23/03/2013 10:01 CEST - Personaggi

Capriati e i suoi lati oscuri: sarà processata per stalking

TENNIS - Il 17 aprile Jennifer Capriati dovrà comparire in tribunale: è accusata di stalking e percosse ai danni dell'ex fidanzato, Ivan Brannan. Storia di una campionessa dal padre ingombrante, di una bambina prodigio e dei suoi lati oscuri: dal taccheggio alla droga ai pensieri di suicidio. Alessandro Mastroluca

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Jennifer Capriati al Roland Garros 2002 (foto Art Seitz)
Jennifer Capriati al Roland Garros 2002 (foto Art Seitz)

La solitudine dei numeri primi. Jennifer Capriati è insieme l'eccezione, già nel circuito a 13 anni e in finale al primo torneo, e la regola, quella che la WTA ha introdotto e chiamato col suo nome, Capriati-rule, per evitare che si ripetesse una storia come la sua, per impedire di giocare tornei WTA e slam prima dei 14 anni.

Ha vissuto una vita in battere e in levare, come molti bambini-prodigio. Una vita spesso fuori tempo. Le luci della ribalta che arrivano troppo presto, i dubbi che intanto crescono insieme a una fragilità da nascondere. La ribellione adolescenziale vissuta a quasi vent'anni, l'abbandono e il ritorno, i grandi successi a 26 anni, poi gli infortuni e il nuovo addio. In mezzo la droga, i pensieri di suicidio e relazioni burrascose come l'ultima, con il golfista Ivan Brannan che l'anno scorso l'ha accusata di stalking: l'avrebbe chiamato in ufficio 100 volte in un giorno. Brannan non ha una fama troppo positiva, almeno a giudicare dalle parole di una delle sue ex fidanzate, che ha partecipato alla seconda edizione di MasterChef negli Stati Uniti: “Ivan sta facendo a Jennifer quello che ha fatto a me" ha detto al sito Gossip Extra. "E' un manipolatore che passa da una donna all'altra per avere più soldi, più droga o un invito alle migliori feste della città".

L'ultimo incontro, un paio di settimane fa, è finito con Jennifer che ha preso a pugni l'ex fidanzato all'interno della palestra Oxygen Health and Fitness di Palm Beach. Un istruttore di yoga, secondo quanto emerso dalle prime ricostruzioni, li ha separati prima che Brannan si rifugiasse nello spogliatoio degli uomini e chiamasse il 911. Jennifer non è stata arrestata ma ha ricevuto mercoledì un mandato di comparizione dal tribunale della contea di Palm Beach: deve presentarsi in aula il 17 aprile per difendersi dalle accuse di stalking e percosse. È l'ultima puntata della storia di una campionessa dalle spalle troppo strette.  

L'ha scoperta a nove anni Cino Marchese, che all'epoca dirigeva l'ufficio italiano dell'IMG e coordinava la struttura di reclutamento dei giovani talenti da mettere sotto contratto. Il primo incontro con papà Stefano Capriati, all'Orange Bowl del 1985, quello vinto da Pistolesi nell'anno del trionfo di Becker a Wimbledon, non è dei migliori, come ha raccontato per il nostro blog. Jennifer si allenava con Jimmy Evert, il padre di Chris, e durante una cena a casa loro, davanti a un piatto di agnello con salsa di menta, Jimmy conferma a Marchese che Jennifer “è un vero fenomeno per lo meno quanto lo era Chris alla stessa età!”.

Baby Jane è molto bambina e molto prodigio quando debutta sul circuito, contro le regole e il buon senso, a 13 anni, non a caso a Boca Raton, “casa” tennistica di Chris Evert, dopo che il padre ha minacciato di far causa alla WTA se non avesse abbassato di un anno il limite minimo di età per entrare nei tornei del circuito maggiore.

Stefano Capriati, che ha cresciuto la figlia con l'esplicito obiettivo di insegnarle a colpire più forte e più preciso di chiunque altra, trascorre insonne la notte del 6 marzo 1990, giorno in cui Jennifer fa il suo esordio nel circuito WTA contro la 28enne Mary Lou Daniels. Ci sono talmente tanti fotografi che non pochi tra i 5.400 spettatori protestano e fischiano perché non riescono a vedere bene. Jennifer vince abbastanza facilmente 75 61. "Adesso sono una giocatrice diversa" ha detto a fine partita. "Non sono più una junior. Sono una professionista". Una bambina-prodigio che in quel primo torneo arriva fino alla finale, fermata a un passo dal titolo da Gabriela Sabatini che si impone 64 75.

“Jennifer è stata derubata della sua infanzia da suo padre e gettata nello spietato vortice del tennis professionistico. È diventata immediatamente una lavoratrice, una studentessa part-time, il solo supporto della sua famiglia con addosso l'attenzione del mondo” scriveva Bud Collins sull'Independent.

In questa storia dal sapore dickensiano, Jennifer supera il milione di euro di montepremi vinti prima di compiere 14 anni, a 15 è numero 6 del mondo, a 16 ha al collo la medaglia d'oro olimpica vinta a Barcellona sulla campionessa uscente Steffi Graf. Ma Baby Jane non si sente a suo agio in questo vestito. Vorrebbe essere una ragazza come le altre, di quelle che non attirano troppa attenzione. Non vuole certo essere un modello, arriva a odiare il tennis. La sua ribellione adolescenziale prende strade diverse. Prende peso, cambia look, si mette anche l'anello al naso, si fa sorprendere a rubare un anello da 15 dollari in un supermercato, viene arrestata dopo un weekend a festeggiare a base di droga in un motel di Coral Gables con un gruppo di ragazzi dall'aria punk a cui non dice chi è né perché sia abbastanza ricca da poter pagare per tutti.

