18/05/2013 09:15 CEST - Rassegna nazionale

Djokovic stop,Berdych va (Crivelli,Clerici);Febbre Sharapova,Errani in semifinale (Martucci,Viggiani,Semeraro);Paire, contro il gioco noioso (Bertolucci);Seles, felice fuori dal campo (V.M.);Malagò,la trasparenza(Fusani); Binaghi,il tennis cresce (Re)

18-05-2013

| | condividi

A cura di Davide Uccella

Djokovic, clamoroso stop «Mi sono deconcentrato» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport, 18-05-2013)

I numeri racconterebbero una storia di dominio: nei quarti nobili i due più forti, cioè Djokovic e Nadal, quando si gioca il primo punto vantano un 31-5 complessivo nei confronti diretti contro i rivali che non fa certo rima con rivoluzione. E invece a volte il tennis sorprende, rovescia sorti e destini. Così Nole, che aveva vinto 13 volte contro Berdych con l'unica sconfitta a Wimbledon nel 2010, cade proprio quando è sotto il traguardo, un tonfo clamoroso per come matura; mentre Nadal si salva dalla quinta sconfitta in carriera con Ferrer, e quindi confeziona il successo numero 19 contro il connazionale, solo perché il suo cuore da leone non si abituerà mai alla sconfitta.

Azione e reazione Il numero uno, con la caviglia destra sempre bloccata da un tutore, per un'ora amministra una benedizione di talento e precisione al povero ceco, che non gioca male ma va da un angolo all'altro dietro i velenosi servizi slice di Nole e quando batte si vede ributtare indietro anche i missili da 220 all'ora. Un break nel primo set, un altro nel secondo con l'aiuto di un nastro che bacia i predestinati e Djokovic si trova 6-2 5-2 e poi a servire per il match sul 5-3. Applausi a tutti e avanti i prossimi, senonché «Djoker» abbassa l'interruttore all'improvviso, sbarella due dritti facilissimi e cede il servizio su uno splendido rovescio lungolinea di Berdych. E tutto cambia: «È stato un game pessimo — confesserà lo sconfitto — e da quel momento ho perso concentrazione, ho giocato troppo difensivo e ho commesso troppi errori. Mi sono battuto da solo».

Impresa Povero Tomas, quando batte i grandissimi, anziché i complimenti, spesso si prende dell'approfittatore della luna storta altrui: già accadde con Federer a Wimbledon nel 2011. Eppure stavolta gli va dato merito di aver cavalcato con perizia le difficoltà dell'avversario, senza quei cali di tensione che spesso l'hanno mortificato sul più bello. Vinto il secondo 7-5, nel terzo si è aggrappato a servizio e dritto per regalarsi finalmente l'impresa: «Quando giochi con i più forti di sempre, capita di perdere spesso, ma contro di loro io do sempre il massimo. Stavolta sono felice perché queste doti mi sono servite per vincere».

Orgoglio Alla solita tenacia si è attaccato Ferrer per risalire come una formichina dopo un primo set eccellente di Nadal, più reattivo ed esplosivo rispetto alla maratona con Gulbis. Perso il primo set, Ferru con gambe e cuore si è rimesso sul sentiero, strappando il secondo parziale con un punto pazzesco, un passante in corsa partendo praticamente dalla prima fila di posti del Centrale su una volée smoizata di Rafa dopo che aveva rimandato due smash. Lì, però, si è risvegliato il guerriero: «In questa partita ha funzionato quasi tutto — ammetterà soddisfatto Nadal — soprattutto perché ho ritrovato il mio miglior tennis nel momento più difficile. In due giorni sono stato in campo cinque ore, evidentemente non sto così male». Sta bene, come Federer, che tira mezzanotte per battere in due set l'Hulk di Polonia, Jerzy Janowicz, r sfruttando qualche cedimento del giovanotto nella fasi calde del match: 6-4 7-6 il forale, ma il ragazzo si farà.

 

 

Djokovic distratto, Berdych va (Mario Viggiani, Il Corriere dello Sport, 18-05-2013)

Non ci sarà, la semifinale che tutti avrebbero voluto agli Internazionali BNL d'Italia maschili. Sorpresa, sorpresa: Tomas Berdych ha eliminato Novak Djokovic in tre set e così oggi sarà lui a vedersela con Ra-fa Nadal nella semifinale della parte alta del tabellone romano. Lo spagnolo è in vantaggio per 13-3 nei precedenti, 4-0 sulla terra rossa dove ha lasciato al ceco giusto un set sui dieci disputati. E i successi di Berdych, arrivati consecutivamente dopo quello iniziale di Nadal, ri-salgo-no ormai al periodo 20052006: da allora dodici successi di fila. Le quote dei bookmaker rispecchiano, anzi rispettano questi numeri: Rafa favorito a 1,13 contro il 5,00 di Tomas. Più o meno simili a quelle di Djokovic-Berdych, staremo a vedere se una sorpresa tirerà l'altra, per la gioia della bellissima fidanzata del ceco, la modella Ester Satorova. L'altra semifinale odierna, quella della parte bassa, sarà invece come da copione, dopo che a inizio. giornata il lanciatissimo Benoit Paire ha lasciato un game soltanto a Marcel Granollers e a notte fonda Roger Federer ha tenuto a bada Jerzy Janowicz in due set, in un match cominciato alle 22.40 e conclusosi a mezzanotte passata! Se il francese continuerà a esprimersi sui livelli di questi giorni, quello di oggi sarà sicuramente un match divertente. In ogni caso, pronostico a senso unico: 2-0 per lo svizzero nei precedenti, neppure un set strappato da Paire a Basilea 2012 e agli Australian Open 2013.

BERDYCH E DJOKOVIC - Il ceco era addirittura 1-13 nei precedenti con il serbo, bizzarramente quasi tutti disputati sul cemento, con Djokovic vincitore dell'unico confronto sulla terra rossa (Montecarlo 2012) e Berdych dell'unico sull'erba (Wimbledon 2010). E invece ha interrotto una striscia negativa di 11 sconfitte, peraltro alla fine di una partita che sembrava davvero chiusa: il numero 1 del mondo era ormai sul 6-2 5-2 e forse neppure il suo avversario avrebbe pensato alla pazzesca rimonta. E invece Novak al massimo è arrivato a due punti dal match prima sul 5-3 e servizio e poi sul 5-4 con Tomas alla battuta, ma proprio non è riuscito a rianimarsi, cedendo il secondo set per 7-5 e il terzo e decisivo per 6-4, dopo aver subito il break nel terzo game e aver fallito l'unica palla-break che si è procurato nel quarto gioco. «Cosa è successo? - ha spiegato Djokovic - Ho perso la concentrazione, ho iniziato a giocare in modo troppo difensivo, commettendo anche troppi errori non forzati, e un avversario di Iivello, un Top Ten come Tomas, ne ha subito approfittato. Di Ibrido, questa partita l'ho persa io». A questo punto, con che spirito al Roland Garros? «C'è ancora tempo per prepararmi al meglio. Di sicuro qui contavo di ottenere un risultato migliore, nel torneo, ma è andata così... Non posso permettermi alti e bassi come quelli di oggi. Parigi è il mio più grande obiettivo dell'annata (l'unico Slam che manca ancora nel suo palmarés - ndr), ma non voglio fare pronostici: è un torneo lungo, spero solo di arrivarci pronto per uno sforzo di due settimane». Berdych, dal canto suo, è sempre stato un sostenitore della teoria "chiunque può battere chiunque". «Conta avere le stesse motivazioni, sia che tu abbia davanti il numero 1 del mondo o un avversario che sta in basso in classifica. D'altronde, Novak non ha perso nella sua partita di esordio a Madrid, la scorsa settimana? Comunque credo che per me sia più facile battere lui piùttosió che Nadal: non c'è un avversario più ostico di Rafa».

