27/07/2013 08:13 CEST - Rassegna Nazionale

Fognini, e sono 12 di fila (Mariantoni); Federer, crisi e dubbi "Se non posso vincere meglio fare altro" (Semeraro); Doping: perche' sempre il ciclismo? (Bergonzi, Valesio, Re); Doping, Quinzi ha tanti dubbi (Viggiani);Ricordando Mario Belardinelli (P.B.)

27-07-2013

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A cura di Davide Uccella

Potenza Fognini e sono 12 di fila «Quanti sacrifici» (Luca Mariantoni, La Gazzetta dello Sport, 27-07-2013)

La sinfonia è sempre la stessa di Stoccarda e Amburgo. Fabio Fognini continua a sbalordire ottenendo la dodicesima vittoria consecutiva che gli vale la semifinale del torneo di Umago. Fabio il favoloso ha dominato anche Martin Klizan, il mancino di Bratislava che ha retto il pallino e le sorti dell'incontro per i primi 13 minuti di gioco. Poi tutto è dipeso dalla volontà del ligure che ha giocato un match perfetto dopo la sbavatura iniziale (3-1 Klizan).

Potenza L'azzurro è stato capace di reazioni improvvise, dettate da schemi di gioco sempre più fluidi e potenti. Il contro break è stato roba da ragazzi. Fabio ha strappato la battuta a zero e poi ha bissato il break salendo di prepotenza sul 5-3. Si è costruito i punti in maniera impeccabile, alternando soluzioni di potenza a tocchi da prestigiatore. Ad inizio di secondo set Fognini ha allungato ancora con un nuovo break. Klizan ha accusato problemi al braccio, ha chiesto l'intervento del fisio, poi ha provato a rientrare in partita con una serie interminabile di palle corte. L'azzurro si è fatto riprendere sul 2-2, ma poi quattro game perfetti hanno sancito la fine di un match mai in bilico, durato appena 70 minuti.

"Il merito — ha detto Fognini al termine del match — è del lavoro che ho svolto in questi ultimi mesi con il mio allenatore. Tanti piccoli cambiamenti, tanti sacrifici ripagati da queste vittorie. Per crescere bisogna sbagliare, ma anche fare di testa propria. Essere concentrati non vuole dire comportarsi sempre bene. Se devo frantumare una racchetta non ci penso due volte, la spezzo e basta". Fognini rimane sempre numero 19 del mondo, ma una vittoria odierna contro Gael Monfils (n 56 del mondo e battuto dal ligure al Roland Garros del 2010 in un match interminabile chiuso 9-7 al quinto) lo proietterebbe al 16 posto del ranking, con gli stessi punti di Marin Cilic che è n 15. Ma c'è anche il record di vittorie consecutive. Per Fabio sono 12, quelle di Panatta nel 1976 furono 16.

Andreas Lo stellone fortunato ha baciato ancora Andreas Seppi che ha beneficiato del secondo ritiro del torneo; dopo quello di Haider Matirer, è stata la volta di Horacio Zeballos. L'altoatesino ha mancato due palle break ad inizio match, altre due sul 4-3, poi ha perso il servizio sul 4 pari. Ma sul 5-4, l'argentino ha mancato due set point e Seppi ha operato il contro break sfruttando la nona palla break del set. Sul 6-5 Seppi', Zeballos ha accusato un dolore alla schiena che ha costretto il sudamericano al ritiro sul triplo set point per l'azzurro.


Federer, crisi e dubbi "Se non posso vincere meglio fare altro" (Stefano Semeraro, La Stampa, 27-07-2013)

Anche i Geni si stancano (di perdere), anche Roger Federer è umano. E a Gstaad, dove ha rimediato la terza sconfitta di fila contro un avversario incongruo, l'ex Imbattibile perla prima volta ha iniziato a guardare dietro l'angolo. A pensare seriamente ad una vita senza tennis.

A Wimbledon si era fatto eliminare da Sergiy Stakhovsky, n. 116 del mondo, ad Amburgo ha raggiunto la semifinale ma è bastato un Federico Delbonis (n. 114 prima del torneo) a spostarlo fuori dal tabellone. A Gstaad, casa sua, è volato fuori all'esordio contro il n. 55 Daniel Brands. Un tris dell'orrore nell'estate del suo scontento, l'ennesima partita non all'altezza: «So di non essere io questo, è davvero frustrante». Dopo la sconfitta Federer ha finalmente ammesso quello che tutti avevano intuito da mesi, e cioè che avverte «spasmi muscolari» alla schiena che lo condizionano a giorni alterni. Un malanno cronico, forse più grave di quello che il suo fair-play gli consente di ammettere, aggravato dall'età -32 anni l'8 agosto - e che rischia di complicare un futuro prossimo che SuperRog aveva immaginato come un lento, dorato scivolo verso la pensione. Il day after era fissato dopo i Giochi di Rio nel 2016, ma forse bisognerà anticipare i tempi.
«Restare nel circuito non mi basta - ha confessato allo spagnolo "Marca" - ho bisogno di vittorie e spero di stare bene per riuscirci, perché non è divertente giocare da infortunati, ad Amburgo ho dovuto prendere degli anti-infiammatori. Se le vittorie non arriveranno, bisognerà pensare a fare altre cose». Ad esempio il papà a tempo pieno delle sue due gemelline.

