29/04/2013 10:29 CEST - Personaggi

Agassi story: l'essenza e la forma

TENNIS - Andre Agassi compie 43 anni. Vogliamo celebrarlo con le sue parole, con il racconto dell'uomo più che del campione. Con le pagine di Open e le interviste in cui parla di Steffi Graf, della sua carriera e della vita dopo il tennis.

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Andre Agassi
Andre Agassi

"Il bisogno di mettersi a nudo è il cuore del carisma di Agassi" scriveva Peter De Jonge sul Ney York Times il 27 agosto 1995, in un articolo sulla sua rivalità con Pete Sampras. Un bisogno che è diventato letteratura nell'autobiografia, scritta insieme al premio Pulitzer J.R. Moehringer, destinata a trasfigurare un genere letterario: "Open", un titolo che è già di per sé una dichiarazione di intenti, una confessione. Per questo, nel giorno del suo compleanno, più del campione, più delle sue vittorie, vogliamo celebrarlo attraverso il racconto dell'uomo, attraverso le pagine del libro (in corsivo nelle nostre traduzioni che vi abbiamo proposto prima dell'uscita italiana del libro) e le sue interviste,

Odio il tennis

Ho sette anni, sto parlando a me stesso perché ho paura e nessuno mi ascolta, a parte me. Tra un respiro e l'altro sussurro: smettila Andre, basta. Getta a terra la racchetta ed esci da questo campo, adesso. Non ti sentiresti come in Paradiso, Andre? Solo fermarsi e non giocare mai a tennis?
Ma non posso. Non solo mio padre mi inseguirebbe per tutta casa con la mia racchetta, ma qualcosa nel mio stomaco, qualche profondo e sconosciuto muscolo me lo impedirà.
Io odio il tennis, lo odio con tutto il mio cuore, e lo continuo a giocare, continuo a colpire ogni mattina e ogni pomeriggio perché non ho scelta. Non importa quanto internamente io voglia smettere, non mi fermo. (...) Niente fa arrabbiare mio padre più di una palla spedita in rete. Mi ripete sempre, in continuazione: la rete è il tuo peggior nemico. Mio padre ha elevato il mio nemico un metro e ottanta oltre l'altezza regolamentare. Se posso superare la rete alta di mio padre, non avrò problemi un giorno a Wimbledon. Non gli interessa che io non voglio giocare a Wimbledon. Quello che voglio non conta.

Agassi story: mio padre

Anche se odio il tennis mi piace la sensazione di colpire una palla perfettamente. Quando faccio qualcosa di perfetto mi godo un breve attimo di serenità e calma. Lavora sulla volèe, grida mio padre, o almeno ci prova. Un americano nato in Iran, mio padre parla cinque lingue, nessuna delle quali bene, e il suo inglese è pesantemente accentato. Confonde le v con le w, per cui suona: vork your wolleys. (...) Accadono cose brutte quando mio padre si arrabbia. Se dice che giocherò a tennis, che diventerò numero uno del mondo, che è il mio destino, tutto quello che posso fare è annuire e obbedire.

L'immagine è tutto

Mike lo avvia al circuito junior a 7 anni, a 13 scappa da suo padre ma non dalla strada che ha scelto per lui, anzi facendo la miglior scelta possibile per arrivare al traguardo che ha disegnato per lui: si iscrive alla Bollettieri Academy. Dove l’allenamento, pur senza il drago, ha modalità simili e fini omologhi: la ripetizione è forza, l’ossessiva esecuzione dello stesso gesto porta all’interiorizzazione e l’esecuzione irriflessa è la base del successo.

Qui fa di tutto per ribellarsi e insieme mascherarsi, dai pantaloncini di jeans ai capelli punk allo smalto rosa. In campo come a carnevale, perché in tutto quello che fa Agassi sembra motivato da un senso inestirpabile di insicurezza. Ma è insieme un fenomeno di marketing, una sorta di “pagliaccio” che a ventun anni ha già giocato, e perso, tre finali dello Slam, il simbolo del tennis rock-and-roll che per anni diserta Wimbledon per non piegarsi alla regola del bianco.

Molti lo vedono come un campione passeggero, un talento naturale e insieme mercuriale, che mentre a parole cerca di staccarsene, fa di tutto perché lo slogan dello spot Canon che ha girato a 18 anni sia il suo ritratto migliore: l’immagine è tutto.