NADAL - S.M. Rafa VI di Roma, che oggi andrà a caccia dell'ottava finale in otto tornei nei 2013, è molto contento della sua prestazione. «Ho giocato il mio tennis migliore nel momento più difficile della partita, il terzo set, dopo aver subito la rimonta del mio avversario». Sempre molto sincero, Nadal ha poi reso grande onore a Ferrer. «Lui è un giocatore fantastico e un combattente incredibile: davvero un esempio peri bambini».

FEDERER - «Ormai è giù domani...», la battuta di Roger dopo la vittoria sua Janowicz. «Ho sconfitto un giocatore di cui sentiremo parlare in futuro. Ora trovo Paire, che sulla terra è in un ottimo momento di forma. Sarà un'altra bella partita».

 

Djokovic, eccesso di sicurezza Berdych diventa irresistibile (Gianni Clerici, La Repubblica, 18-05-2013)

Spettatore assente, critico carente, ero stato comunque sorpreso dalla sconfitta, nelle Olimpiadi di Atene, di un probabilissimo vincitore quale Roger Federer. A causarla era stato, così come oggi contro Djokovic, un ignoto ragazzone ceco, Tomas Berdych. La curiosità mi aveva allora spinto a vederlo alla prima occasione nel vicino torneo di Parigi Bercy, 2005. Quel tipo poco conosciuto mi aveva sorpreso, un turno dopo l'altro, giungendo sino alla finale, per battervi il comasco d'elezione, tanto meglio di lui classificato, Ivan Ljubicic. Vittima come sempre son stato dell'entusiasmo, pericoloso sinonimo dell'ottimismo, mi ero lanciato in predizioni sin troppo positive, ritornando nel passato sino a non dico a Rodolfo 1l , ottimo Re di Boemia e tennista rinascimentale, ma al mio caro Jaroslav Drobny, amicodi sempre, epartner imbattibile. Di Berdych mi erodunquespinto ascrivereche, con la giusta assuefazione ai prati, avrebbe probabilmente, come già Drobny, vinto addirittura a Wimbledon. Mi ero sbagliato, una volta dipiù.Via via cheta mia predizione svaniva, mi ero ritrovato a chiedermi che cosa non funzionasse, in quell'omonepoDjokovic, eccesso di sicurezza Berdych diventa irresistibile deroso, un peso massimo di 90 kg, alto 196 cm, capace di sventrare una palla, e non meno di accarezzarla, con una manona benedetta.

Non posseggo più la dimestichezzache mi spingeva, anni addietro, a dividere i pasti e l'intimità con amici che ho salutato oggi, Manolo Santana e lon Tiriac. Le sottili ragioni di tante sconfitte giungevano da stati emotivi, da umane passioni, che oggi potrei forse tentare di intuire da pettegolezzi sul fascino di una clamorosa fidanzata di Tomas, Ester Satorova, preferita alla tennista Lucie Safarova. Ma in fondo, posso anche limitarmi a scrivere che si tratti, per Berdych, di un caso di grande campione intermittente, capace a Monte-carlo di perdere dall'onesto Fognino, e subito dopo, qui a Roma, di eliminare Djokovic. Non certo un Djokovic in cattiva forma, o in cattiva salute, per una recente distorsione che non gli vieta le scivolate e addirittura le spaccate più acrobatiche. Un Nole Djokovic capace di issarsi a un game dalla attesissima vittoria, anche facile da un abissale vantaggio di 6-2 5-2. Da quell'istante, mentre - a suo parere - Nole era divenuto meno aggressivo e - dico io - troppo sicuro del successo-dalle manone del boemo sarebbero iniziati a uscire missili per un totale di 21 punti a 7, che avrebbe pareggiato l'incontro. E non solo pareggiato, ma rovesciato, con il quasi perdente dei primi 15 games sempre in testa, con medicaltissimedi combinazione service and forehand, battuta e diritto, come le chiamava l'inventore Jack Kramer. Spettacolo insomma inatteso quanto affascinante, che ha lasciato incredulo, quanto Djokovic, il vecchio scriba. Il quale si scusa di non saper spiegare le cause, certo intime, del gioco di simile campione intermittente.

 

 

Maria saluta. Febbre Sharapova La Errani in semifinale ritrova la Azarenka (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 18-05-2013)

«Make a wish» (Esprimi un desiderio). Chissà che regalo aveva in mente, giovedì sera, la divina Maria, Sharapova, per i 22 anni del suo amore bambino, Grigor Dimitrov, mentre gli scriveva così sulla telecamera in campo dopo il 6-2 6-1 contro Sloane Stephens. Di sicuro, Sara Errani, ieri mattina alle 11, ha realizzato il suo, quando le hanno annunciato che la numero 2 del mondo marcava visita (ufficialmente «febbre virale», più verosimilmente da imminente Roland Garros) e lei passava in semifinale. Da quel momento, i suoi occhi sono diventati più azzurri, i lineamenti più distesi, il sorriso più aperto: sorvolando sulle tre regine di casa agli Internazionali BNL d'Italia (due troppo in là nel tempo, l'altra, la fantastica Raffaella Reggi, nell'edizione ridotta a Taranto '85), l'ultima semifinalista «de noartri» è stata Lea Pericoli, addirittura 46 anni fa. Tanto che la «signora del tennis», stoppata allora da Maria Ester Bueno, commenta: «Neanche me lo ricordavo, spero che Sara batta il mio record». Sarebbe l'ennesimo primato della piccola-grande romagnola, dopo i 15 quarti di finale azzurri nelle ultime 27 edizioni del torneo di casa. Sarà un'altra grande occasione per la finalista dell'ultimo Roland Garros, da lunedì numero 5 del mondo-record, che sta stupendo se stessa, ma non le avversarie: a partire dalle prime due, Serena Williams e proprio Sharapova, che l'ammirano per tenacia, abnegazione e intelligenza. E sarà un altro momento storico del tennis italiano, riesploso dal 2006, col primo dei tre trionfi in Fed Cup, che ha raggiunto l'acme con Francesca Schiavone al Roland Garros 2010.

Concentrazione L'ottimo coach spagnolo, Pablo Lozano, ha il suo daffare per tenere le briglie al puledro Errani. Che racconta: «Mi ha informata il giudice arbitro, Laura Ceccarelli, ero col mio allenatore, eravamo contenti, un match vinto e un giorno di riposo, dopo due giorni con singolo e doppio duri, va benissimo per recuperare la condizione... Sono stata fortunata, ma bisogna rimanere calmi, il torneo continua, devo rimanere concentrata e tranquilla». Perché Roma è Romaa con surplus di pressione: «Ho mille ricordi di questo torneo, ci sono venuta tante volte, da piccola per chiedere autografi... Si arrivava, col circolo, la mattina, in pullman, e si tornava la sera. Mi vergognavo, arrivavo vicino ai tennisti e non chiedevo mai niente, piuttosto mandavo un amico. Uno dei pochi ai quali l'ho chiesto è stato Spadea, e poi ho un poster di Mary Pier-ce. Da atleta, il ricordo più forte è del 2006, con la Hingis, sul centrale, dopo le qualificazioni, persi 6-1 6-0».

Imprevisti La tensione sale e salirà, fino alle 14 di oggi: "Il ranking dimostra che è il mio momento miglnre, il numero 5 è un importane obiettivo raggiunto, ma nel tennis non si pub mai sapere La forma cambia da una giornata all'altra: puoi giocare benissimo, come con Kirilenko acche se, due giorni prima, centro McHale, non ti sei sentita bene per niente. Sono contenta perché è tutto fanno che sono costante e sto facendo risultati. Ma il gioco, quello non lo comandi. L'importante e': essere bravi quando non ti senti bene, e rimani lì, lotti e porti a casa li partita. E questo ti fa sentire poi molto meglio anche di tennis". Con una variabile in più: «Ci sono i problemi mensili di noi donne (lei li ha avuti martedì, n. d. r. ), poi c'è la stanchezza di tante partite... Certi giorni sei più carico, certi altri più scarico, a noi cambia ancor più che agli uomini». Perciò non c'era avversaria preferita, in attesa della sfida serale vinta dalla Azarenka sulla Stosur: «L'australiana sulla terra è fortissima, la bielorussa è forte ovunque, solida da fondo, si muove bene, ci ho perso proprio qui, due anni fa, anche se era un periodo diverso. Sto giocando meglio, la racchetta ha influito tantissimo, ma se ti passa sopra è dura».

