29/04/2013 18:18 CEST - TENNIS E STORIA

Old Clay Story 2: dal Barone ai Muscoli

TENNIS - Seconda puntata del nostro viaggio nel mondo dei grandi esponenti della terra battuta pre-Open. Episodio dedicato a Gottfried von Cramm, Don Budge, Ken Rosewall e diversi altri. Federico Romagnoli

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Gottfried Von Cramm e Donald Budge
Gottfried Von Cramm e Donald Budge

Per chi avesse gradito la prima tappa del nostro viaggio. Ci addentriamo ora negli anni Trenta, il decennio che ha visto emergere in maniera netta il professionismo, ma in cui i dilettanti la facevano più o meno ancora da padrone, almeno fino a quel famoso 1939 che ormai cito ogni due articoli. Proseguiremo quindi fino allo scoccare della Open Era.

Gottfried von Cramm
Mi dilungherò come forse per nessun altro, ma stiamo parlando di un eroe dello sport. Anzitutto, per quale motivo non esiste un film o un anime sulla vita del barone von Cramm? Seriamente, è mai possibile che nessuno ci abbia pensato?
Modello sportivo della Germania nazista, vince titoli di prestigio internazionale, si vede negata la partecipazione al Roland Garros 1937 perché non vuole essere parte attiva della propaganda di regime, nello stesso anno gioca una partita di Davis contro un campione americano mentre ha alle spalle una telefonata del führer che "suggerisce" di portare a casa il risultato (manco a dirlo la perde dopo essere stato in vantaggio di due set!), viene arrestato dal per via di un'omosessualità fino a quel momento maldestramente celata, vede il campione americano di cui sopra (Don Budge, per chi non avesse afferrato) battersi a livello diplomatico per la sua scarcerazione, e infine una volta libero viene boicottato da tutti i tornei amatoriali di maggior rilievo (es. il diniego di giocare Wimbledon 1939: considerate che al Queen's sconfisse Bobby Riggs 60 61, che Riggs avrebbe vinto il torneo maggiore, e traete le vostre conclusioni). Per farla breve gli è mancato solo il duello con la spada laser contro Darth Vader.
Venendo alla superficie analizzata, Gottfried Cramm (come gli piaceva essere chiamato, troppa arroganza in quel "von") è stato verosimilmente il più forte terraiolo degli anni Trenta: tre finali di seguito al Roland Garros fra il 1934 e il 1936 (vittoria contro Jack Crawford, sconfitta contro Fred Perry e rivincita sullo stesso), torneo impedito nel 1937 (vinse poi un altro tedesco, Henner Henkel: il suo parziale documentato contro von Cramm fino a quel momento contava una vittoria e sette sconfitte), torneo saltato nel 1938-39 causa arresto, infine mandato in guerra (a cui fortunatamente sopravviverà).
Un curriculum praticamente distrutto eppure già abbastanza ricco da farne il più vincente dell'epoca sulla broda argillosa: si stimano intorno ai trenta titoli, inclusi tre tornei di Amburgo consecutivi, dal 1933 al '35, e due Monte-Carlo nel 1936-37.
Convinzione di molti è che Don Budge avrebbe difficilmente completato il Grande Slam se il barone avesse potuto partecipare ai tre tornei successivi quello australiano (chissà come sarebbe andata a Parigi, sulla sua superficie prediletta). Di certo lo stesso Budge aveva le idee chiare sull'argomento: senza i nazisti di mezzo, affermò, von Cramm avrebbe vinto abbastanza per essere considerato uno dei più grandi tennisti di sempre. Difficile dargli torto.
Fortunatamente negli anni Trenta il tennis era ormai piuttosto popolare e abbiamo una nutrita documentazione sul gioco del barone, che spiega abbastanza dettagliatamente come mai fosse più forte su terra che su erba (dove comunque sapeva il fatto suo).
Il Nostro era anzitutto dotato di una sbalorditiva resistenza fisica (fra l'ottobre 1932 e il luglio 1937 vinse tutti e venti i match documentati in cui l'avversario riuscì a trascinarlo al quinto set: diciassette di questi furono su terra). Quando si andava per le lunghe era insomma quasi impossibile batterlo: non a caso le sue sconfitte nel periodo in questione avvennero o su erba (dove il gioco era più svelto) o su terra in quelle rarissime giornate storte in cui perdeva in tre o quattro set (del resto anche Borg e Nadal hanno perso a Parigi in meno di cinque).
Altre sue caratteristiche erano un servizio in kick con rimbalzo esagerato e un efficace gioco di volo (vinse molti punti chiave dei suoi match scendendo a rete, benché preferisse stare a fondo campo), che però funzionava meglio su terra a causa dell'apertura dei colpi, a suo stesso dire "troppo pronunciata per l'erba". Il barone lavorò a ogni modo su questo aspetto, costantemente migliorando i propri limiti da praticello: arrivò così a sconfiggere Budge nell'anno d'oro 1938, in un torneo a squadre a Kooyong, per 6-4, 8-10, 12-10 in due ore di gioco (il match si tenne davanti a una folla entusiasta di 11mila persone e venne all'epoca indicato fra i migliori di sempre). Non improbabile che al buon Goffredo sarebbe uscito fuori anche il Major su erba se la storia non gli si fosse abbattuta contro con la delicatezza di un rinoceronte...

