04/03/2013 19:48 CEST - Personaggi

Dai Krishnan ai Roger-Vasselin: padri e figli di successo

TENNIS - Edouard Roger-Vasselin ha vissuto la miglior settimana della carriera arrivando in finale a Delray Beach. E' figlio di Christophe, semifinalista al Roland Garros del 1983. Raccontiamo la sua storia e quella delle altre dinastie padre-figlio nel tennis. Alessandro Mastroluca

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Christophe e Edouard Roger-Vasselin
Christophe e Edouard Roger-Vasselin

Non è sempre vero che il talento salta una generazione. L'indimenticabile settimana di Edouard Roger-Vasselin, che ha raggiunto la prima finale in carriera a Delray Beach, perdendo da Gulbis dopo aver eliminato Isner in semifinale (seconda vittoria contro un top-20 in carriera) è l'occasione per raccontare le coppie padre-figlio di successo nel tennis. Edouard, infatti, è figlio di Christophe, semifinalista al Roland Garros 1983. Insieme a loro, sono tre le famiglie in cui il talento è passato per via ereditaria con maggior successo, in cui padre e figlio sono entrati almeno in top-100 (per questo non ci sono gli Amritraj, ad esempio). Quattro storie, quattro coppie d'assi di un colore solo, come i quattro punti cardinali nella geografia del tennis: si va dall'India tra gli anni '60 e '80 all'Australia dei magnifici anni '70, dalla Francia agli Stati Uniti.

I Roger-Vasselin
Tre nomi, due passaporti, un rovescio a una mano che sembra uscito da un manuale degli anni '30. Così Curry Kirkpatrick descrive su Sports Illustrated Christophe Roger-Vasselin, sorprendente semifinalista del Roland Garros 1983. Ha perso sei volte al primo turno nello slam di casa il francese di madre inglese, di Putney. Ha vinto solo una partita prima di quel Roland Garros, Christophe, che ha un gemello in Massachussets e deve risolvere una curiosa rivalità familiare: è sotto contratto con la IMG, e sua sorella si occupa dell'ospitalità per i giocatori della ProServ, la società di Donald Dell, principale rivale della IMG.

Roger-Vasselin, numero 129 del mondo, alla Porte d'Auteuil rimonta uno svantaggio di due set al terzo turno contro Heinz Gunthardt e firma la grande impresa nei quarti di finale. Roger-Vasselin, in quel momento noto solo per aver giocato qualche anno prima con la “racchetta spaghetti” (perdendoci in finale da Vilas alla Coppa Porée del 1977), batte Jimmy Connors 64 64 76 e arriva in semifinale contro Yannick Noah. Sono i primi francesi in semifinale nello slam di casa dal 1972, quando ci arrivò Patrick Proisy, il cognato di Noah, che nel 1983 firmerà l'unica vittoria transalpina al Roland Garros e l'ultima in un major nell'era open.

Da una dozzina di anni Christophe si occupa della scuola di tennis Flandrin. Da quando ha smesso di giocare ha organizzato stages di tennis, ha seguito ragazzi giovani, allenando la nazionale juniores francese e il figlio Edouard, tra i 15 e i 17 anni. “Trent'anni fa era molto più facile arrivare top-100” ha detto in un'intervista a Le Figaro. “Oggi il tennis è uno sport olimpico, è uno sport globale, si guadagna molto di più, c'è la televisione: insomma, è un altro mondo”.

Un mondo in cui Edouard si è inserito senza raggiungere le vette del padre, che ha avuto comunque un ruolo importante per lui. “Mi ha insegnato come giocare, a mantenere la fiducia in me stesso, a non perdere la testa in campo. I suoi non erano consigli tecnici, non mi ha spiegato come tirare il dritto, ma a lavorare duro e a dare sempre il massimo”. Al Roland Garros non è mai andato oltre il terzo turno, raggiunto alla prima partecipazione, nel 2007.