 

La Sharapova lascia: Errani in semifinale - "Che fortuna! Era venerdì 17" (Mario Viggiani, Il Corriere dello Sport, 18-05-2013)

Sul 13 e sul 17 ci sono diverse scuole di pensiero, specie se sul calendario uno dei due numeri si trova abbinato al fatidico venerdì. Se Maria Sharapova, costretta al ritiro per febbre dagli Internazionali BNL d'Italia, ha ribadito di non essere superstiziosa, Sara Errani, che ha avuto così via libera alle semifinali passando dai quarti senza scendere in campo, ne ha preso atto: «Beh, a questo punto potrei considerarlo un giorno fortunato, per me». L'attuale n.1 azzurra, che lunedì diventerà 5 del mondo (seconda Top Five italiana nella storia dopo Francesca Schiavone, arrivata fino al 4 posto), oggi contro Victoria Azarenka disputerà quindi una semifinale a distanza di 46 anni da Lea Pericoli, ultima a riuscirci a Roma. E poi, in caso di ulteriore successo, cercherò di fare ancora meglio:scolpire il suo cognome nell'albo d'oro del torneo 28 anni dopo Raffaella Reggi, che però nel 1985 vinse a Taranto, addirittura 63 dopo la naturalizzata Annelies Ulstein Bossi, nel 1950 ultima a vincere a Roma.
«Capita - il salomonico commento di Sara al forfait della Sharapova - S'è ritirata lei come magari avrei potuto fare io per un altro motivo, senza poter scendere in campo. Ora devo solo restare tranquilla e soprattutto concentrata come se avessi giocato regolarmente e fossi avanzata nel torneo non per ritiro della mia avversaria».
Meglio o peggio, l'arrivo di questo inatteso giorno di riposo? «Meglio, meglio... Ero reduce da due giorni di singolare e doppio, con partite dure».
Quando hai saputo della rinuncia della Sharapova? «Verso le 11, da una telefonata di Laura Ceccarelli ("supervisor" della Wta; ndr), mentre ero in compagnia del mio allenatore».
Come hai accolto la notizia? "Beh, con gioia: si tratta di una semifinale nel torneo di casa".
Come arrivi a questa partita? Valutando la situazione dall'esterno, si direbbe in modo eccellente: lunedì debutto tra le Top Five, dall'inizio del 2013 una serie di prestazioni medio-alte, qui un'ottima prova contro la Kirilenko. «Vero, sono stata molto costante tutto l'anno, giocando parecchie partite belle. Però vediamo: la forma, il gioco, possono cambiare da un giorno all'altro. Contro la McHale, nel match di esordio qui a Roma, ho avuto alcuni problemi, ma sono stata brava a tener duro nei momenti difficili».
Un aspetto già rimarcato dopo il successo sulla Kirilenko. "Diciamo che l'altro giorno avevo problemi di donna... Capita anche quello..."
E oggi? I precedenti dicono 5-1 per, la Azarenka, attuale 3 del mondo ed ex 1.  «Una partita difficile, un'avversaria fortissima. Ne parlerò in mattinata con Pablo (Lozano, il suo coach; ndr) dopo averla seguita in televisione. Dò il meglio su ogni superficie, è molto solida da fondo campo. Qui ci ho perso due anni fa (6-1 6-2 al secondo turno; ndr), ma adesso sono un'altra giocatrice». Comunque vada, si diceva, una semifinale importante».
Roma, Internazionali, Foro Italico: quando è iniziato il rapporto di Sara Errani con questa città, questo torneo, questo impianto? «Ho mille aneddoti, nella testa. Ho cominciato qui da piccolina, quando arrivavo in pullman con gli altri del circolo di Massa Lombarda: mi vergognavo di chiedere gli autografi ai giocatori, mandavo avanti i miei amici a prenderli per me. Uno dei pochi che sicuramente riuscii a ottenere da sola fu quello di Spadea (statunitense, fu Top 20 tra 2004 e 2005; ndr). In assoluto il ricordo più bello, da giocatrice, è quando ho affrontato la Hingis sul Centrale, anche se fini 6-1 6-0 per lei».

 

 

La Sharapova dà forfait: per la Errani giorno fortunato (Stefano Semeraro, La Stampa, 18-05-2013)

Caramelle da una conosciuta. Maria Sharapova ha il febbrone, e chissà se il compleanno del suo moroso Dimitrov l'altra sera ha contribuito ad alterarle la temperatura. Si è ritirata da Roma, la diva, e già pensa a Parigi, dove la rivedremo anche per il lancio dei suoi bon-bon ipercalorici, le «sugarpova». Il lato dolce della faccenda è che Sara Errani è transitata in semifinale senza scendere in campo (oggi alle 14 contro la Azarenka): omaggio gradito, se si considera che Maria è la bi-campionessa uscente a Roma e nel 2012 ha battuto Sara in finale a Parigi. Una italiana al Foro Italico non arrivava così avanti dal 1967, quando Lea Pericoli fu strapazzata dalla Bueno; gli unici due successi risalgono a Lucia Valerio (1931), e Annelies Bossi Ullstein (1950) mentre se parliamo di Internazionali d'Italia il digiuno si accorcia: nel 1985 il torneo, in svalutato esilio a Taranto, fu vinto dalla Reggi e in semifinale arrivarono anche Garrone e Nozzoli. Sarita allora non era neppure nata. Il Foro ha iniziato a frequentarlo almeno dieci anni dopo, da mini-atleta in gita premio da Massa Lombarda con il bus del tennis club. «Si arrivava la mattina e si rientrava la sera - racconta - e io ero timidissima: mi avvicinavo ai campioni per chiedere l'autografo ma poi mi vergognavo. Al massimo mi sono azzardata a chiederlo a Vince Spadea». Ma le piccole donne a volte crescono diventando grandi campionesse, così in campo Sara oggi ci andrà da virtuale n. 5 del mondo, uno scalino sotto il record azzurro di Panatta e Schiavone. «Un traguardo importantissimo - ammette Sara - il ranking dimostra che sono nel mio momento migliore, che sono continua. E dire che mi ero alzata convinta che per me sarebbe stato un giorno sfortunato, questo venerdì 17: mio padre me lo ripete sempre...».

 

Sara, vittoria riposante, i  complessi di David e Tomas (Mardco Bucciantini, L'Unità, 18-05-2013)

POSSIAMO MANEGGIARE IN SALA STAMPA UN LIBRICCINO CHE DA APPASSIONATI DI TENNIS SFOGLIAMO CON CURIOSITÀ E INVIDIA. E UN TRIBUTO A RINO TOMMASI: LUI LO CHIAMA OPUSCOLO. Sono sue frasi che le migliaia di telecronache hanno impresso nella memoria. Le hanno raccolte i lettori del sito ubitennis.com, il titolo ne ricorda una delle più note: i circolati rossi di RinoTommasi, tratti di penna che nel taccuino segnavano i punti migliori di un match. Fra le battute c'è questa, che il giornalista attribuiva al maestro Migliorini, del Tennis Ambrosiano: "Tu buttala di là,uò darsi che non ritorni".
E' stata la saggia e povera tattica sulla quale David Ferrer si è costruito una carriera che il destino non gli aveva affatto riservato. Piano piano, con la tigna di chi sa meritarsi la fortuna, ha aggiunto un po' di velocità nei suoi semplici fondamentali, e perfino un po' di curvatura nel diritto, così da spingere fuori tempo e fuori campo gli avversari. Chiamato a rete, dimostra le sue umili origini (altra battuta di Rino): epperò sa chiudere il punto, se non di tocco, almeno di muscolo. Il problema della sua enorme vicenda è stata la concomitante esistenza di Nadal, che lo ha reso secondo in tutto quello che aveva da presentare: secondo fra i tennisti spagnoli in circolazione e secondo fra gli struggenti maratoneti conla racchetta. Con Nadal, se la butti di là torna sempre indietro, più carogna di come l'avevi offerta.