Hans Nüsslein
Eccolo lì, l'altro sfigato grasso del tennis anni Trenta: non era decisamente un buon periodo per i tennisti ti Cermania. Per non dilungarmi sulla sua vicenda personale vi rimando a questo vecchio articolo, dove è narrata l'incredibile ingiustizia subita (e questa volta manco fu colpa dei nazisti).
Ottimo terraiolo (ma valevole anche indoor), agguantò diversi titoli su melma (aiutatemi, sto esaurendo le definizioni finto-brillanti per non ripetere sempre "terra" o "superficie in questione") nel circuito professionistico: in particolare World Pro 1933, US Pro 1934, French Pro 1937 e '38 e quattro tornei di Southport di fila dal 1936 al '39. L'ultimo di questi è di fatto considerabile un Major e rappresenta la sua più grande vittoria: se fino al 1938 tutte le sue conquiste erano avvenute in un circuito Pro ancora organizzato maluccio e con tabelloni non sempre perfetti, quella volta riuscì a spuntarla in presenza dei numeri 1 e 2 del mondo (Budge e Vines).
Non sappiamo quali risultati avrebbe potuto ottenere nel circuito amatoriale, sappiamo però che giocò a Berlino nel 1934 contro von Cramm in un torneo speciale aperto sia ai dilettanti sia ai Pro. Il barone si impose per 5-7, 6-3, 6-3, 6-1.

Fred Perry
Rinomato per la sua capacità di tirare vincenti su erba da ogni parte del campo, Perry era anche un ottimo atleta, dotato di grinta e mai domo. Furono la sua foga e sete di vittoria, più che le sue caratteristiche tecniche, a portarlo alla vittoria anche su terra: nel 1935 vinse il Roland Garros battendo di fila Crawford e von Cramm (in tre e quattro set). L'anno dopo giocò una finale schizofrenica in cui il barone si prese la rivincita per 6-0, 2-6, 6-2, 2-6, 6-0. Le cronache dicono di un Perry alquanto stanco nell'ultimo set, tuttavia l'altalena dei primi quattro è quanto mai buffa a leggersi.
Non più dilettante, partecipò al suo primo Pro Major su terra nel 1940 a Chicago (US Pro): dovette soccombere in finale al più giovane e potente Budge, ma l'anno successivo approfittò di un periodo difficile del campione americano (che uscì al primo turno) per conquistare il titolo. Insomma, verrà per sempre ricordato come giocatore da erba, ma le sue grosse soddisfazioni se le tolse anche sulla superficie più lenta.

