22/05/2013 11:23 CEST - Personaggi

Djokovic: il grande slam come regalo di compleanno?

TENNIS - Novak Djokovic compie 26 anni. Ripercorriamo gli inizi e i grandi successi del simbolo della nuova Serbia. Il trionfo a Wimbledon, la scalata al numero 1 del mondo, le grandi sfide a Federer e Nadal a New York.

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Novak Djokovic
Novak Djokovic

Potrebbe sembrargli una vita fa ma Novak Djokovic – il tennista più forte del mondo – può ricordare precisamente il suo dodicesimo compleanno. Non per i regali che ricevette ma per le bombe che furono sganciate sulla sua città natale, Belgrado, la capitale della Serbia. Era il 22 maggio 1999.

“Festeggiavo il mio compleanno al Partizan Tennis Club, dove sono cresciuto” ricorda Djokovic. “Era mezzogiorno circa e i miei genitori stavano cantando 'Tanti auguri a te' quando cominciò l'attacco.”

Ora ne compie 26 il simbolo della nuova Serbia che vuole dimenticare le bombe, le guerre, i massacri.

Un incontro che cambia la vita

Hanno aiutato, e molto, Srdjan e Dijana Djokovic, genitori di Nole. Originari della cittadina di montagna di Kapaonik, gestiscono una pizzeria e danno lezioni di sci (il padre è stato uno sciatore professionista e una volta ha avuto anche ospite a cena, nella sua pizzeria, Alberto Tomba), quando nell'impianto in cui lavorano vengono costruiti tre campi da tennis. Novak, il primo di tre figli, inizia a prendere lezioni da Jelena Gencic, che ancora ricorda il primo incontro con Nole.

E' il 1993, Novak ha sei anni, e arriva con una borsa con tutto l'occorrente perfettamente in ordine, come quelle dei campioni che ammira in televisione. «C'era una racchetta, l'asciugamano, una bottiglia d'acqua, una banana, una maglietta di ricambio, polsino e cappello: allora gli ho chiesto 'ok, chi ti ha preparato la borsa, la tua mamma?'; e lui, un po' arrabbiato mi ha risposto: 'no, sono io quello che gioca a tennis'».

L'incontro cambierà la vita di entrambi. Nole capisce che quello sport è il suo destino, Jelena ispira il suo talento con le poesie di Puskin e la musica classica. Lo supporta anche durante la guerra del Kosovo del 1999, quando ogni notte per due mesi Novak si alza per andare in qualche rifugio con la mamma durante i bombardamenti alleati, in cui Jelena Gencic perderà sua sorella.

«La mattina» ricorda la Gencic, «con Novak ascoltavamo la radio per sapere dove erano previsti i bombardamenti e andavamo a giocare da un'altra parte. Se poi sentivamo gli aerei avvicinarsi, scappavamo dentro il club».

«Stavamo fuori, sul campo, tutto il giorno» racconta mamma Dijana, «e questo ci ha salvato. Non era un posto più o meno sicuro degli altri, ma se te ne stai tutto il giorno in cantina pensando che stanno per venire a bombardare casa tua diventi matto».

 

Un sogno chiamato Wimbledon

I sogni di Novak sono iniziati sulla cima di una montagna. E' qui, in questo modesto complesso sciistico che un'estate, di fronte alla pizzeria gestita dalla sua famiglia, è stato costruito un campo da tennis. Jelena Gencic gestiva un centro lì e ha individuato quel bambino guardando dalla recinzione. Gli ha dato qualche racchetta e dopo pochi giorni ha capito...

Bob Simon: Credeva sarebbe potuto diventare un campione?
Jelena Gencic: Sì.
BS: Da subito?
JG: Sì, e l'ho anche detto ai genitori, "vostro figlio è un bambino d'oro"
BS: Un bambino d'oro?
JG: Sarà il migliore del mondo.
BS: E allora quanti anni aveva, sei e mezzo?
JG: Cinque e mezzo. Non ci potevano credere. Erano scioccati.

Il giovane Novak diventa un fenomeno a tal punto che a sette anni viene invitato alla televisione nazionale serba. Dice che vuole diventare n.1 del mondo. E' tremendamente serio. Quando va a trovare il suo coach a casa, ammira tutti i trofei vinti da giocatore. Ma le sue visioni già andavano oltre tutti i trofei di Jelena, a Wimbledon.

ND: Sognavo Wimbledon. Riuscivo a visualizzarlo. Da bambino ricordo di aver fatto una specie di coppa di plastica, l'ho alzata e ho detto, in inglese, "Hello. My name is Novak Djokovic. And I'm a Wimbledon winner."

 

Il sogno si realizza: vince Wimbledon e diventa n.1

Aveva già lanciato tre racchette in mezzo al pubblico del centre court in delirio, non aveva più il ciuffo d’erba in bocca (“Mi sono sentito un po’ come un animale, non sapevo come esprimere la mia gioia, volevo sentire che sapore ha l’erba…è buona” e sorride fino alle orecchie) quando il neo n.1 del mondo e campione di Wimbledon, Nole Djokovic, ha detto a noi giornalisti che l’avevamo appena accolto con il fragoroso applauso riservato ai vincitori di Slam: “Ho giocato il miglior match della mia vita sull’erba”.

Riuscire a battere Nadal facendo meno errori gratuiti di lui, 12 contro 15, non era mai riuscito a nessuno. Ci si poteva attendere dal serbo una condotta aggressiva,come nelle quattro partite vinte quest’anno, lui dentro il campo, il maiorchino fuori, gli scambi con il suo rovescio infallibile sul dritto (senza paura del gancio di Rafa…) per aprirsi il campo, giocare un ficcante lungolinea e mettere così alle corde lo spagnolo sul rovescio _ stessa identica tattica adottata lungo tutto questo straordinario 2011 sigillato da 48 vittorie e una sola sconfitta _ e quindi anche magari un maggiore numero di vincenti del suo avversario, 27 contro 21, ma…tengo a sottolineare non un numero inferiore di errori gratuiti.