A parte qualche soddisfazione persa nel tempo, Ferrer è sempre uscito mortificato da questo duello impari, contro uno che pensa e gioca lo stesso tennis, ma meglio. Cosi da perdere 14 delle ultime :5 sfide, e tutte quelle sulla terra rossa: dall'inadeguatezza tecnica si è passati alla soggezione, quel complesso d'inferiorità che è l'avversario imbattibie per un tennista. Da qualche mese, e così ieri pomeriggio, un Nadal meno profondo nei colpi di rovescio e meno cattivo nel servizio lo tiene quantomeno in partita, ma è solo un modo per accrescere la frustrazione del connazionale.

Chi invece è riuscito a sconfiggere quel complesso che attanaglia i perdenti è stato Tomas Berdych. Il ceco non ha troppe tattiche, dunque non si può confondere: è un colpitore eccezionale, non esiste nel circuito una palla che viaggia più veloce di quella che schiaffeggia lui. Le sue vittorie passano da questo sfondamento: gli è riuscito con i migliori, ma mai con quella continuità da elevarlo fra i vittoriosi di Slam. Anche lui ieri al Foro incontrava il suo peggior avversario, quel Djokovic che è superbo rifrangente delle bordate altrui, capace di appoggiarsi sulla velocità degli altri, e di farla propria. Infatti i precedenti testimoniavano: 13 vittorie contro una, erbivora, del ceco. Sono diventate due, perché il numero Uno del mondo si è perso per vanità, intorno all'ora di gioco, 6-2, 5-3, 30-15 e servizio. Un imprevisto inciampo su una zolletta di terra lo ha distratto: se ne andato il punto e con quello la possibilità di una partita rapida e serena. Berdych da allora è parso un toro che aveva capito il trucco del torero: ha trovato le righe con il piacere e l'entusiasmo crescente di chi si fosse liberato da un giogo (e qualche ricamo lo sa fare, di talento ne ha).

In semifinale Nadal e Berdych si troveranno, e per Tomas è un'altra seduta di psicologia, visto che le ultime 12 volte la palla è tornata indietro, come sempre. Mentre dall'altra parte del tabellone quel bizzarro fenomeno di Paire attende Federer (come tutti, a parte Janowicz). E c'è anche una giovanotta italiana nel sabato dei migliori: Sara Errani c'è giunta senza sudare, per l'abbandono della Sharapova, influenzata, dice lei. E il decimo ritiro del torneo, fra ragazzi e ragazze. Qualcuno ci costruirà sopra teorie anche giuste, ma non abbiamo più spazio e nessuno meritava un po' di felice riposo più di Sara.

 

Volèe di rovescio - Paire, ecco l'antidoto al gioco noioso (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport, 18-05-2013)

Probabilmente gli appassionati che desiderano evadere dal gioco logorante e per certi versi monotono dei giorni nostri hanno appena trovato in Benoit Paire il loro alfiere. Nativo di Avignone, figlio di un ferroviere, ha raggiunto a Roma il primo grande risultato della carriera superando nell'ordine, da n. 36 dell'Atp, Monaco (n. 18) 9enneteau (n. 32) Del Potro (n.7) e Granollers (n. 37). II ventiquattrenne francese, alto 1.96, dal fisico filiforme, è un soggetto da studiare con molta attenzione. Dalla manica della T-shirt non affiorano certo bicipiti esplosivi e le lunghe gambe sono più adatte in una passerella di moda che in un campo da tennis. Del super atleta ha ben poco, ma il talento puro tocca vertici assoluti. Il suo é un tennis istintivo, brioso e spumeggiante che cattura per la naturalezza dei gesti e per le perfide e maligne traiettorie che riesce a disegnare. Sembra lento, ha un fare distaccato, ma copre il terreno con passi felpati da mansueto gattone pronto a colpire l'avversario con colpi vari, precisi e spesso letali. Possiede una dote naturale che gli permette di leggere in anticipo la traiettoria della palla, tanto da risolvere con autentica maestria anche gli imprevisti. Non ha colpi particolarmente pesanti, ma con l'aiuto del polso trova angoli acuti interessanti e conosce alla perfezione le zone da frequentare e quelle da evitare. Il rovescio bimane é il colpo che illumina la scena e lo preserva da faticose rincorse, dove il suo dritto ballerino potrebbe tradirlo. Il carattere, non ancora forgiato a dovere, necessita di ulteriori verifiche per cancellare i rifiuti opposti in passato di fronte a ostacoli sinceramente alla sua portata. La solidità e la concretezza non credo saranno mai il cavallo di battaglia del giovane francese, ma con quel braccio vellutato niente può essere precluso.

 

Intervista a Monica Seles - Seles: «La mia felicità fuori dal campo» (Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport, 18-05-2013)

Monica Seles ha vinto Roma due volte, a distanza di 10 anni. Molto amica della nostra Raffaella Reggi, è già tornata al Foro Italico anche per essere premiata con «La racchetta d'oro», ma quest'anno è impegnata con un'impresa particolare, come lei. «Sto per pubblicare The Academy, due libri per ragazzi su un gruppo di giovani atleti che si realizzano ad altissimo livello».

Che collegamenti ha col tennis la grande Monica Sales? «Gioco, faccio esibizioni, appena posso frequento giocatrici come Dementieva e Mauresmo che, magari, quand'eravamo sul Tour, non potevo frequentare».

Com'è II tennis rispetto agli anni 90 quando lei era la numero 1? «Incredibilmente fisico: ogni volta che vedo giocare Serena, Sharapova, Azarenka, Djokovic, Nadal mi stupisco delle loro capacità atletiche».
Appena spunta una nuova star, diventa la nuova Evert, la nuova Hingls, ma mal la nuova Sales. Monica rimarrà unica? «Forse perché ero bimane totale e, con la velocità del gioco moderno, oggi non lo insegnerei mai: non si può proprio giocare dritto e rovescio a due mani come facevo io. Infatti ci sono stati solo quel genio di Santoro e la Bartoli, no?».

Ha vinto il Roland Garros a 16 anni e 8 Slam prime dei 20, ha rivinto uno Slam dopo due anni di stop, dopo che l'hanno accoltellata In campo. «Il risultato di cui vado più orgogliosa è proprio quel record di precocità perché tutti dicevano che ero forte e brava, ma sono riuscita a vincere a un'età difficile, come rapporti, anche coi genitori. Fortuna che i miei sono stati eccezionali e non mi hanno mai costretta a far nulla».

A 14 anni era già professionista. "Ero una bambina, sono dovuta crescere in fretta, ma per 8 anni non ho pensato che al tennis. E, quando mi sono dovuta fermare per forza, mi sono imposta che non sarei mai più stata così mono-dimensione. La gente invidia tanto i numeri 1, guardano ai loro soldi e alla fama, ma ci sono tante difficoltà da superare e tante tensioni da sostenere, perché anche tutti gli altri vogliono essere numero 1. E, comunque, se non ti diverti, se giochi solo per i soldi e la fama, se non hai sia cuore che cervello, non sei un numero 1".