II 2013 per ora è davvero il suo anno peggiore da oltre due lustri: un solo torneo vinto, sull'erba di Halle, una incresciosa finale a Roma dove si è fatto umiliare da Nadal negli Slam dopo la semifinale di Melbourne sono arrivati i bocconi amari di Parigi, dove ha perso nei quarti con Tsonga, e di Wimbledon. Per provare a rimettersi in linea dopo Londra il Genio aveva deciso di modificare anche la sua bacchetta magica, la mitica Pro Staff 90, e sperimentare una racchetta Wilson con un ovale più grande, quindi più «facile» e potente. «Mi sono chiesto se volevo allenarmi, giocare o provare un nuovo attrezzo, ad Amburgo e Gstaad potevo fare le tre cose insieme. Con la nuova racchetta mi sono trovato bene, ma per ora è solo un prototipo». L'incantesimo insomma non è riuscito, e ora Federer deve decidere se riposarsi o iscriversi anche a Montreal nel tentativo di fermare l'emorragia di punti. Nel ranking mondiale è n. 5, ma già sesto nella Race, la classifica che registra solo i successi dell'anno scorso. La settimana prossima gli «scade» la finale olimpica del 2012, se dovesse saltare gli Us Open per colpa della schiena rischierebbe di rotolare fuori dai primi 8. Il suo predecessore nell'immortalità Pete Sampras visse una situazione simile nel 2002, poi trovò l'ultimo urrah proprio a New York. E si ritirò da vincente. «Deciderò cosa fare fra qualche giorno», ha promesso Roger. «Il tempo non è molto». Ed è un avversario che non ha pietà.


Doping: perche' sempre il ciclismo? (Pier Bergonzi, La Gazzetta dello Sport, 27-07-2013)

Ieri Renato Di Rocco, presidente della federcido e vicepresidente dell'Uci, ha preso carta e penna per dichiarare la rabbia per gli effetti dell'inchiesta doping del Senato francese: «Se la ricerca vuole essere credibile, fuori tutti i nomi e le altre discipline. Se il Senato ritiene conclusa l'informazione, indebolisce l'azione evidenziando una squallida azione strumentale e mediatica al solo scopo di colpire il ciclismo».
Lo sdegno di Di Rocco è lo stesso di gran parte del movimento a due ruote. Detto che il «vittimisino» non è mai stato d'aiuto alla lotta contro il doping, è invece lecito chiedersi perché «sempre il ciclismo»? Nell'inchiesta spagnola «Operacion Puerto» erano coinvolti anche altri sport (atletica leggera, calcio, tennis?), ma alla fine è diventato un processo al ciclismo. E il dossier del Senato francese ha coinvolto 15 discipline, ma alla fine sono usciti (e non dovevano uscire) soltanto i nomi dei ciclisti.

Basta leggere con attenzione le 800 pagine dell'inchiesta per scoprire alcuni dettagli illuminanti. Il '98 del Tour, sotto la lente d'ingrandimento per il massiccio impiego di Epo, è stato anche l'anno del Mondiale di calcio vinto in casa dalla Francia. l.'Uci e la Fifa chiesero al ministero francese di distruggere le provette al termine dei controlli doping. Al ciclismo venne detto no. Alla Fifa sì, e un addetto della federcalcio mondiale andò al laboratorio di Chatenay-Malabry per assistere alla distruzione di tutte, ma proprio tutte, le provette. Nell'inchiesta del Senato compaiono sospetti circostanziati su quel Mondiale di calcio, ma nessuno ha mai potuto ricontrollare le provette, perché quelle provette non ci sono più...E il tennis? 11 presidente internazionale Ricci Bitti si becca, nel dossier, un cartellino giallo «per la campagna poco incisiva nei controlli a sorpresa». Insomma il ciclismo paga pesantemente, ma di certo lo sport che più ha fatto e più sta facendo. La lotta al doping, per essere credibile, deve avere una sola regia mondiale indipendente e regole chiare e uguali per tutti. Senza deroghe. Altrimenti la domanda «perché sempre il ciclismo?» continuerà ad essere legittima.

