglio avrebbe con ogni probabilità trionfato su qualunque superficie eccetto la terra, e sarebbe arrivato secondo sul rosso solamente nel caso un cui si fosse trovato di fronte la sua nemesi Nadal.

Il grande pregio di Federer è di per sé anche una debolezza, dal momento che la versatilità non è molto sexy, proprio come la carta non sembra essere l’arma più letale se confrontata alle forbici ed alla roccia. Ma la carta è il materiale cui affidiamo i nostri pensieri più profondi, e quello che ha giocato un ruolo più importante rispetto agli altri due nel progresso dell’umanità. Il parallelo è irresistibile; Federer, tra i Big 3, è quello che ha dimostrato in maniera più efficace il valore artistico e la bellezza atletica del tennis, ed è per questo che è il più amato dei tre. Il suo più grande risultato è probabilmente quello di aver dimostrato che si può giocare a tennis nella maniera in cui gli “dei” intendevano fosse giocato, e lo ha fatto vincendo più titoli dello Slam di ogni altro tennista.

Certo ci sono anche considerazioni di carattere fisico e pratico che aiutano il genio di Federer. E’ incredibilmente agile e fluido, ed il suo timing rende i colpi più pungenti e letali di quanto non possano apparire di primo acchito al comune spettatore. Il suo servizio è sontuoso, le volée precise, il suo diritto ha la stessa volatilità e la devastante potenza dell’esplosivo al plastico. Le rare occasioni nelle quali Federer è vulnerabile è sui lunghi scambi di rovescio, ma il prezzo che paga a questa sua debolezza è elevato solamente sulla terra, e solamente contro Nadal. (Ho menzionato che è stato Federer a porre fine alla formidabile striscia vincente di Djokovic nel 2011, proprio sulla terra, nella semifinale del Roland Garros, e che il premio per quella vittoria fu un’altra batosta contro Nadal?).

Ma al concetto stesso di versatilità consegue che il tutto è maggiore della somma delle parti, e che questa verità lapalissiana è la chiave per comprendere la grandezza di Federer. E ci aiuta anche a rispondere alla domanda che continua a ripresentarsi, specialmente ora che Federer ha passato i 30 anni – di solito considerata la data di scadenza di un tennista professionista: come fa a continuare a questo modo? Cercate di vederla da questo punto di vista: la roccia rompe le forbici, ma la carta avvolge la roccia.

RAFAEL NADAL – di Tom Perrotta


Forse è perché ho avuto la fortuna di vederlo di persona. Domenica 6 luglio 2008, la finale maschile di Wimbledon tra Roger Federer e Rafael Nadal, il più grande match mai giocato. Da quel giorno, ho iniziato a paragonare tutto quanto a quel match – e non sono ancora riuscito a trovare nulla che ci sia nemmeno arrivato vicino. Due dei più grandi tennisti di ogni epoca che miravano alle righe, sfinendosi a vicenda, fisicamente e mentalmente, punto dopo punto. In palio la storia per Federer (era in corsa per il suo sesto Wimbledon consecutivo) e per Nadal ( che puntava all’accoppiata Parigi-Wimbledon). La pioggia. Le interruzioni. L’oscurità. Una partita che all’inizio era a senso unico, poi diventò equilibrata, così equilibrata da diventare imprevedibile, ed affascinante. Se non fosse finita nella maniera in cui è finita, alle 21.16, avrebbe dovuto essere rimandata al giorno successivo.

La cosa migliore di questo match: ogni volta che lo rivedo – spezzoni, o interi set – sembra ancora migliore della volta precedente. Quando mio figlio (che ora ha tre anni) sarà abbastanza grande, questo sarà uno dei primi eventi sportivi che gli farò vedere. Non c’è niente di meglio. E gli dirò anche che, no, in nessun caso, nessuno sarebbe mai riuscito a battere Nadal quel giorno.