Strano: lei è nata nel 1973, è stata accoltellata in campo ad Amburgo da un ammiratore di Steffi Graf nel 1993, e si è ritirata nel 2003. Ha qualche connessione col numero 3? «Sì, è curioso. Ma ho superato quei momenti di tristezza, ho superato quella storia e ho superato anche la scomparsa di papà, l'emicrania cronica e i problemi di peso. Oggi sono felice, faccio tantissime cose, diverse, e penso al domani. Non ho rimpianti, non posso averne con tutto quello che ho vinto, non posso rimanere legata alla Seles tennista».

II numero 1 del mondo, Djokovic, è serbo come lei, voialtri avete qualcosa dl speciale nel sangue? «Chi ha sofferto come anche nell'ex Russia, è particolarmente affamato e sa più di altri venir fuori dai problemi. Per emergere, nel tennis, devi essere molto forte di testa e avere una gran voglia di vincere ogni punto. È una qualità che non si può insegnare: o c'è o non c'è, io ero così».

Però era anche molto amata, anche a Roma. «Infatti, anche se in campo ero così aggressiva, fuori riuscivo a essere molto me stessa, e gli italiani hanno sempre apprezzato la mia umanità e semplicità. Non so proprio come ho fatto a rivincere il torneo a 10 anni di distanza, so che, dopo mi fermavo sempre volentieri a Roma un'altra settimana per allenarmi verso Parigi».

Secondo Martina Navratilova senza II fattaccio del 1993, Monica Seles avrebbe vinto più dl tutte e sarebbe diventata Immortale. «Martina è molto dolce a dire così, io non voglio più pensarci. Lei è fra le più grandi di sempre, insieme a Lenglen, Court e King, perché ha dovuto superare tanti ostacoli in più: veniva da un paese come la Cecoslovacchia, da gay...».

Almeno, dopo il tennis avrà colmato il suo sogno: ha visto davvero il mondo. «All'epoca giravo 11 mesi l'anno, e poi m'è passata la voglia di viaggiare. I posti più belli che ho visto sono l'Africa, perché amo tantissimo gli animali, e il Costa Rica per le sue spiagge incantevoli. Sto molto negli States. Ma tornerò presto in vacanza in Italia».

È diventata bella e magra. «A Las Vegas mi inseguivano per chiedermi un autografo, convinti che fossi Celine Dion... Ce l'ho fatta: da 10 anni, ho perso peso, e l'ho fatto per me stessa, non per gli altri».

 

Intervista a Giovanni Malagò - Malagò: «Una glasnost anche per lo sport» - «Anche nello sport è tempo di trasparenza» (Claudia Fusani, L'Unità, 18-05-2013)

Per gli sportivi la presidenza del Coni a Giovanni Malagò è il cigno nero, l'evento imprevisto, un po' come quando Roma o Lazio vincono lo scudetto spezzando la striscia prevista di Juve e Milan. Trovare un quarto d'ora per un faccia a faccia è faccenda complicata. Più per lo staff che lo circonda che per lui, che quel quarto d'ora poi lo trova. Riceve nella sala conferenze del Coni, accanto al suo ufficio. Le rassegne stampa raccontano della prima rivoluzione: il Coni servizi, il braccio operativo che dà e riceve i soldi pubblici, ha un nuovo direttore generale, Michele Uva.

È stato definito «Il Renzi dello sport» e paragonato a Grillo per la sua attitudine a rompere gli scherni. L'uno o l'altro? «Nessuno dei due, perché mi occupo di sport e non di politica. E come voler paragonare un tennista a un calciatore, due mestieri diversi. Fatta questa premessa, riconosco di condividere con entrambi l'attitudine alla novità. E allora con il sindaco di Firenze, persona di cui sono amico e che stimo, ho in comune la tensione al rinnovamento di persone e contenuti. Con Grillo, forse, quella del metodo: sono qui perché ho saputo ascoltare la base, cioè chi in questo Paese fa sport e non chi lo gestisce».
Viene esaltata la sua capacità di presentare con passione un libro dl Alemanno e, insieme, di essere amico dl Veltroni.

È la rappresentazione fisica delle larghe Intese? «Mi riconosco la capacità di saper stare e parlare con tutti. Fattori vari mi hanno educato a essere trasversale e gentile con tutti, anche con chi non condivido la storia politica. A questo aggiungo il rispetto istituzionale senza perdere quello per le idee. Mi piace Kipling quando scrive che si è uomini quando si sa passeggiare con i re senza perdere il contatto con il popolo».

«Se», la famosa poesia di Klpling... Possiamo adeguare quel messaggio all'Italia dl oggi? «Non vedo come oggi questo Paese possa avere alternative rispetto all'attuale progetto che vede le varie forze politiche unite nel tentativo di trovare le soluzioni necessarie. Per quello che mi riguarda, porto avanti la bandiera della trasversalità da decenni. Questo prescinde, ovviamente, dai rapporti personali».

Nel manuale Cencelli della politica, la presidenza del Coni equivale almeno a un palo di ministeri. Con portafoglio. È stato eletto rovesciando tutti i pronostlci. Ci racconta la sua elezione? «Anche se rappresento il nuovo, conosco bene questo mondo, quello dello sport. Conosco le varie componenti che esprimono i rappresentanti in consiglio nazionale. Sapevo di poter contare su un presupposto numerico che mi avrebbe fatto vincere. Adesso lo faccio io un paragone: i miei competitor avevano i sondaggi; io conoscevo già i voti. Non è che gli altri hanno dilapidato un vantaggio. Non lo hanno mai avuto anche se erano convinti che gli aventi diritto avrebbero votato per loro».

Quarantacinque federazioni, 411 milioni dl fondi pubblici che arrivano ogni anno dal ministero del Tesoro. C'è molta attesa -è dl stamani un'interrogazione parlamentare del Cinquestelle - dl sapere quali saranno i criteri, l'Indirizzo politico che vorrà adottare per distribuire le risorse. Numero delle medaglie ottenute, numero del tesserati.... «Né l'uno né l'altro. Siamo qui da tre mesi, esiste un metodo vecchio ormai 8-10 anni. Noi stiamo cercando nuovi parametri e abbiano nominato una commissione con dentro la più ampia rappresentanza delle varie federazioni e numero di discipline. Ascolteremo tutti e saranno decisi i nuovi parametri. Non posso dire quali. Certo saranno nuovi. Quindi diversi da quelli attuali. E sarà tutto trasparente. Pubblico».

La prendiamo in parola. Soddisfatto per la nomina di Josefa idem a ministra? «Da morire. Siamo amici. Una persona di famiglia. Farà benissimo perché finalmente abbiamo un ministro dello sport che sa di cosa parla. Con tutto il rispetto per chi l'ha preceduta».

L'altro giorno, ospite qui al Coni, la ministra ha detto a lei e ai presidenti di federazione: «Fate squadra e tenete gli atleti al centro di tutto» e «Mettete l'onestà In funzione del bene comune». Parole forti, importanti. Lel come le ha Intese? «Le ho ascoltate e condivise con gioia, sono le mie parole, dette e ripetute più volte nella mia campagna elettorale».

E gli altri presenti? «Standing ovation. Orgoglio perché uno di noi ora è il nostro ministro».

Un direttore generale del Ministero della Pubblica istruzione, Giovanna Boda, siederà nel Cda di Coni servizi. Significa qualcosa? «Che bisogna ricominciare dalla scuola, dalla famiglia, da una nuova cultura ed educazione allo sport. Finora è stato detto molto e fatto molto poco. II 38% degli italiani non pratica sport, la percentuale più bassa di tutta Europa. Quasi il 36% degli italiani è sovrap peso e il 10% è classificato "obeso" con un costo sociale annuo di 8,3 miliardi».

Tra II 6-7% della spesa sanitaria pubblica. Riuscirà a cambiare tendenza? «Esistono varie facce del problema. E vari soggetti che devono essere messi a sistema per tentare di risolverlo: Pubblica istruzione, Sanità, Politiche giovanili, Pari Opportunità, Sport. Il Coni non è legislatore e non ha responsabilità dirette ma è moralmente responsabile, dalla base fino al vertice passando per una nuova didattica per gli insegnanti di educazione fisica».