Nel 2009 rimane profondamente toccato dalla morte di Mathieu Montcourt. “E' stato un colpo davvero troppo duro, era un grande amico. Avevamo passato le vacanze insieme l’anno prima. Per quell'estate avevamo in programma di andare alle Bahamas, con le nostre compagne" Per tre settimane non riesce a scendere in campo, poi torna a "giocare e combattere pensando al fatto che lui sia sempre al mio fianco”. A fine 2009 ottiene la sua prima vittoria contro un top-20 in carriera, battendo Del Potro a Tokyo, dove piega anche Melzer prima di cedere nei quarti contro Lleyton Hewitt.

A giugno dell'anno scorso ha toccato il suo best ranking, di numero 67 del mondo, culmine di una stagione che l'ha visto giocare tre quarti di finale nel circuito maggiore: a Marsiglia (perdendo da Tsonga), a ‘s-Hertogenbosch (sconfitto da  Petzschner) e a Mosca (battuto da Karlovic) dopo aver eliminato al secondo turno Dolgopolov salvando quattro match point.

I Krishnan
I Krishnan sono di sicuro la coppia padre-figlio di maggior successo nella storia del tennis. Negli anni Sessanta, Ramanathan Krishnan era l'indiano più noto all'estero dopo il primo ministro Nehru, che l'ha invitato a colazione dopo averlo visto battere Drobny al primo turno a Wimbledon nel 1956.

Due anni prima, battendo Ashley Cooper, era diventato il primo asiatico a vincere il titolo junior ai Championships. Nato in una famiglia benestante, è un prodigio con la racchetta: campione nazionale a 15 anni, a 16 esordisce in Coppa Davis contro il Belgio. Krishnan, che ha confessato di non aver mai dovuto pagare il biglietto aereo per andare a giocare i vari tornei, si appassiona presto alle auto: suo padre gli regala una Morris Minor ancora prima che avesse l'età per guidarla ma ottiene un permesso speciale dal capo della polizia perché Ramanathan possa fare pratica nei dintorni di casa.

Il suo tennis è un misto di estetica e metodo, tra classicismo e barocco. Per Lance Tingey, del Telegraph, “il gioco è il massimo del fascino orientale”. A Wimbledon è stato fermato due volte in semifinale, da Neale Fraser nel 1960 e da Rod Laver l'anno successivo. Nel 1960 ha anche rifiutato la proposta di Jack Kramer che gli ha offerto 150 mila dollari per passare professionista. “Giocavo per l'onore e per la gloria” ha detto, “anche se sono un sostenitore del professionismo. Lo sport è una professione, come l'ingegneria, la medicina, la legge. Avrei potuto accettare il contratto triennale di Kramer se avessi potuto continuare a giocare Wimbledon e la Coppa Davis”.

Alla Coppa Davis è legata una delle sue più grandi imprese: nel 1966, infatti, riesce a portare l'India per la prima volta al Challenge Round dopo la vittoria nella finale inter-zona sul Brasile, a Calcutta. Krishnan è andato lì ad allenarsi due settimane prima dell'incontro perché a Madras, dove vive, le piogge torrenziali gli impediscono di prepararsi al meglio. Nella prima giornata batte il numero 2 brasiliano, Jose-Edison Mandarino, nel secondo singolare e porta il punteggio sull'1-1. In doppio, insieme a Mukherjea, si impongono in cinque set ma Mukherjea perde il suo singolare il giorno dopo. Si decide tutto tra Krishnan e Koch. È uno di quegli incontri epici che solo la Davis, e ancor di più la Davis di quegli anni pre-Open, può regalare. Il gioco deve essere sospeso per oscurità alla fine del terzo set: Koch è avanti 6-3 4-6 12-10, con Krishnan che ha sprecato tre set point nel terzo. Nel quarto, Krishnan si ritrova presto in svantaggio 5-2 mentre gli spalti iniziano a svuotarsi. A due punti dalla sconfitta, sul 2-5 0-30, riesce a salvare il game e a togliere il servizio a Koch, che è stato avanti 30-15, nel successivo. A quel punto si ricorda di un consiglio che gli hanno dato alla vigilia del match: Koch è a disagio quando deve colpire correndo in avanti. Krishnan capovolge la partita a suon di palle corte e vince otto giochi di fila, chiude 7-5 il quarto e allunga 4-0 al quinto, prima di completare una vittoria indimenticabile 3-6 6-4 10-12 7-5 6-2. Al Challenge Round, l'Australia vince 4-1: l'unico punto indiano arriva dal doppio, grazie a Krishnan e Mukherjea che battono in quattro set Newcombe e Roche che un anno prima hanno vinto il titolo a Wimbledon.

