23/05/2013 10:23 CEST - Approfondimenti

Bollettieri: solo in 163 guadagnano col tennis

TENNIS - Per Nick Bollettieri solo i primi 163 giocatori del mondo riescono a rientrare delle spese. Per questo, e per le maggiori prospettive di guadagno, gli atleti universitari più promettenti scelgono il basket o il football. E gli Usa devono accontentarsi di Isner e Querrey. Vanni Gibertini

| | condividi
Bollettieri at his IMG Academy
Bollettieri at his IMG Academy

Sulla crisi, peraltro relativa, del tennis maschile statunitense tanto si è detto e si è scritto nelle ultime settimane. La nazione che da quando è stata inventata la classifica ATP, nell’agosto del 1973, fino allo scorso torneo di Indian Wells aveva sempre avuto almeno un rappresentante nei top 10, da due mesi a questa parte fa fatica ad averne almeno uno nei primi 20, con i non più giovanissimi Querrey e Isner a tirare la carretta di una squadra di Davis che ha rischiato l’eliminazione in casa al primo turno contro il Brasile per poi essere battuta molto nettamente dalla Serbia di Djokovic.

Quello che però non risulta interamente chiaro è quale sia il motivo di questo si spera momentaneo inaridimento della fonte di campioni made in USA. Fino a non molto tempo fa il decano dei giornalisti italiani di tennis e collaboratore di Ubitennis, Rino Tommasi, sosteneva che il formidabile sistema sportivo dei college americani, che tanto bene funziona nella creazione di atleti d’eccellenza in tante discipline sportive, non è adatto al tennis, dal momento che fa esordire i ragazzi sul circuito professionistico intorno ai 22-23 anni, impedendo loro di accumulare importanti esperienze nei tornei Future e Challenger intorno ai 18-20 e facendoli arrivare al tennis che conta troppo tardi rispetto ai coetanei delle altre nazioni. Ma gli anni in cui Becker e Chang vincevano titoli dello Slam prima di essere diventati maggiorenni sono ormai lontani, e, fenomeno Nadal a parte, ben difficilmente si riesce ad arrivare sui palcoscenici importanti del circuito ATP prima dell’età della laurea, dato che nel tennis contemporaneo la componente fisica ha ormai raggiunto un’importanza decisiva ed è improbabile che un ragazzo teenager o poco più si sia già costruito la struttura fisica e muscolare necessaria nel power tennis moderno.

Ora che “la grande siccità”, come la chiamano loro, sta per superare la soglia simbolica del decimo anno (l’ultima vittoria di un americano in uno Slam risale infatti al trionfo di Andy Roddick agli US Open 2003), comincia ad affiorare una teoria che, alla lontana, si collega alle recenti battaglie dei giocatori per aumentare i premi nei primi turni. “Credo che i migliori atleti negli altri Paesi arrivino a giocare a tennis prima di quanto non capiti negli USA” ha dichiarato John McEnroe alla CNN. Ed il motivo va ricercato nelle maggiori prospettive di guadagno che i vari sport di squadra (football, baseball e pallacanestro in primis) presentano negli Stati Uniti a fronte di investimenti economici molto minori.

Perché se un ragazzo che gioca ad uno degli sport citati qui sopra vede tutte le sue spese (allenatori, preparatori atletici, fisioterapisti, attrezzatura tecnica e viaggi) coperte dal team di appartenenza, lo stesso non succede o succede solo in parte per chi sceglie di cimentarsi nel tennis.

Stando alle statistiche della USTA, il tennis ha un elevato tasso di penetrazione tra i ragazzini americani, ma una volta che si arriva alle scuole superiori (quando si comincia a competere a livello agonistico) i numeri crollano impietosamente. Gli atleti degli sport di squadra infatti sono economicamente responsabili della loro preparazione solamente nel periodo di “off-season”, cioè per pochi mesi l’anno, mentre chi gioca a tennis deve fare affidamento quasi esclusivamente al sostegno finanziario dei genitori, con qualche eccezione solamente in certi college a spiccata vocazione sportiva.

Ma dove il divario tra il tennis e gli altri sport professionistici si fa davvero enorme è sull’aspetto dei potenziali guadagni una volta inseritisi nel giro professionistico. Il famoso coach Nick Bollettieri a questo proposito introduce il concetto molto interessante di “break even ranking”: a quale livello della classifica ATP si rientra delle spese effettuate per giocare in giro per il circuito e si inizia a guadagnare: Secondo lui questo numero magico è 163. Ovvero ci sono solamente 163 giocatori al mondo che guadagnano soldi giocando a tennis – tutti gli altri lo fanno rimettendoci, oppure perché hanno il sostegno di sponsor (aziende, scuole o genitori che siano). Un giocatore di equivalente livello nella NFL, il campionato professionistico di football americano, guadagna una media di 1,4 milioni di dollari l’anno, esclusi gli introiti da sponsorizzazioni e vendite del merchandising. Ed il costo dello sviluppo fisico, tecnico ed agonistico necessario per arrivare a quel livello molto probabilmente è stato sostenuto nel corso degli anni dalle varie scuole, college e squadre per cui il ragazzo ha giocato.

