12/06/2013 15:08 CEST - L'INTERVISTA

Tsonga: “Avrei voluto giocare trent’anni fa”

TENNIS - Il francese in un'intervista al Guardian: “Noah e Leconte mi raccontano sempre di quando uscivano con McEnroe e Wilander a farsi una birra o a suonare la chitarra. Oggi è difficile che succeda." Teo Gallo

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Jo-Wilfried Tsonga
Jo-Wilfried Tsonga

In un’intervista al Guardian il francese Jo-Wilfried Tsonga ha ricordato i tempi in cui il tennis “era solo un gioco e una passione, non un lavoro”. In tabellone al Queen’s questa settimana, Tsonga ha ammesso la frustrazione per non essere riuscito ad arrivare in finale a Parigi (“Mi rimarrà in testa per qualche settimana").

La parte più interessante dell’intervista riguarda i suoi ricordi da giovane emergente del circuito: nel 2007 giocò per la prima volta al Queen’s e contemporaneamente era iscritto a un challenger a Surbiton (sud-ovest di Londra). “Quella settimana giocai 8 partite in 5 giorni. Da Surbiton al Queen’s e viceversa. Mi sono divertito moltissimo. Stavo in un albergo molto piccolo, insieme al mio vecchio coach Eric Winogradsky: quella settimana giocai benissimo. Vinsi il challenger e dopo la finale mi sono bevuto una birra. Non sono abituato a bere ed ero completamente ubriaco. Fu fantastico”.

“A quell’epoca ero giovane e il tennis era solo un gioco. Ma cominciò a diventare una questione seria, perché tutti si aspettavano che giocassi sempre meglio e ad un certo punto ho perso la passione. Due anni fa decisi di restare da solo, senza allenatore. Fu complicato spiegare al mio coach che avevo bisogno di respirare e stare per conto mio, per ritrovare l’amore per questo gioco. Ma sono contento di averlo fatto”.

Gli hanno chiesto cosa pensasse delle dichiarazioni di Gulbis, che poco tempo fa definì “noiosi” i Fab Four, troppo signorili nelle loro interviste. “Quello che stanno facendo i top four è pazesco. Nadal ha appena vinto il Roland Garos per l’ottava volta! È incredibile, e continua ad impegnarsi al massimo. So cosa intendeva dire Gulbis, secondo me è un problema di tutti i tennisti. Oggigiorno uno va semplicemente a giocare, e non condivide niente con l’esterno”.

La nostalgia di tanti appassionati per il tennis “selvaggio” degli anni ’80 è condivisa anche da Tsonga: “Mi sarebbe piaciuto giocare 30 anni fa. Credo che fosse il periodo migliore per essere un giocatore di tennis. Leconte e Noah me lo dicono sempre: si sono divertiti moltissimo. Oggi non sarebbe più possibile, tutti sono molto professionali. Non so se è solo una questione di soldi. Credo che anche i media siano un fattore. Se dici qualcosa sopra le righe, per tutta la settimana si parlerà di quello perché in 5 secondi la notizia farà il giro del mondo”.

Eppure ci sono ancora episodi curiosi, come quando Murray lo chiamò per aggregarsi a lui su un aereo privato per viaggiare da Madrid a Roma. “Ero molto contento della sua telefonata. Dovevo prendere un aereo di linea ma luii disse: 'Ok, abbiamo qui un grosso aereo e siamo solo in due. Vieni con noi'. Per me fu bellissimo vedere che Andy si preoccupava di qualcun altro e fu la prima volta in cui parlammo un po’ in privato. Lo conosco da quando abbiamo 12 anni ma … non posso dire di conoscerlo veramente. Siamo sempre agli stessi tornei ma quando ci vediamo ci diciamo solo 'Ciao, come va?'. Noah e Leconte uscivano a bere con McEnroe e Wilander, suonavano la chitarra. Oggi, è molto piú difficile che succeda”.

“Il periodo più intenso della mia carriera è stato nel 2008, quando ho fatto la finale in Australia, e quando ho battuto Federer a Wimbledon. Forse quella fu la mia vittoria più bella, avevo sempre sognato di battere un grande giocatore sul Centrale, ed ero anche sotto di due set”.

Il monopolio dei Fab Four, altro argomento. Tsonga pensa di poterlo rompere? “Sì. Ho preso Roger Rasheed come mio coach per questo motivo. Ho pensato che ormai ho 28 anni, me ne rimane ancora qualcuno. Ora o mai più. Ma alla fine della ia carriera, anche se non avrò vinto un trofeo importante, penserò: Ok, ho battuto Roger, Novak, Andy”.

Sul finale emerge il lato campestre di Tsonga, che viene da una famiglia normale della campagna francese. “Mi hanno insegnato ad essere sempre educato e cerco di mantenere i loro valori. Non mi abituo mai ai grandi alberghi, a tutta questa attenzione. Tra cinque anni spero di avere una famiglia, una casa col giardino, un barbecue. Sarebbe magnifico”.

Teo Gallo

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