Tuttavia, il momento più straordinario della sua vita non ha a niente a che fare col tennis. A nove anni, Krishnan si prostra e tocca i piedi del Mahatma Gandhi. “Non posso descrivere quella sensazione. È il mio eroe, penso che quel momento abbia influenzato e guidato tutta la mia vita”.

La carriera del figlio Ramesh segue la via tracciata dal padre. Anche lui vince il titolo junior a Wimbledon, nel 1979, dopo aver trionfato poche settimane prima al Roland Garros. Diventa così il numero 1 del mondo junior. Ai Championships arriva fino ai quarti di finale nel 1986, un traguardo che tocca per due volte agli Us Open, nel 1981 e nel 1987, ma al suo stile fatto di anticipo e tocco manca un servizio potente e un colpo “killer” per fare l'ulteriore salto di qualità e competere con i primissimi nel lungo periodo. Nel 1987 porta l'India in finale di Davis: è lui che apre e chiude la semifinale contro l'Australia. Batte Fitzgerald nel primo singolare e Wally Masur in tre set nel quinto. In finale, però, la Svezia di Wilander si impone 5-0. Ha lasciato il tennis nel 1993, con otto titoli ATP all'attivo e un best ranking di numero 23 del mondo raggiunto il 28 gennaio 1985.

Gli Stolle
“Dev'essere una prerogativa dei campioni australiani quella di aggiungere al mondo del tennis qualcosa di più della somma dei loro successi, di allargare in altri modi la loro influenza attraverso personalità e leadership”. Così Steve Flink introduce un'intervista a Fred Stolle, dal 1985 nella Hall of Fame. A sorpresa, vince il suo primo slam sulla terra rossa del Roland Garros, nel '65 battendo Newcombe, Drysdale e in finale Tony Roche. Era già stato sconfitto in finale a Wimbledon nel '63 e nel '64 (lo sarà anche nel 1965), agli Australian Open del 1964 e '65 e agli Us Championships del '64.

“La terra non era la mia migliore superficie. Quell'anno però ha fatto caldo e si giocava con le palle Slazenger, decisamente leggere. I campi erano rapidi, e potevo fare serve and volley praticamente ogni volta che mettevo la prima. Da fondo non ero così male, il rovescio era il mio colpo migliore, e usavo molto il dritto come colpo d'approccio per scendere a rete. Ho battuto Newcombe attaccandolo molto sul rovescio. Con Drysdale siamo andati al quinto, è diventato un match di resistenza ma ho sempre creduto di poter vincere perché sapevo di essere più in forma di lui. E poi di Roche conoscevo tutto, sapevo dove avrebbe tirato ogni singola palla”.

In singolare vince solo un altro titolo dello Slam, gli US Championships del 1966. Vista anche la sconfitta a Wimbledon al secondo turno, non viene inserito tra le teste di serie ma batte Dennis Ralston (n.3) in ottavi, Clark Graebner (n.7) nei quarti, l'amico Roy Emerson in semifinale e John Newcombe in finale. I suoi più grandi ricordi, però, riguardano i tre Challenge Round di Coppa Davis vinti tra il 1964 e il 1966.