In Italia un ragazzino che fa attività agonistica In età scolastica e magari fa assenze per partecipare a una gara, appena torna a scuola viene interrogato... «Il punto è che l'attività agonistica andrebbe fatta direttamente a scuola. Servono quattro miliardi per mettere a norma gli edifici scolastici. È uno dei primi obiettivi».

Lei è stato indagato ai tempi del Mondiali di nuoto per violazione delle norme urbanistiche del Circolo Aniene. Ha fiducia nella giustizia? «Totale, non mi sono mai nascosto e ho sempre affrontato i giudici. Sono stato prosciolto in istruttoria».

E ha fiducia nel governo Letta? «Sono un ottimista. E faccio il tifo. Certo è abbastanza disarmante, ogni mattina, seguire la rassegna stampa, tra la pistola di un deputato Pdl pronta a sparare (la Luger di Piero Longo, ndr) e la proposta di far decadere Berlusconi perché ineleggibile. Il mio consiglio è essere superiori, volare alto, ben sopra i corvi».

Quanto deve a Gianni Letta? «Non devo nulla a nessuno. Sono però molto legato a lui. E posso dire che ha avuto un ruolo fondamentale in questa fase del Paese».

 

 

Intervista ad Angelo Binaghi - Il presidente Binaghi racconta il tennis azzurro - La racchetta che funziona (Davide Re, Avvenire, 18-05-2013)

Grande e continua attività promozionale, mozionale, tanti progetti e un grande utilizzo di tecnologie per la comunicazione e l'informazione come la televisione e i social network. E la ricetta che sta utilizzando la Federazione italiana tennis per riportare lo sport con la racchetta di nuovo al centro dell'agenda sportiva nazionale. La strategia la conferma anche il presidente della Fit, Angelo Binaghi, ormai in sella dal 2001, che però avvisa: «Le cose fatte sono tante, ora vanno mantenute e consolidate», ma c'è la convinzione di aver fatto bene visto che, dice ancora il numero uno della Federtennis, «da cinque anni continuano ad aumentare il numero dei resserati». Il tutto nonostante il periodo di crisi - e il tennis non è certo uno sport economico - e senza un grande campione che possa fare da volano a tutto il movimento.

Presidente Binaghi, il capo del Coni, Malagò, ha definito gli Internazionali d'Italia «un bene per il Paese». La Federazione li ha rivalutati e ha fatto nuovi progetti per il movimento, avete in caldo delle novità? «Questa Federazione di progetti ne ha fatti fin troppi. Ormai il problema è la gestione. Ora stiamo cercando di assecondare e dirigere questo boom di appassionati e iscritti. Abbiamo innescato un circuito virtuoso per esempio fra gli Internazionali d'Italia, la federazione, i new media e il nostro movimento. Non abbiamo bisogno di creare i nuovi stimoli, ma di consolidare Per il quinto anno consecutivo tesserati in aumento e ora una piattaforma per mettere in contatto chi vuol giocare. Il presidente federale: «Siamo il primo sport italiano con un canale tv gratuito di proprietà manca un campione "faro", male donne sono forti e la base cresce sana» tutto quello che stiamo facendo e mantenere un trend che è appunto in con-trotendenza rispetto a come sta andando il Paese».

In Italia, lo dicono i numeri, la racchetta è tornata in testa alle passioni dei cittadini, ma quali sono state le mosse che avete indovinato? «Siamo stati una delle prime federazioni ad usare il sito Inter-net. Poi ci siamo evoluti e siamo stati i primi a diventare multi- mediali. Abbiamo aperto un canale televisivo di proprietà - Supertennis - che sta facendo ascolti record e adesso ci siamo buttati nel campo dei new media e dei social network (con una piattaforma Supertennis club che mette in contatto i tennisti che si vogliono sfidare sul campo, ndr.). Ma l'assoluta novità di tutto lo sport italiano è stato il nostro canale televisivo. Un grande regalo, gratuito, che gli appassionati ci chiedevano».

Presidente, ci sono anche le note dolenti. Il movimento cresce ma in campo maschile si aspetta sempre un campione. Qui al Foro, tranne la Er-rani nel tabellone femminile, sono usciti tutti nei primi turni... «Intanto la crescita deve anche essere supportata da principi sani, come il rispetto per l'awersano, non basta vincere medaglie, bisogna anche trasmettere valori. Ma i risultati ci sono. Trovare un campione può essere un colpo di fortuna. Ma noi abbiamo trovato delle ragazze straordinarie che hanno vinto tutto in singolare e doppio e che sono anche delle grandi donne e che sono un ottimo esempio. Stiamo crescendo anche in campo maschile oltre che a quello giovanile. Mi creda, è un periodo d'oro».

Archiviati gli Open di Roma, ci sarà la quinta finale azzurra di Fed Cup... «Trionfare per la quarta volta in Fed Cup vorrebbe dire consolidare un trend vincente di medio periodo e allo stesso tempo far vedere che riusciamo a vincere anche con un'altra generazione di ragazze: ora Sara Errani e Roberta Vinci, e prima con Francesca Schiavone e Flavia Permetta. Darebbe la certezza che in ambito femminile c'è già, un continuo rigenerarsi. E dietro di loro ci sono la Knapp e la Burnett...».

A proposito di valori e formazione: avete nvalutato i centri estivi ma avete mai pensato di "entrare" anche nelle scuole? «È complicato entrare nelle scuole con questo sport, per le attrezzature che richiede. Tuttavia abbiamo delegato ai comitati regionali la promozione, attraverso la quale abbiamo cercato di collegare le scuole ai circoli. Per esempio in passato abbiamo lanciato un progetto che si chiama "adotta una scuola" sui quartieri periferici di alcune città che credo abbia avuto successo, ma come dicevo ora il nostro problema positivo è la gestione dell'abbondanza di appassionati che sono tornati a praticare e a seguire il tennis».

 

Intervista a Corrado Barazzutti - La mia primavera (Claudio Paglieri, Il Secolo XIX, 18-05-2013)

Il Soldatino è diventato Capitano. Ma a 60 anni, e non ci si può credere, Corrado Barazzutti è sempre com'era una volta: magro nel fisico, preciso nei concetti, oltre che ironico di quell'ironia friulana un po' sbrigativa. Ex numero 7 del mondo, vincitore della Davis nel 1976 e oggi Capitano di Coppa Davis, Barazzutti era il Soldatino e in quel soprannome non c'era nessuna accezione negativa, alla Cassano verso gli juventini, ma la certezza che lui non avrebbe mai tradito la Patria; e infatti quando Panatta, l'incostante, perdeva inaspettatamente dal numero 2 avversario, pensava Corrado a infilzare il numero uno e a rimettere le cose a posto.

Barazzutti, da uomo-Davis a coach di Davis, e di Fed Cup, con tanto di record di panchine: 29 con gli uomini, dal 2001, e 29 con le donne, dal 2002. Il suo sembra un percorso logico, quasi un destino. «Diciamo che sono rimasto nel mio ambiente, ho continuato a fare quello che sapevo fare. Occuparmi di tennis. Ma il percorso è stato lungo, l'Accademia, 10-12 anni da coach di giocatori, poi 2-3 annida coach in Federazione. Ho dovuto imparare molto e continuo a farlo, cerco di migliorarmi sempre».

Meglio l'esperienza da coach o quella da Capitano? «Allenare un giocatore o gestire un gruppo sono due cose completamente diverse. Nel primo caso devi curare la tecnica, insegnare, creare un rapporto di fiducia. Nel secondo devi soprattutto preoccuparti dimettere insieme idiversi caratteri, creare un ambiente in cui ognuno possa rendere al meglio».