Il cammino di Rafa verso Wimbledon quell’anno iniziò con i titoli sulla terra di Monte Carlo, Barcellona ed Amburgo. Ai French Open sconfisse Federer lasciandogli solamente quattro game. Poi vinse al Queen’s, rendendo quasi inevitabile la terza finale consecutiva tra lui e Federer ai Championships. Federer aveva vinto la prima in quattro set. La vittoria in cinque set dell’anno successivo aveva ridotto Nadal in lacrime negli spogliatoi.

Quel giorno Nadal incamerò i primi due set con una facilità quasi sconcertante. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere a Federer nel suo giardino di Wimbledon, dove era incontrastato padrone da cinque anni. Federer poi vinse il terzo. E poi il tie break del quarto set, nel quale Nadal si inventò il colpo del match, un passante di diritto in corsa lungolinea da tre metri dietro la linea di fondo. 8-7, match point. Nadal si mise a servire da sinistra, la posizione ideale per un mancino, e d’un tratto gli venne il braccino. Sul suo servizio ad uscire, Federer rispose corto di rovescio, palla dentro il rettangolo della battuta, in mezzo al campo. Nadal avanzò, Federer era in completa balia dell’avversario, pronto ad essere battuto. Il lungolinea era completamente aperto, ma invece Nadal uncinò un diritto incrociato e prese la rete sul rovescio di Federer. Il quale infilò un lungolinea di rovescio vincente sull’approccio titubante di Nadal. Vinse il tie break ed iniziò a servire per primo nel quinto set.

Ciò che rese Nadal così speciale, così imbattibile, quel giorno, non furono soltanto i grandi miglioramenti fatti sul servizio, sul rovescio slice, e nella maggiore penetrazione data al diritto. Il suo maggior punto di forza è sempre stata la determinazione, e lo mostrò quel giorno nel quinto set più di quanto non avesse mai fatto prima. La finale gli era quasi scappata di mano, ma lui se la riprese – se la riprese, contro l’uomo che aveva dominato Wimbledon per cinque anni.

Federer iniziò a sparare ace. Nadal non mollò di un millimetro. Federer si guadagnò una palla break a metà del set; Nadal la salvò con una combinazione servizio-smash. Continuarono così, un colpo sublime dopo l’altro. Federer estrasse dal cilindro un lob di rovescio su uno smash di Nadal – una pugnalata alla cieca su un proiettile. Nadal ricambiò con il miglior rovescio della sua vita – un incrociato vincente dal corridoio del doppio - per procurarsi la palla break sul 7-7, ma anche dopo aver ottenuto il break, il suo compito non era ancora finito. Un serve and volley sullo 0-15. Un’altra volee sul 15-15. Sul 40-30, un altro match point, e Federer fece qualcosa che non fa mai: una risposta di rovescio coperta, invece di un chop. Pochi punti più tardi, dopo aver dato fondo a tutto il suo arsenale, Federer perse contro l’unico uomo ad averlo battuto mentre era al suo meglio, sulla sua migliore superficie. Ci volle una prestazione straordinaria, impareggiabile, la migliore di una straordinaria generazione. In quel momento, nessuno era meglio di lui.

NOVAK DJOKOVIC – di Stephen Tignor

Cinque anni fa, agli editors di Tennis venne assegnato il compito di preparare un profilo su alcuni dei giovani astri nascenti nel panorama tennistico.  Andy Murray, Ana Ivanovic, Gael Monfils e Nicole Vaidisova erano alcuni di quei nomi. Naturalmente alcuni hanno avuto più successo di altri. A me fu chiesto di scrivere della promessa ventenne Novak Djokovic, che si era appena insediato tra i top 10 e che non faceva mistero di puntare al n.1. Alcuni erano scettici, ma il simpatico sbruffoncello serbo non ci mise molto a tramutare i proclami in fatti. Pochi mesi dopo, agli Australian Open 2008, Djokovic sconfisse Roger Federer nel corso della sua prima cavalcata vincente in una prova dello Slam.