Don Budge
Fino alla prima metà del 1937 la leggenda voleva Budge giocatore di grande talento, dotato del più incredibile rovescio del mondo, ma carente quanto a resistenza fisica: le quattro sconfitte sugli otto match al quinto set giocati fino a quel momento sembravano in qualche modo avallare questa convinzione. A ogni modo all'inizio di quell'anno iniziò a allenarsi con più serietà (decisione probabilmente presa dopo aver sciupato due palle match e perso il titolo contro Perry agli US Championships del 1936) e ben presto i risultati si videro (vinse tutti e quattro gli incontri che dal luglio 1937 al completamento del Grande Slam lo videro arrivare al quinto set). Questo miglioramento della condizione fisica fu determinante per renderlo competitivo su terra, superficie su cui, da americano, non giocava che di rado (ma a cui si adattò con facilità vista la discreta apertura dei suoi colpi, non paragonabile a quella di von Cramm, ma superiore agli schiocchi di frusta di Perry).
Vi vincerà in tutto tre Major: Roland Garros 1938, French Pro 1939 (su Vines) e US Pro 1940 (su Perry). Almeno sul primo pesa però l'assenza forzata dell'unico rivale alla sua altezza, il solito barone.

Bobby Riggs
Anvedi Robberto! Un nome a cui viene spesso dato scarso peso, visto che dominò il tennis in un periodo (1945-47) in cui sostanzialmente l'unico altro pezzo grosso in lizza era Don Budge, ormai scricchiolante sotto il peso dell'età (classe 1915) e di una spalla resa malconcia dalla guerra.
Ciononostante sia Budge, sia Jack Kramer furono risoluti nell'indicarlo come un campione di prima fascia, senza grandi colpi naturali (eccezion fatta per i formidabili lob), ma dotato di un inarrivabile senso tattico. Se infatti Budge ne parla come di resistente giocatore da fondo, capace di sfiancarlo fisicamente, Kramer afferma che il serve & volley "ad oltranza" non fu inventato da lui come spesso ritenuto, ma dallo stesso Riggs durante la loro prima tournée, con l'obiettivo di chiudere i punti velocemente e risparmiare energie (ora che il vecchietto era lui).
Su terra battuta Riggs giocò pochissimo. Nel 1939 perse di netto la finale del Roland Garros contro Don McNeill, ma era ancora distante dalla sua forma migliore (i due Slam vinti sempre quell'anno valgono poco o niente visto che non dovette affrontare nessuno dei Pro, né il più forte dei dilettanti - il sempre boicottato barone ovviamente - per ottenerli).
È semmai un altro episodio che mi spinge a considerarlo degno di questa lista. Come accennavamo, nel 1948 Riggs affrontò Kramer in una tournée sul veloce indoor: aveva vinto entrambi gli incontri che si erano tenuti alla fine del 1947, sperava quindi di mantenere il suo dominio. Kramer innalzò però il proprio livello a velocità portentosa e ben presto lo spazzò via. A metà del 1948 il computo era inappellabile: 69 a 18 per Kramer.
Sfiduciato e ormai giunto al trentesimo anno di età, Riggs iniziò a meditare il ritiro. Tuttavia quell'estate i due si imbarcarono (col supporto di Dinny Pails e Pancho Segura) in un altro tour, questa volta su terra battuta. I risultati sono andati perduti (si tenne in Sud America e la copertura mediatica non superò l'equatore), ma stando a Pails, Riggs riuscì a tenere testa a Kramer.
La cosa fa riflettere: un Riggs apertamente sfiduciato e ormai trentenne, fresca vittima di un massacro, su terra riuscì a ribaltare la sua triste sorte contro il neo-campione del mondo all'apice della forma.
Questo potrebbe da un lato significare che Kramer non fosse particolarmente efficace su terra (ci sono altri indizi al riguardo, ne parleremo nella prossima puntata), ma dall'altro pure che, laddove la potenza esplosiva di servizio e gioco di volo diminuiva il proprio peso nell'economia del match (come avviene sulle superfici lente), un Riggs non più numero 1 fosse ancora in grado di giocare ai massimi livelli sfruttando la sua innata duttilità.
Contando una carriera fiaccata dalla guerra, un triennio da dominatore in cui non si giocò alcun torneo Pro su terra, un così significativo risultato giunto dopo aver perso lo scettro, nonché la descrizione del suo gioco da parte dei campioni che lo sfidarono, la sensazione è che Riggs su questa superficie avrebbe davvero potuto dire molto. La storia non gli ha dato possibilità di dimostrarlo, amen.