È il lato oscuro del successo arrivato troppo presto: la reazione di rigetto, la depressione, la clinica per disintossicarsi dalla droga. Peccati veniali, diceva papà Stefano, che più di una volta ha spinto Jennifer a giocare, in quei primi anni, anche quando avrebbe fatto meglio a riposarsi, anche quando si portava dietro dei piccoli infortuni. “Amo mia figlia più di quanto immagini” diceva a Bud Collins. “Ma dalle mie parti abbiamo un proverbio che dice 'quando la mela è matura, mangiala'. Jennifer è matura. Solo dio sa se si stancherà del tennis, ma se e quando accadrà, avrà comunque guadagnato più soldi di quanti io potrei mai darle”.

Dopo l'arresto e la disintossicazione a Miami, però, papà Stefano un po' si pente di quel suo atteggiamento. “Le ho messo troppa pressione addosso” dice alla Gazzetta dello Sport. “Avrei dovuto lasciarle più spazio. Invece cucinavo per lei, vivevo con lei 24 ore al giorno. A volte mi diceva 'Non voglio allenarmi questa settimana' ma io insistevo perché si preparasse per il prossimo torneo”. Il tennis, comunque, secondo lui non aveva niente a che fare con la ribellione della figlia. “E' colpa degli amici, delle situazioni, del fatto che Jennifer voleva essere una ragazza normale e non sapeva quando dire di no”. È a lui, comunque, che Jennifer ha dedicato il primo ringraziamento nel commovente discorso che ha tenuto nel 2012 durante la cerimonia di induzione nella Hall of Fame. “Voglio davvero ringraziare mio padre per avermi insegnato tutto quello che so e per avermi dato le basi del mio tennis. Sapeva come insegnarmi nella maniera migliore perché io comprendessi e mi fidassi di lui. Mi ha insegnato molto anche della vita fuori dal campo. Mi ha insegnato cos'è l'amore senza condizioni, cosa vuol dire esserci sempre. Ha un cuore d'oro, e ti ringrazio, papà, per essere come sei”.

Dopo le accecanti luci della ribalta, seguono anni di crisi; si dice anche che tenti il suicidio. “Ero consumata dal disgusto nei confronti di me stessa, ho pensato di farla finita. Mi sono guardata allo specchio ho visto questa immagine distorta. Ero così brutta e grassa che volevo uccidermi davvero”.  Torna a giocare nel 1996, un avvio difficoltoso ma grazie ad Harold Solomon, forse per la prima volta si diverte davvero giocando a tennis. Risale al n.101 del mondo a fine 98 a 22 anni, e nel 2000 arrivano i primi veri segnali di ripresa, con la semifinale persa agli Australian Open da Lindsay Davenport.

La straordinaria escalation culmina agli Australian Open 2001, con l'incredibile rimonta da 4-6,0-4 con la Hingis (annullati 4 matchpoint). In estate trionfa anche al Roland Garros, nella combattutissima, ma non certo esaltante, finale su Kim Clijsters. Una vittoria che ha voluto dedicare a Corinna Morariu,  colpita poco prima del torneo da una grave forma di leucemia. Nell'ottobre del 2001, a 25 anni, diventa numero 1 del mondo. Se questo fosse un film, sarebbe il finale perfetto, l'happy ending che tutti vorrebbero vedere. Ma questo non è un film.

Jennifer si ripete a Melbourne nel 2002, vince l'ultimo titolo, il 14mo, a New Haven nel 2003, prima di essere afflitta nel 2004 da una serie innumerevole di infortuni alla spalla e al ginocchio. L’americana chiude la sua carriera il 7 novembre del 2004, perdendo da Vera Zvonareva, con 14 titoli in singolare e 1 nel doppio, e con un record di 430 vittorie e 176 sconfitte. Il ritiro è più duro del previsto. “Senza racchetta da tennis in mano non sono nessuno” mormorava sconsolata. Confessa di aver accarezzato più volte propositi di suicidio: “Non ricordo quando è stata la prima volta che ho pensato di farla finita. Ho avuto paura di quel che avrebbe pensato la gente, ancora una volta!, ma di veri tentativi di suicidio non ne ho mai fatti. Il suicidio non è la risposta ai miei problemi. Ma mi sono sentita molto sola, da quando ho smesso di giocare. Senza il tennis chi sono io? Ho vissuto solo per quello…Provo a farmi coraggio, ma non posso indossare una corazza tutto il tempo. Ero consumata dal disgusto nei confronti di me stessa”.

Il tennis, però, è anche la sua fonte di guarigione, la sua cura. “Mi ha dato grandi gioie, in campo e fuori” ha detto nel discorso alla Hall of Fame, “e grandi dolori, in campo e fuori. Ma mi ha insegnato cosa voglia dire superare la paura. Mi ha insegnato cosa significhino il lavoro duro, la dedizione. Mi ha insegnato cosa vuol dire amare se stessi. Mi ha insegnato cosa possano portare l'accettazione e il perdono”.

Alessandro Mastroluca

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