Inizia a scegliere davvero quando chiama Brad Gilbert come suo allenatore e convince Gil Reyes a lasciare il suo ben remunerato contratto con l’Università di Las Vegas come preparatore della squadra di basket dei Runnin’ Rebels che hanno vinto il titolo NCAA nel 1990. Lascia un gruppo di Corridori Ribelli per prendersi carico di un corridore ribelle solo.

L'allenamento perfetto

Con l’aiuto di una collina rocciosa sperduta nel deserto del Nevada il fisico di Andre si plasma in quello che sarà uno dei più atletici nel tour. Nel frattempo Gil avrà la soddisfazione di vedere i suoi Runnin’ Rebels (con Greg Anthony e Stacy Augmon in campo) demolire Duke 103-73 nella finale NCAA del 1990. Non si vendono tappeti. Nei discorsi di un allenatore d’impostazione americana ricorre molto spesso la parola “massimale”. L’obbiettivo è il raggiungimento o, molto più probabilmente, l’avvicinamento del massimo raggiungibile da ogni singolo organismo. Nessuna forzatura, rischio di “rotture” diminuito. Quando un atleta è stato portato o avvicinato al massimo delle proprie capacità atletiche e fisiche l’allenamento vero e proprio ha raggiunto il suo scopo.

Wimbledon 1992: il primo Slam

Il talento che si raduna a Wimbledon é straordinario. C’é Jim Courier, numero uno al mondo, fresco vincitore di due prove del Grande Slam. C’é Pete Sampras, che migliora ogni giorno di piú. C’é Stefan Edberg, che sta giocando il tennis della vita. Io sono la testa di serie numero 12, e da come sto giocando, mi meriterei una testa di serie pure inferiore a quella. (...) Mi aspetto che dall’altra parte della rete in finale ci sará Pete, ma perde in semifinale contro Goran Ivanisevic, una formidabile macchina da servizi proveniente dalla Croazia. Ci siamo affrontati due volte prima, ed entrambe le volte mi ha travolto senza lasciarmi un set. Non ho alcuna possibiltá contro di lui. E’ un peso medio contro un peso massimo. L’unico dubbio é se sara un KO oppure un KO tecnico. (,,,) Lui lancia la palla, mi serve sul rovescio. Faccio un salto, colpisco con tutte le mie forze, ma sono cosí contratto che la palla diretta sul suo rovescio é tutt’altro che veloce. Per qualche motivo, sbaglia una facile volee. La sua palla si ferma in rete, e come per incanto, dopo 22 anni e 22 milioni di colpi tirati, sono un vincitore di un torneo dello Slam.
Qualche ora piú tardi, tutto tremante, chiamo mio padre a Las Vegas.
Papá? Sono io! Mi senti? Cosa ne pensi? Silenzio.
Papá? E’ stato imperdonabile perdere quel quarto set.
In shock, rimango in attesa, non fidandomi della mia voce. Quindi aggiungo, meno male che ho vinto il quinto, no? Lui non dice nulla. Non perché non é d’ accordo, ma perché sta piangendo.
Riesco a percepire mio padre tirar su con il naso, so che é orgoglioso di me, solo non riesce ad esprimere le sue emozioni. Ma non posso biasimarlo per non riuscire a dire ció che ha nel cuore. E’ la maledizione di famiglia.

1997: i rimpianti e una strana euforia

Sono nella mia casa di Las Vegas, sto guardando la tv con Slim, il mio assistente. Sono di cattivo umore.
Anche Slim è stressato. Era a letto con la sua ragazza recentemente, dice, e il preservativo si è rotto. Ora, lei ha un ritardo. Afferma che ci sia solo una cosa da fare. Sballarsi.
Dice, Vuoi sballarti con me?
Con che cosa?
Gack.
Che cavolo è il gack?
Metafetamine.
Perché lo chiamano gack?
Perché è il suono che fai quando sballi. La tua mente va così veloce, e tutto quello che riesci a dire è gack, gack, gack.
Questo è già come mi sento sempre. Che senso ha?
Farti sentire come Superman.
Come se uscissero dalla bocca di qualcun altro, sento queste parole: Sai cosa ti dico? F****o. Sì, sballiamoci.
Slim mette sul tavolino una piccola quantità di polvere. La taglia e la aspira. La taglia ancora. Ne aspiro un po’. Mi rilasso un attimo sul divano e rifletto sul Rubicone che ho appena attraversato.

Andre, perché l'hai fatto?