Pancho Segura
Da quanto si legge di Segura, si trattava di un tennista fuori da ogni schema, di quelli che fanno rimpiangere la carenza di filmati dell'epoca. Giocava spesso il dritto con due mani e era adattabile a qualsiasi condizione di gioco (solido da fondo, ottimo di volo), benché incosciente a livello tattico: Kramer ne criticava la riluttanza a usare il rovescio e a spendere spesso energie preziose per colpire col dritto da posizioni bizzarre. Insomma genio e sregolatezza. Vinse l'unico torneo di grande rilievo che si tenne su terra (benché indoor) fra il 1942 a il 1955, lo US Pro del 1950.
Spappolò gli ormai dimenticati John Nogrady e Welby Van Horn nei primi due turni, poi ci fu Kramer in semifinale. Vinse per 6-4, 8-10, 1-6, 6-4, 6-3, in uno di quei match che il sottoscritto pagherebbe oro anche solo per vederne qualche frammento. Conquistò quindi il titolo approfittando del ritiro di Frank Kovacs in finale (conduceva comunque due set a uno).
L'anno successivo vinse lo US Pro su erba, quello dopo ancora su legno indoor: tre vittorie di fila nello stesso torneo su tre superfici diverse.

Tony Trabert
I tre Slam su erba vinti da dilettante sembrarono anticiparne un gran futuro nel circuito Pro, quasi interamente basato su superfici veloci: così non fu. Nei lunghi anni passati fra i tennisti che contavano Trabert ottenne la miseria di una finale nei tornei Major sul veloce (Wembley 1958, persa male contro Frank Sedgman).
Più lungimirante si rivelò invece la doppietta al Roland Garros nel 1954-55: appena divenuto professionista, nonostante le ripetute figuracce rimediate indoor contro Pancho Gonzales, mise in piedi una performance maiuscola al French Pro 1956 (prima edizione del Major francese dallo scoppio della guerra).
Giunto in semifinale, si liberò di Sedgman in tre set veloci, quindi ottenne vendetta su Pancho el matador per 6-3, 4-6, 5-7, 8-6, 6-2. Se l'anno successivo il torneo non si tenne e nel 1958 si ritrovò eliminato prematuramente da un Lew Hoad "on fire", nel 1959 Trabert firmò un altro capolavoro del pantano. Dopo un match incerto vinto al quinto contro Ashley Cooper, in semifinale rifilò a Ken Rosewall la più umiliante sconfitta mai ricevuta su terra: 6-2, 6-0, 6-2. Un risultato impressionante considerando che Rosewall era il campione in carica e che vinse le successive tre edizioni. In finale trovò Sedgman e come già nel 1956 lo sconfisse nettamente.
Non si sarebbe più ripetuto, ma con due succosi Major sul proprio quaderno merita l'inclusione fra i grandi della superficie. Viene comunque da sorridere a considerarlo un terraiolo, nonostante l'evidente dislivello coi suoi risultati sul veloce, visto che scendeva a rete ogni volta che poteva.
Il punto è che non era dotato di grande potenza, e pertanto non poteva che soccombere innanzi all'aggressività di Sedgman e Hoad, o al servizio bomba di Gonzales: laddove queste caratteristiche diminuivano di peso, ovvero su terra, era invece in grado di imporre la completezza tecnica del proprio gioco.