Nel 1964, a Cleveland, evita la sconfitta all'Australia, portando il punto del 2-2 nel quarto singolare contro Ralston. Vince i primi due set, perde terzo e quarto e si ritrova sotto di un break sul 2-1 nel quinto. A quel punto dagli spalti Don Budge grida “Andiamo Denny, ce l'hai adesso!”. Al cambio campo, però, il capitano Hopman fa capire a Stolle che Ralston è nervoso e gli suggerisce di rispondere il più vicino possibile alle righe. Risultato: 6-4 Stolle. E' Emerson a dare il punto della vittoria su McKinley.

L'anno successivo, a Sydney, gioca il primo singolare contro la Spagna: di fronte c'è Manolo Santana. Sugli spalti, accanto alla moglie Pat c'è anche il padre, che non apprezzava il suo modo di giocare e a cui anni prima aveva detto: “Se non ti piace come gioco, non venire a vedermi”, cosa che in effetti ha fatto. Quel giorno, però, si è concesso un'eccezione. Tuttavia, Fred perde i primi due set. “Alla fine del secondo” ricorda Fred, “alzo gli occhi verso le tribune e vedo mio padre che sta lasciando lo stadio”. Stolle rimonta, arriva al quinto e vede il padre tornare in tempo per vederlo giocare una splendida volée in allungo di dritto sul passante lungolinea di rovescio dello spagnolo e chiudere 10-12 3-6 6-1 6-4 7-5. “Torno negli spogliatoi e trovo mio padre che sta parlando col Primo ministro, Bob Menzies, che non gli piaceva. A cena, la sera, ricordo che mi disse: 'In fondo, Bob Menzies non è poi così male'”. Porterà due punti decisivi anche l'anno successivo, contro l'India.

Nel 1967, a 28 anni, diventa professionista. Nel 1972 si concede un'ultima recita da protagonista, agli Us Open. Gioca con una libertà a lui sconosciuta e batte Emerson, Newcombe e Drysdale prima di cedere a Nastase, che avrebbe poi vinto il titolo in finale su un Arthur Ashe infastidito dalla maleducazione del rumeno. Finita la carriera, Stolle diventa coach, tra gli altri, di Billie Jean King, di Virginia Wade, di Phil Dent e Vitas Gerulaitis.

Il figlio, Sandon, raggiunge al massimo la posizione numero 50 del mondo in singolare ma diventa un ottimo doppista, numero 2 nel ranking di specialità nel 2001. Vince gli Us Open del 1998, in coppia con Cyril Suk, in finale su Knowles e Nestor. Gioca altre tre finali negli Slam: agli Us Open 1995 (in coppia con Alex O Brien), al Roland Garros e a Wimbledon nel 2000 (con Paul Haarhuis), perdendo in tutte e tre le occasioni dai “Woodies”, Woodforde e Woodbridge. Chiude la carriera con 22 titoli di doppio all'attivo su 51 finali disputate. Ha assistito la federazione cinese nel 2006 prima di essere assunto come coach all'Istituto Australiano per lo Sport nel 2007.

I Dent
Una dinastia nel segno del servizio, quella composta da papà Phil e da Taylor Dent. Phil, figlio di un tassista di Sydney, comincia a giocare da piccolo. “Non c'era molto da fare allora, non avevamo nemmeno la televisione” ha raccontato. A 16 anni si avvicina ai professionisti che fanno squadra grazie al leggendario Harry Hopman con cui viaggiano insieme per quasi tutto l'anno. Il giovane Phil viene invitato come sparring partner per i campioni impegnati in un match di Coppa Davis. “Un pomeriggio, Roy Emerson mi ha chiesto di servirgli sul dritto. Per tre ore non ho fatto altro: abbiamo scambiato molto, e per me che avevo 16 anni è stato importante vedere quanto più forti erano i professionisti. E poi il mio servizio sul dritto è migliorato un sacco da quel giorno”.