“E’ davvero molto difficile convincere i genitori degli atleti più giocati a scegliere il tennis quando si mettono sul piatto della bilancia queste prospettive” afferma la USTA. Sì perché come possono confermare i genitori di quei tennisti che sono riusciti ad arrivare in cima (ed anche quelli invece i cui sogni di gloria sono rimasti tali), mandare un ragazzo alla famosa Bollettieri Tennis Academy di Bradenton in Florida costa dai 50.000 ai 70.000 dollari all’anno a seconda dell’età dell’allievo e dalle borse di studio a disposizione.  La USTA ha stimato che gestire una struttura d’elite con i migliori 20-30 giocatori costerebbe tra i 3 ed i 7 milioni di dollari l’anno; Tennis Canada, che da diversi anni concentra a Montreal i migliori junior del Paese nel proprio Centro Tecnico nel 2012 ha speso quasi 1,5 milioni di dollari solo per la gestione di questa struttura, senza considerare i viaggi per mandare i ragazzi a giocare i tornei in giro per il mondo e gli altri programmi di sviluppo tecnico ed agonistico.

E stando al “teorema di Bollettieri”, l’investimento ha speranze di essere fruttifero soltanto se il giocatore arriva almeno al n.163 del mondo, con diversi protagonisti del circuito tra cui il rappresentanti dei giocatori nel Board ATP, Serhiy Stakhovski, che sostengono come solamente se si riesce a rimanere nel primi 100 si può sperare di guadagnarsi da vivere giocando a tennis. Anche perché le spese spesso e volentieri non sono proporzionali ai guadagni: stando a Mike Dickinson del quotidiano britannico Daily Mail, i tabelloni di doppio dei tornei Futures, almeno in Gran Bretagna, sono tempestati di ritiri influenzati dai risultati del singolare. Infatti un giocatore che viene eliminato dal torneo di singolare spesso sceglie di ritirarsi dal doppio perché il gioco non sempre vale la candela: nel Future recentemente disputatosi al Northumberland Club di Newcastle, i vincitori del primo turno del torneo di doppio avrebbero guadagnato la bellezza di 22 sterline a testa (circa 30 euro), cifra che non giustifica rimanere nella sede di un torneo un giorno in più (se si è già fuori dal singolare) quando anche il più misero dei bed and breakfast in quella zona costa almeno 40 sterline a notte.

Quando si arriva a livello ATP le cose migliorano un po’, si riceve una diaria giornaliera per ogni giorno che si rimane in tabellone più un paio di giorni di “margine” (di solito prima dell’inizio del torneo), ma il conto dei viaggi diventa salato molto in fretta per chi deve girare il mondo per lavorare, soprattutto se si inizia a farsi seguire da un entourage dedicato. Il sudafricano Kevin Anderson, solidamente intorno alla trentesima posizione ATP da almeno un paio di stagioni, ha apertamente dichiarato alla fine del 2012 che farsi seguire da un allenatore e da un fisioterapista nelle sue peregrinazioni in giro per il mondo gli costa, solamente in spese di viaggio, circa 225.000 dollari a stagione, più ovviamente agli stipendi di questi professionisti che si occupano esclusivamente di lui.

In questo scenario quindi non è davvero sorprendente che notizie molto più confortanti per il tennis a stelle e strisce arrivino dal settore femminile, nel quale un manipolo di giovanissime capitanate dalla semifinalista dell’Open d’Australia Sloane Stephens fa sperare che l’inevitabile declino delle sorelle Williams non sarà così traumatico come si temeva: il tennis è infatti di gran lunga lo sport femminile più remunerativo (secondo la ESPN, 7 delle prime 10 atlete più pagate al mondo nel 2012 erano tenniste) e le prospettive di guadagno per le ragazze americane negli altri sport di squadra sono molto più scarse.

E’ quindi molto più facile attirare le migliori atlete verso lo sport con la racchetta, le quali però devono fronteggiare una concorrenza agguerritissima fatta di valchirie dai requisiti fisici di prim’ordine che vengono da tutte le parti del mondo, specialmente dall’Est europeo e dalle ex repubbliche sovietiche. La WTA da questo punto di vista ha svolto un eccellente lavoro nel corso degli anni trasformando il Tour che nel 1970 era nato dagli sforzi di Billie Jean King con un calendario di 19 tornei (tutti negli USA) ed un montepremi complessivo di $309.100 in un gigantesco circo con 54 tornei (più gli Slam) in 33 Paesi al mondo che distribuisce più di 100 milioni di dollari l’anno. E sebbene i guadagni delle ragazze non siano ancora alla pari di quelli dei colleghi maschi (secondo alcuni più che giustamente), il divario nel tennis è sicuramente il più ridotto che si registra in tutti gli sport professionistici, soprattutto quando si prendono in considerazione gli introiti delle sponsorizzazioni.

Vanni Gibertini

comments powered by Disqus
QS Sport

Si scaldano le trattative di mercato: Milan e Juventus attivissime, la Roma blinda Florenzi; Thohir dice no all'Atletico Madrid per Icardi e Handanovic. Maxi Lopez è del Chievo, Trezeguet torna al River Plate

Ultimi commenti