In pratica? «Proteggere i giocatori dalle interferenze esterne: giornalisti, genitori, amici, fidanzati, tifosi... Il mio compito è fare da scudo. E poi è stato importante creare un rapporto di collaborazione con coach e staff delle giocatrici».

Lei è un appassionato di reality? (smorfia significativa) Nei reality si verifica quasi sempre una dinamica: gli uomini fanno gruppo molto più facilmente delle donne, mentre le donne messe in gruppo quasi sempre si scontrano.

E capitato anche a lei con le due squadre azzurre? «I reality non sono credibili, sono fiction. Io non penso che le donne siano diverse dagli uomini, mi sembra un presupposto maschilista. Penso invece che le persone siano contraddis tinte dal loro carattere, e sono diverse l'una dall'altra ma non in base al sesso».

Come giudica l'attuale momento del tennis? Età della pietra, del bronzo, dell'oro? «Stiamo sicuramente vivendo un'età dell'oro. Non abbiamo mai visto un momento così positivo».

Sono i risultati dei giocatori di vertice a trascinare la base, o è piuttosto il contrario? «Direi entrambe le cose, la base è fondamentale ma anche i risultati sono un grosso traino, tanto è vero che nei periodi in cui mancavano i risultati si diceva che il tennis andava male anche se non era vero. Oggi basta guardarsi intorno qui al Foro per vedere che le due cose vanno insieme, c'è il pubblico, c'è un tasso tecnico elevatissimo, ci sono gli italiani che fanno risultato».

Ci sono state varie proposte per migliorare ulteriormente il gioco: l'abolizione dei vantaggi, la riduzione dei set al meglio dei quattro game... Lei ha un'idea in proposito? «Io toglierei una palla di servizio» (sorride e alza gli occhi al cielo quasi sognante, ndr).

Perché? «Il servizio, nel tennis, è l'unico colpo che si può ripetere. Non mi è mai sembrato giusto».
Ma lo farebbe su tutte le superfici? Anche sulla terra dove già i battitori sono svantaggiati? «Certo, su tutte le superfici. Se vuoi tirar forte, lo fai a tuo rischio. Io, se sbaglio il passante, mica posso riprovarci».
Ma la classifica mondiale uscirebbe completamente stravolta... «La classifica mondiale, più o meno, resterebbe la stessa».

Un'altra proposta che si fa spesso è giocare meno. Cosa ne pensa? «Non sono d'accordo. Non è vero che si gioca troppo. Se non è cambiato qualcosa, anche 35 anni fa l'anno era di 52 settimane e se volevi giocavi tutte le settimane. Non solo, ai nostri tempi oltre a giocare lo stesso numero di tornei si contavano tutti i risultati, oggi invece ne giocano 30 e scelgono o migliori 15... Io non entro mai nel merito se si giocava meglio o peggio, ma di sicuro la quantità non è cambiata».

I giocatori vorrebbero diminuire i tornei anche per limitare il numero di infortuni, che sono parecchi. «Lei ha mai contato il numero degli infortuni? Qualcuno ha tenuto una statistica? Io no, sinceramente. Non posso dire che ci si infortuna più di allora. E i primi 70/100 giocatori del mondo, ripeto, giocavano quanto oggi».

Cambiamo argomento. Ha letto la biografia di Agassi, Open? «Ne ho lette alcune parti. Racconta cose che capisco molto bene, sul tennis, sullo stato d'animo prima di entrare in campo... Ma proprio per questo credo che sia più interessante per chi non conosce il nostro mondo».

E la frase-cult "Io odio il tennis"? «Un modo di dire. Credo che qualunque giocatore, se glielo chiedi dopo una partita di cinque set, te lo dirà... Ma mi pare che Agassi abbia giocato molto a lungo e che per farlo sia ricorso anche a qualche aiuto...».

C'è una partita della sua carriera che rigiochebbe? (Silenzio che dura un po'. Forse, dico forse, gli torna in mente per l'ennesima volta Jimmy Connors che nella semifinale degli Us Open oltrepassa la rete, irrompe nel suo campo e cancella un segno che Barazzutti aveva chiesto all'arbitro di controllare. Punto chiave che finì per decidere il terzo set e l'incontro) «Non amo né parlare del passato né ricordarlo, non ho dispiaceri, il passato è passato e va bene così».

Il futuro, allora. Finale di Fed Cup, il 2-3 novembre, probabilmente a Cagliari contro la Russia. Non ci sarà Sharapova, le avversarie sono Pavlyuchenkova, Makarova, Kirilenko e Vesnina. Quante chances avete di vincere la quarta Fed Cup? «Direi 50 e 50, forse 51 noi perché giochiamo in casa».

L'Italia sarà la stessa? Errani Vinci Schiavone Pennetta? «Molto probabilmente sì, a meno di novità eclatanti. Di sicuro schiererò la migliore formazione possibile».

Dunque una porticina resta aperta per Burnett e magari Giorgi. Saranno le eredi di Errani e Vinci, come loro lo sono state di Schiavone e Pennetta? «Io mi auguro che crescano il prima possibile, e arrivino al livello delle altre quattro. Il ricambio è importante, solo il tempo dirà se ci saranno riuscite».

 

 

Palazzo di Vetro- Malagò e Idem non dimenticatelo: la lotta al doping è una priorità (RuggieroPalombo, La Gazzetta dello Sport, 18-05-2013)

Nelle cinquanta pagine del suo programma elettorale, rivelatosi alla prova dei fatti vincente, la parola «doping» non c'era, in nessuna delle sue declinazioni. Non si trattava di una dimenticanza. Come Giovanni Malagò ebbe a spiegare a più riprese, quella della lotta al doping era ed è una cosa talmente ovvia che risultava superfluo andarla a mettere nel lungo elenco delle cose che dovevano rappresentare «Un nuovo modello per lo sport italiano», dal titolo della brochure di candidato alla presidenza. Comprensibile e condivisibile. Oggi Malagb è numero uno del Coni da 88 giorni, spesi finora a presenziare consigli federali, ricorrenze e cerimonie in ordine sparso, cui aggiungere tutto il sommerso, la parte di lavoro meno pubblica, nelle stanze di un ministero o della politica. Impegni gravosi, giustificati anche dall'attesa per la nascita della nuova Coni Servizi, braccio operativo che mercoledì scorso ha visto la luce. Ora che tutto è a posto si può cominciare. Scuola, trasparenza, linee guida sui criteri di ripartizione delle risorse già oggetto di un grande dibattito, riforma della giustizia sportiva, le cose da fare non mancano. Tra queste, Malagò certo ne converrà, anche quella di continuare a tenere alta la soglia dell'attenzione sul fenomeno del doping. Una lotta che, pur non contenuta nel programma ed oggetto mercoledì al Coni anche della «dimenticanza» della ministra dello Sport Josefa Idem, è e deve restare una priorità. Perché questo avviso ai naviganti? Perché piccoli dettagli e un po' di generica fibrillazione in alcune stanze del Coni preposte a una battaglia che come si sa non finisce mai (e che negli ultimi anni è stata portata avanti in modo serio) lascerebbero intendere che dell'importanza della lotta al doping si va perdendo traccia. Piccoli esempi in ordine sparso, o meglio, piccole segnalazioni dalle quali Malagò può trarre una qualche utilità: l'altro giorno il Coni è arrivato buon ultimo, dopo Wada e Uci, e quasi fuori tempo massimo nel presentare appello attraverso l'avvocato Arroyo alla (mite) sentenza spagnola sul dottor Fuentes e le sue sacche di sangue senza padroni; numeri certi scarseggiano, i fondi pure, sta di fatto che i controlli anti-doping non sarebbero quantitativamente più come un tempo, specie quelli a sorpresa che sono decisivi per ottenere risultati; si rincorrono voci su una rivoluzione della struttura organizzativa e di controllo antidoping col ricorso a figure che in passato non hanno brillato per particolare efficienza; la chiusura della pur discussa Cvd (Commissione vigilanza sul doping) presso il ministero della Salute ha tolto un ulteriore elemento di stimolo e di confronto. Conclusione: è chiaro che non c'è un disegno. Prima però che a qualcuno non venga la bella idea di farlo diventare tale, Malagò ci butti un occhio. Anzi tutti e due.