Dent ha vinto tre tornei in singolare: a Sydney nel '71 e '79, anno in cui ha trionfato anche a Brisbane. Ma il suo momento di maggior gloria rimangono gli Australian Open del 1974 in cui batte Borg al terzo turno, nell'unica partecipazione dell'Assassino di Ghiaccio allo slam Down Under, prima di perdere in finale da Connors. L'anno successivo vince il titolo in doppio, in coppia con John Alexander, e nel 1976 vince gli Us Open in doppio misto con Billie Jean King. Nel 1977 partecipa al trionfo australiano in Coppa Davis, anche se in finale gioca solo il doppio, perso (con Alexander) in tre set contro Panatta e Bertolucci, che portano così l'unico punto all'Italia: finisce 3-1 per gli Aussie.

Suo figlio Taylor ha seguito le orme del padre, considerato uno dei migliori specialisti del servizio della sua generazione: detiene infatti il record del servizio più veloce a Wimbledon, 148 mph, stabilito contro Djokovic nel 2010. Nell'arco delle sue due carriere ha raggiunto un best ranking di numero 21 del mondo, l'8 agosto 2005.

Nato a Bradenton nel 1981, Taylor passa professionista nel 1998 e nel marzo 2002 entra per la prima volta entra nei top-100. Quell'estate vince il suo primo titolo ATP, a Newport, sui prati della Hall of Fame, in finale su Blake. Nel 2003, il suo anno più vincente scandito dai successo a Bangkok, Memphis (dove sconfigge Andy Roddick a pochi mesi dal suo unico trionfo in un major) e Mosca, si stabilisce nei primi 50. Nel 2004 sfiora il bronzo olimpico, sconfitto nella finale per il terzo posto da Fernando Gonzalez 16-14 al terzo set. Ma quel suo servizio, quella specie di ingobbimento, con la gamba destra stranamente sollevata in modo obliquo prima di un ancora più inusuale saltello, fa male e non solo agli avversari. Il torneo di Rotterdam del 2006 è la fine dell'inizio, il sipario sul primo tempo della sua carriera. Si ritira al primo turno contro Christophe Rochus e deve sottoporsi a due interventi alla schiena. Taylor. di dichiarata fede repubblicana-reaganiana, non demorde, anche se resta immobilizzato a letto per oltre un anno.

Per il secondo tempo bisogna aspettare il 26 maggio 2008, quando entra al challenger di Carson grazie a una wild-card. È molto appesantito, ma l'importante è giocare. Nel circuito maggiore il rientro è di ancora maggiore forza simbolica, perché avviene sui campi di Newport dove tutto era cominciato. Sfruttando la classifica protetta, nel gennaio 2009 può partecipare agli Australian Open: la condizione fisica è precaria, la pancia evidente, ma il braccio è lo stesso di sempre. E quel braccio gli basta per vincere cinque partite di fila a Miami tra qualificazioni e main draw, prima di affrontare Roger Federer, da cui perde sprecando otto palle break.

L'epifania, l'inizio della fine, è il secondo turno degli Us Open 2010. Sul Grandstand, in sessione serale, Taylor affronta Ivan Navarro. Sono 252 minuti di spettacolo inimitabile, di ace, serve & volley, back di rovescio, chip and charge, attacchi in controtempo, finezze, palle corte. In oltre quattro ore si contano 255 discese a rete complessive, più di una al minuto (109 per l’americano, 146 per l’iberico), e un paio di episodi singolari. Il match viene sospeso per 7 minuti perché un servizio di Dent a 138 mph ha disarcionato la rete. Più tardi, sul 4-4 del quinto set, Dent annulla una palla break con il servizio più veloce del torneo, a 147 mph, Vince al tie break del quinto e celebra la vittoria afferrando il microfono del chair umpire e arringando la folla con un molto americano “You guys are unbelievable” prima di concedersi un giro di campo con high-five ai tifosi sulle prime file. Ha smesso a fine stagione: “Voglio trascorrere più tempo con la mia famiglia, soprattutto con mia moglie Jenny (la ex tennista Jennifer Hopkins) e nostro figlio Declan (nato a gennaio 2010). Voglio restare ancora nel settore del tennis” ha detto allora.

Alessandro Mastroluca

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