Ken Rosewall
Cosa si può dire di quest'uomo? Si può dire che il suo gioco naturale era da fondo, ma che una volta nel tour professionale iniziò a approcciare la rete con frequenza, sviluppando un gioco completo e di un'eleganza senza eguali. Le sue partite erano capolavori di footwork: il suo incredibile senso di anticipo lo faceva trovare sempre nella posizione giusta, dopodiché ci pensavano i suoi colpi deliziosi (sublime il rovescio) a piazzare la palla senza apparente sforzo. Che faticasse (e quindi si usurasse) meno dei colleghi non può essere solo un'ipotesi: non si fanno due finali di Slam nel 1974 a 39 anni così per caso.
Il gioco totale di Rosewall rendeva quasi indifferente la superficie: era fortissimo dapertutto e vinse una valanga di tornei dapertutto. Su terra il suo trionfo più famoso è quello giunto al primo Roland Garros aperto ai professionisti, nel 1968 (Gimeno al quinto in semifinale, poi Laver in quattro), quando aveva ormai 33 anni, ma ce ne furono altri di pari importanza, benché poco conosciuti: French Pro 1958 (battendo Sedgman e Hoad), 1960 (di nuovo su quei due), 1961 (su Segura e Gonzales), 1962 (su Gimeno). Vinse altre quattro edizioni di quel torneo, ma visto che dal 1963 si giocò su legno e al coperto, al momento non ci interessano.
Tirando le somme, nei Major su terra fra il 1958 e il 1962 ebbe un parziale di 17-1 (essendo però i tabelloni più ristretti ciò include un ben più impressionante 8-1 contro i top-5).
Aggiungete al tutto una trentina di titoli complessivi su terra e il fatto che nel 1963, anno in cui era semi-imbattibile (realizzò l'equivalente del Grande Slam del circuito Pro), non ci fu purtroppo alcun Major sul lento.
In sostanza, che sia un serio candidato al titolo di più grande di sempre è ben risaputo: che sia stato un gigante definitivo anche su questa specifica superficie è meno noto invece, e andrebbe sottolineato più spesso.

Andrés Gimeno
Non è tedesco, ma quanto a sfiga anche lui non scherzava affatto. Fra il 1964 e il 1966 su terra fu il tennista più forte del circuito Pro, e quindi del mondo. Possiamo affermarlo senza grosse remore visto che sconfisse ripetutamente Laver e Rosewall, vincendo numerosi titoli (Noordwijk Pro 1964, Milano Pro 1965, Barcellona Pro 1966 quelli di maggior rilievo). Peccato che in quel triennio il circuito in questione non prevedesse Major su terra: pertanto pur avendo dominato (benché per un periodo non lunghissimo) due fra i più grandi tennisti della storia, rimase a quota zero pezzi grossi fino allo scoccare della Open Era.
A chi ci dice che quel Roland Garros giunto per il rotto della cuffia nel 1972, a quasi 35 anni, non debba essere considerato perché il tabellone era debilitato, non si può che rispondere: primo, erano in lizza i numeri 1 e 2 di quella stagione (Ilie Năstase e Stan Smith) più uno specialista di razza quale Manuel Orantes, quindi la concorrenza per quanto alleggerita non mancava di certo; secondo, battere più volte Laver e Rosewall per tre anni di fila lo vale uno Slam? Se sì, e io dico di sì, considerate Parigi 1972 come un rimborso divino. 

Olé, anche per questa volta abbiamo concluso. Nella terza e ultima puntata tratteremo gli scarsoni: i grandi campioni pre-Open che su terra proprio nun gna'a facevano. Stay tuned...

Federico Romagnoli

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