 

L'uomo che aveva tutte le risposte

Cinque anni fa, scrive Tom Perrotta su Tennis.com a fine 2012, descrissi Djokovic come un “giocatore per giocatori”. Nel senso che esegue correttamente tutte quelle piccole cose che magari possono sfuggire a coloro che non praticano lo sport a livello professionistico. Fa quel passo in più per essere in posizione ottimale prima di colpire la palla. Piega completamente le ginocchia per raccogliere le palle basse. E’ fortissimo sia in difesa sia in attacco. Ha un gioco molto completo, al punto che i suoi avversari vengono portati allo scoramento mentre cercano invano un punto debole da sfruttare.

Quella descrizione rimane condivisibile anche oggi, anche se forse sarebbe più opportuno etichettare Djokovic come il “prototipo ideale del giocatore moderno”.  In un epoca nella quale i rovesci a due mani dominano il gioco, le superfici sono state rallentate, la velocità e la resistenza fisica sono essenziali, e la risposta è importante quanto e forse più del servizio, non è per nulla sorprendente che Djokovic sia arrivato in vetta al tennis professionistico.

Mentre Djokovic, Federer e Nadal sono tutti quasi alti uguali ed hanno grosso modo lo stesso peso, Djokovic è snello piuttosto che massiccio, e questo gli conferisce grande rapidità. La sua flessibilità poi gli consente anche di scivolare su un campo in cemento. Nonostante lo stridore delle sue scarpe ed i sussulti della folla, raramente appare a disagio in queste situazioni. Se Federer è elegante, Djokovic è svelto; se lo svizzero è il maestro, il serbo al meglio è un virtuoso.

Tuttavia, per quattro anni Djokovic ha faticato a mantenere la promessa che avrebbe raggiunto il n.1 del ranking. Sembrava che (a) non avesse la testa da appaiare al fisico, oppure che (b) fosse stato davvero sfortunato ad essere capitato in una delle epoche più competitive della storia del tennis professionistico. La risposta era, ovviamente, la b, ma col tempo abbiamo scoperto che Djokovic ha tutto il necessario per confrontarsi con le leggende di questa età dell’oro, Federer e Nadal. Nel 2011, inspirato dai suoi rivali, riuscì a superarli. Al suo meglio, quell’anno, riuscì a fare cose che né Federer né Nadal erano riusciti a realizzare.

Per cominciare, vinse 41 partite consecutive, fermandosi ad una sola vittoria dal record stabilito da John McEnroe nel 1984. Durante quella inimitabile cavalcata, Djokovic vinse gli Australian Open e quattro Masters 1000. Diede tre set a zero a Federer a Melbourne, sconfisse Nadal in due finali all’ultimo scambio a Indian Wells e Miami. E poi riuscì dove nessun altro era riuscito: detronizzò Nadal sulla terra, battendolo in due set a Madrid e a Roma. Neanche Federer era riuscito a battere due volte consecutive Nadal sulla terra nella stessa stagione.

Dopo che la sua striscia era stata interrotta da un Federer d’annata nelle semifinali di Parigi, Djokovic si prese la rivincita realizzando il suo sogno di vincere Wimbledon. L’inerzia vincente si trascinò fino alla stagione estiva sul cemento in Nord America, dove aggiudicandosi il quinto Masters 1000 della stagione stabilì l’ennesimo record della sua strabiliante stagione. Il suo annus mirabilis divenne poi completo agli US Open quando battè Federer in semifinale e Nadal in finale. Tre Slam, cinque Masters 1000, 41 vittorie consecutive, ma ancora più impressionante, 10 vittorie su 11 incontri contro Roger e Rafa. Se si cercano record che non verranno mai battuti, non serve cercare oltre.

Ma non sono state solamente le statistiche ad aver reso quell’annata memorabile. Più di tutto fu la maniera in cui vinse quei match. Con il gioco perfetto per ogni momento, con la flessibilità del virtuoso. Nessuna debolezza, nessuna mancanza, nessuna speranza lasciata agli avversari. Nadal sconfitto al suo stesso gioco, sulla sua superficie preferita; Federer superato sul suo terreno prediletto della gara a chi fa il colpo più bello. Magari è durato soltanto una stagione, ma nel 2011, Djokovic era l’uomo con tutte le risposte.

 

ANTOLOGIA DI GRANDI PARTITE

Us Open 2010, semifinale: Che vittoria su Federer! (da NY, Cherici)

Us Open 2011, semifinale: Federer, un incubo che si ripete (da NY, Fazio)

Us Open 2011, la vittoria: Djokovic non lo batte nessuno (da NY, Scanagatta)

Australian Open 2012: Finale e vittoria storiche (da Melbourne, Scanagatta)

Australian Open 2012: la cronaca della finale record (Mastroluca)

Australian Open 2013: Djokovic nella storia, il primo a trionfare tre volte (Da Melbourne, Malafarina)

Montecarlo 2013: Djokovic rompe il regno di Nadal (da Montecarlo, Mastroluca)

Tutte le finali Djokovic-Nadal

 

ANTOLOGIA DI ANALISI E COMMENTI

Djokovic e la camera dei segreti (Scanagatta, 2011)

Le ragioni del dominio sugli hardcourt (trad. Vai, 2012)

Nole e i match point salvati (Nafea 2012)

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