«Vi svelo il Bonfiglio» (Cristian Sonzogni, Gazzetta dello Sport Milano & Lombardia, 18-05-2013)

«Ricordo Roger Federer perdere nei quarti di finale, rompendo qualche racchetta per la rabbia. Ma ricordo anche Andrei Medvedev, giocatore ucraino dal talento smisurato, perdere al secondo turno con un austriaco che non è mai diventato professionista. Mentre lo sconfitto sarebbe poi arrivato fino al numero 4 del ranking mondiale». Storie da Trofeo Bonfiglio, il torneo dei campioni del futuro, al via oggi per l'edizione numero 54. Storie con un narratore d'eccezione: Fabio Della Vida, talent scout tra i più stimati nel mondo del tennis, che sarà presente la prossima settimana, come tanti altri addetti ai lavori, al Tc Milano Bonacossa. «Passa il tempo — continua l'ex manager Img, scopritore tra gli altri del croato Goran Ivanisevic — ma il Bonfiglio è sempre attuale e affascinante, anche se oggi l'età media dei migliori è aumentata. Questo è un evento che vanta uno straordinario riconoscimento all'estero».

Primi turni Un torneo che vale la pena di vedere già dalle qualificazioni, tra oggi e domani con 64 giocatori e altrettante giocatrici al via, a caccia di 16 posti in tabellone. Perché proprio nei primi turni ci sono incontri che qualche anno dopo potrebbero diventare finali di Slam. «Ivanovic-Azarenka per esempio — racconta Della Vida — che si affrontarono all'esordio nel 2003. Vinse Victoria Azarenka, alla quale avevano dato una wild card proprio su mio suggerimento. Avrei scoperto solo tempo dopo che quella partita rischiò di far morire sul nascere la carriera della Ivanovic, perché il suo sponsor dell'epoca, dopo quella sconfitta, si dichiarò perplesso sulle possibilità della serba». Di aneddoti ce ne sono tanti, ma vanno tutti nella stessa direzione: non è detto che i campioni debbano per forza arrivare in fondo. Accade spesso, anzi, che futuri protagonisti non facciano risultato tra gli under 18. «Per questo dico sempre che l'importante è fare attenzione a chi gioca meglio a tennis, non ai risultati o alla data di nascita. Federer, in questo senso, è l'esempio perfetto».

Italiani Il capitolo italiani non si può non aprire con Filippo Baldi, il promettente vigevanese che però è reduce da un problema al polso e non potrà essere al top della condizione. «Senza voler mettere le mani avanti, stavolta da lui non mi aspetto un grande risultato. Mi aspetto invece una carriera di alto livello, che arriverà a patto che continui a fare le scelte corrette, come è accaduto fin qui. Intanto c'è da ammirarlo perché ha deciso comunque di giocare. Un altro non credo lo avrebbe fatto». Tra gli azzurri, da seguire inoltre i piemontesi Matteo Donati («È forse quello che gioca meglio tra i nostri») e Stefano Napolitano («Sta facendo grandi progressi»). Passando agli stranieri, Stefan Kozlov, americano, è l'osservato speciale. «Ancor più di Quinzi — chiude Della Vida — è un predestinato. È un ragazzo che sa fare tutto e va visto assolutamente. Ma attenzione anche al croato Borna Coric. Tra le ragazze, consiglio di seguire la svizzera Belinda Bencic, che somiglia un po' a Martina Hingis. Non una sorpresa, se pensiamo che è allenata dalla madre della ex numero 1».

 

Intervista a Sergio Tacchini - ll tennis del futuro comincia sulla terra rossa del Bonfiglio - Garantisce Tacchini (Carlo Annovazzi, La Repubblica Milano, 18-05-2013)

LUNEDÌ sui campi del Tennis Club Milano comincia il trofeo Bonfiglio. Sergio Tacchini, lei che è stato il primo vincitore, nel 1959, checosa estrae, 54 anni dopo, dall'album dei ricordi? «La vittoria, prima di tutto. Antonio Bonfiglio era un amico caro, giocavamo insieme, c'erano competizione e condivisione. La sua morte improvvisa per polmonite mi lasciò un segno profondo. E quando il circolo organizzò il torneo in sua memoria avevo un solo obiettivo, vincerlo. E lo feci senza problemi, in semifinale contro lo svizzero Grimm e in finale 6-36- 4 sul sudafricano Saunders. Ma non dimenticherò mai una cosa».

Quale? «Io ero un giocatore del Tc Milano, e stavo vincendo un torneo dedicato a un ragazzo dello stesso club. Eppure, un piccolo gruppo di spettatori tifava per il mio avversario. Mi arrabbiai, non capivo il perché».

Ha trovato una spiegazione? «La risposta me l'hanno data il tempo e la continua frequentazione del club. Da noi c'è il senso, molto milanese, dell'ospitalità. E si sta sempre un po' con il più debole».

Nel 2013 ha ancora un senso il trofeo Bonfiglio? «Faccio una premessa: il Tc Milano da sempre si accolla onori e oneri e non è giusto. E questo l'unico caso in cui un circolo privato organizza in tutto e per tutto un torneo chiamato Internazionali d'Italia. Non avviene in nessun altro Paese. Sono troppi i rischi per il circolo che dovrebbe chiedere un aiuto concreto alla Federazione».

Ok alla premessa ma risponda alla domanda: nonè anacronistico un torneo internazionale per under 18?«Lo è stato qualche anno fa, quando il tennis spingeva i giovani al professionismo alla ricerca esasperata di nuovi talenti e di un rilancio. Nadal, per esempio, che ha debuttato trai profa 15anni.Adessosiamotomati alla normalità, c'è una maturazione ritardata, Gulbis, Janowicz, Dimitrov hanno superato i 20 anni e stanno entrando ora nel giro che conta. Così i tornei under 18 hanno riacquistato importanza tecnica. E il Bonfiglio è il numero uno».

Perché una persona dovrebbe spendere una mattina o un pomeriggio sui campi del Bonacossa? «Perché è un'occasione unica per scoprire quelli che saranno i campioni del futuro. Chi è venuto lo scorso anno si è gustato Quinzi e anche stavolta i talenti non mancano».

A proposito di talenti. Il Tc Milano ha avviato il progetto Piatti per cercare di produrne in casa. È la via giusta? «Piatti è uno dei coach più bravi al mondo,è un'ottima idea quella di un unico metodo di insegnamento».

Bonfiglio per gli under 18, l'Avvenire all'Ambrosiano per gli under 16, il challenger all'Harbour in giugno. Ma a Milano continua a mancare il torneo top. È un'idea impossibile? « E' un sogno. La realtà dice che in questo momento è molto, molto difficile. Al Milano ci abbiamo pensato ma ci vogliono troppi soldi e poi manca una struttura in grado di ospitarlo. Per rivedere il grandissimo tennis meglio allora una Coppa Davis».

Lei è stato prima un giocatore e poi un imprenditore, sempre di alto livello. Che momento è per il tennis? «Buono. Non da noi, questo è vero anche se vedo una risalita. Ma sta conquistando nuovi mercati, l'Oriente su tutti, e i media sono tornati a parlarne. Lo davano morto e invece si è ripreso. Merito di Federer, Nadal, Djokovic, certo. Ma anche di chi non ha mai smesso di crederci».

 

comments powered by Disqus
QS Sport

Si scaldano le trattative di mercato: Milan e Juventus attivissime, la Roma blinda Florenzi; Thohir dice no all'Atletico Madrid per Icardi e Handanovic. Maxi Lopez è del Chievo, Trezeguet torna al River Plate

Ultimi commenti