Nel mio articolo, descrissi Djokovic come un “giocatore per giocatori”. Nel senso che esegue correttamente tutte quelle piccole cose che magari possono sfuggire a coloro che non praticano lo sport a livello professionistico. Fa quel passo in più per essere in posizione ottimale prima di colpire la palla. Piega completamente le ginocchia per raccogliere le palle basse. E’ fortissimo sia in difesa sia in attacco. Ha un gioco molto completo, al punto che i suoi avversari vengono portati allo scoramento mentre cercano invano un punto debole da sfruttare.

Quella descrizione rimane condivisibile anche oggi, anche se forse sarebbe più opportuno etichettare Djokovic come il “prototipo ideale del giocatore moderno”.  In un epoca nella quale i rovesci a due mani dominano il gioco, le superfici sono state rallentate, la velocità e la resistenza fisica sono essenziali, e la risposta è importante quanto e forse più del servizio, non è per nulla sorprendente che Djokovic sia arrivato in vetta al tennis professionistico.

Mentre Djokovic, Federer e Nadal sono tutti quasi alti uguali ed hanno grosso modo lo stesso peso, Djokovic è snello piuttosto che massiccio, e questo gli conferisce grande rapidità. La sua flessibilità poi gli consente anche di scivolare su un campo in cemento. Nonostante lo stridore delle sue scarpe ed i sussulti della folla, raramente appare a disagio in queste situazioni. Se Federer è elegante, Djokovic è svelto; se lo svizzero è il maestro, il serbo al meglio è un virtuoso.

Tuttavia, per quattro anni Djokovic ha faticato a mantenere la promessa che avrebbe raggiunto il n.1 del ranking. Sembrava che (a) non avesse la testa da appaiare al fisico, oppure che (b) fosse stato davvero sfortunato ad essere capitato in una delle epoche più competitive della storia del tennis professionistico. La risposta era, ovviamente, la b, ma col tempo abbiamo scoperto che Djokovic ha tutto il necessario per confrontarsi con le leggende di questa età dell’oro, Federer e Nadal. Nel 2011, inspirato dai suoi rivali, riuscì a superarli. Al suo meglio, quell’anno, riuscì a fare cose che né Federer né Nadal erano riusciti a realizzare.

Per cominciare, vinse 41 partite consecutive, fermandosi ad una sola vittoria dal record stabilito da John McEnroe nel 1984. Durante quella inimitabile cavalcata, Djokovic vinse gli Australian Open e quattro Masters 1000. Diede tre set a zero a Federer a Melbourne, sconfisse Nadal in due finali all’ultimo scambio a Indian Wells e Miami. E poi riuscì dove nessun altro era riuscito: detronizzò Nadal sulla terra, battendolo in due set a Madrid e a Roma. Neanche Federer era riuscito a battere due volte consecutive Nadal sulla terra nella stessa stagione.

Dopo che la sua striscia era stata interrotta da un Federer d’annata nelle semifinali di Parigi, Djokovic si prese la rivincita realizzando il suo sogno di vincere Wimbledon. L’inerzia vincente si trascinò fino alla stagione estiva sul cemento in Nord America, dove aggiudicandosi il quinto Masters 1000 della stagione stabilì l’ennesimo record della sua strabiliante stagione. Il suo annus mirabilis divenne poi completo agli US Open quando battè Federer in semifinale e Nadal in finale. Tre Slam, cinque Masters 1000, 41 vittorie consecutive, ma ancora più impressionante, 10 vittorie su 11 incontri contro Roger e Rafa. Se si cercano record che non verranno mai battuti, non serve cercare oltre.

Ma non sono state solamente le statistiche ad aver reso quell’annata memorabile. Più di tutto fu la maniera in cui vinse quei match. Con il gioco perfetto per ogni momento, con la flessibilità del virtuoso. Nessuna debolezza, nessuna mancanza, nessuna speranza lasciata agli avversari. Nadal sconfitto al suo stesso gioco, sulla sua superficie preferita; Federer superato sul suo terreno prediletto della gara a chi fa il colpo più bello. Magari è durato soltanto una stagione, ma nel 2011, Djokovic era l’uomo con tutte le risposte.

Traduzione di Vanni Gibertini

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