Il solo possesso dei “Cristalli” può comportare 5 anni di reclusione. Ma non gli servivano per giocare meglio. In quel 1997 il matrimonio con Brooke Shields era in crisi. L’attuale marito di Steffi Graf, oggi papà di due maschietti e a capo d’una fondazione benefica in soccorso ai bambini poveri della sua Las Vegas, da n.1 stava precipitando a n.142.

Lo sconvolto Andre ritiratosi a Parigi, assente a Wimbledon, viene avvertito da un dottore dell’Atp: “Sei risultato positivo all’antidoping!”. Una mazzata. “Il Crystal Meth era un caso di droghe-classe 2, uso ricreativo. Sanzione prevista 3 mesi di sospensione. Inventai ‘d’aver bevuto per sbaglio una ’soda potenziata’ di Slim’. Erano in gioco nome e carriera. Chiesi comprensione e indulgenza…”. L’Atp (l’Associazione Giocatori) insabbia.

Il ritorno

Riparte dai Challenger, a Las Vegas e Burbank, e in un anno è numero 6. “Il fondo è un posto interessante” ha detto, “ci ho passato un po’ di tempo. Salire da numero 141 e tornare numero 1 non è stato un traguardo, ma la riflessione di un traguardo: il sintomo di scelte giuste”.

“Non è un caso” ha scritto, “se il tennis e la vita usano le stesse parole: servizio, vantaggio, rotture (break), colpe (break), amore (love, che è anche “zero” nel punteggio). Le lezioni del tennis solo le lezioni della maturità”.

Una maturità che lo porta a vincere altri cinque Slam, a diventare il più “anziano” numero 1 della storia del tennis, a 33 anni (nella sua ultima parentesi al vertice del ranking, ad agosto 2003), un campione capace di essere in top-10 in tre decenni, uno dei tre insieme a Laver e Federer ad aver giocato quattro finali Slam di fila, l’unico ad aver vinto il career Grand Slam, l’oro olimpico, il Master e la Davis.

“Il tennis è uno sport meraviglioso” ha detto in un’intervista al Times del 2004, “ma se non ci metti tutto te stesso non riuscirai mai a scoprire le maggiori bellezze. Per me è sempre stato come una tela su cui sperimentare tante cose. Se mi guardo indietro, la mia più grande forza è anche la mia maggiore debolezza. Perché ho una tremenda capacità di analizzare, di memorizzare ogni dettaglio. E quando le cose vanno bene, il campo da tennis è un posto meraviglioso in cui stare. Ma mi ha anche portato a inseguire la perfezione, ad essere me nel ruolo di me stesso”.

"Come scalare l'Everest"

Inevitabile un ricordo di quel magico 1999, quando sia lui che la sua futura moglie Steffi Graf si aggiudicarono il Roland Garros. Entrambi contro pronostico. Entrambi facendo la storia. Andre completando il Career Slam, Steffi tornando a vincere dopo 3 anni e l’operazione al ginocchio, quando tutti la davano per finita. “Non capita di parlare molto spesso di ciò, ma il ricordo è davvero vivo. Furono comunque due vittorie diverse, per me fu come scalare l’Everest. Che momento incredibile”.

La Andre Agassi Foundation for Education

“Durante la mia carriera mi sono reso conto che la mancanza di educazione era un handicap importante quando viaggiavo per il mondo e non riuscivo a capire le varie culture. Fortunatamente per me ho avuto il tennis che mi ha dato la possibilità di ottenere una vita agiata, ma ci sono tanti bambini che non sono così fortunati: nel contesto sociale in cui opera la mia fondazione i ragazzi tendono a trascorrere in carcere durante la loro vita adulta il triplo del tempo che hanno trascorso a scuola durante l’età dello sviluppo. Noi cerchiamo di invertire questa tendenza fornendo la chance di conseguire un diploma.”

Conclusioni

“Sono passato dal rifiuto di questo gioco per la maggior parte della mia vita e della mia carriera al capire che in fondo proprio grazie al tennis ho ottenuto la mia scuola, mia moglie, l’opportunità di crescere i miei figli. Adesso posso sedermi e guardar giocare gli altri senza alcun stress, senza preoccuparmi, senza dover più pensare a cosa devo fare. Mi godo il mio sport molto più adesso di quando giocavo”.

Il giocatore famoso per il suo ritmo infernale in campo, specie tra un punto e l’altro, come a voler sempre guardare avanti, conferma questa tendenza anche adesso: “Da quando ho appeso la racchetta al chiodo ho vissuto molti momenti di felicità, ma non son il tipo da festeggiare troppo ciò che ho appena fatto. Preferisco guardare avanti, al prossimo passo, al domani.”.

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