 

Doping, Quinzi ha tanti dubbi (Mario Viggiani, Il Corriere dello Sport, 27-07-2013)

"La meglio gioventù" è una trasmissione andata in onda giovedì sera su Italia 1. Gianluigi Quinzi in questo momento è il meglio della gioventù sportiva italiana, sicuramente di quella tennistica per la fresca vittoria nel torneo juniores a Wimbledon, e uno dei servizi ha giustamente riguardato il 17enne marchigiano.
L'intervista è stata una rivisitazione della sua ancor breve vita tennistica e non solo. Gian-luigi ha parlato della rinuncia allo sci per il tennis, del circolo di famiglia avviato anni e anni fa dal nonno paterno, della sua esperienza in Florida e del rapporto con Nick Bollettieri all'accademia del guru italoamericano a Bradenton, e infine dei suoi carichi di lavoro quotidiani, tra tecnica e preparazione fisica. Fin qui tutto bene, solo che l'ultima domanda ha riguardato l'argomento doping e lì Quinzi, con sincerità (o ingenuità, oppure inesperienza: fate voi) molto diciassettenne, ha dato una risposta che ha scatenato il dibattito soprattutto sul web tra gli appassionati tennistici.

LE SUE PAROLE - Questo il suo pensiero sull'argomento: «Anche se sei Federer o Nadal, se devono prendere loro, devono prenderli. Invece un 30, 40 del mondo lo prendono. Non è che se prendi loro, finisce il tennis. Io non lo so se loro sono dopati, penso che nel circuito tutti devono essere uguali. Quando vedi giocatori come Djokovic disputare match lunghi cinque ore e poi presentarsi in campo, il giorno seguente, con la stessa intensità, è difficile non pensar male. Non sto dicendo che Noie o altri tennisti in particolare si dopino, questo non lo so, ma a me vengono dei dubbi, quando vedi certi recuperi incredibili».

LE REAZIONI - Diverse, come si diceva prima, le scuole di pensiero nei commenti all'intervista.
C'è chi gli ha reso onore: «Ha vercmente le palle questo ragazzo», «Ha detto quello che pensiamo in moltissimi, ma non vorrei che ora diventasse un indesiderato del tennis che conta», «Ha fegato, ha detto quel che pensava ma un po' troppo... Magari era meglio se si strizzava un brufolo, invece di esagerare», «Dubbi più che legittimi».

Chi è rimasto nella terra di nessuro: «Molto ingenuo e molto sincero, in linea con la sua etet speriamo non gliela facciano pagare», «Incredibile, il ;forno prima Djokovic aveva parlato bene di GQ e ora:li rifila 'sta mazzata», «Non so se definirlo coraggio:o o stupido», «Ahi Quinzi, preparati», «Certo che non li ha mandate a dire, ora vedrete che gli suggeriranno un sano dietrofront».

E chi invece gli tira le orecchie, anche con ironia, o lo critica di brutto: «Attendiamo una correzione del tipo "Non mi sono spiegato bene"», «Dete capire che se Nadal e Djokovic primeggiano fisicamente è perché sono due armadi con più ante», «Cominciamo bene. Ognuno faccia le dichiarazioni che vuole, ma si assuma le conseguenze. Le sue dichiarazioni risultano improprie», «Gianluigi, questa veramente te la potevi risparmiare: non hai né l'esperienza né la preparazione fisica dei tennisti che hai citato, e non si lanciano accuse a vanvera se non si hanno elementi per farlo. Devi chiedere scusa e rettificare le stupidaggini che hai detto: qui non c'entra l' età, sono sciocchezze e basta».

E voi, siete con Quinzi oppure no?


Doping, il tennis nel mirino (Piero Valesio, Tuttosport, 27-07-2013)

BEATA e bellissima gioventù: come si fa non volere bene a uno così? Un ragazzo di 17 anni che sta sputando l'anima per diventare un campione vero nel tennis ma che non ha alcun timore nell'esprimere quello che pensa. Attenzione: non cosa pensa della fissione nucleare ma dei leader di quello stesso sport nel quale lui sta tentando di sfondare. E il caso vuole che il suo pensiero espresso durante un'intervista televisiva notturna vada in onda mentre il mondo del tennis s'interroga sul caso Troicki: il serbo che a Montecarlo si è rifiutato di fornire un campione di sangue (contestualmente a uno di urina che invece ha regolarmente consegnato) e per questo è stato squalificato per 18 mesi.

PENSIERI Prima Quinzi dunque. Al giovane azzurro è stato chiesto che cosa pensa di un tema caldo come il doping nel tennis. E lui serafico: .4 vari Federer, Nadal e Djokovic non vengono mai presi, mentre prendono il 30, il 40 del mondo. Se Nadal o Federer devono essere presi, allora vanno presi perché non è che senza di loro finisce il tennis. All'Australian Open Djokovic che gioca cinque ore ed il giorno dopo altre cinque... Mi viene qualche dubbio, ovvio; però mi dà anche tristezza sapere che magari prendono un altro invece che loro... C'è un solo commento da fare: speriamo che Quinzi resti così per tutta la vita.
PAURA Intanto il caso Troicki ha ricentrato l'attenzione sul tema doping nel tennis: che in effetti è mai stato così caldo. Il serbo ha annunciato che ricorrerà contro la squalifica adducendo le seguenti motivazioni: quel giorno (aveva appena perso contro Nieminen) stava male, temeva di stare peggio dopo il prelievo, ha paura delle iniezioni da quando era ragazzo e in più la dottoressa gli ha detto che anon ci sarebbero stati problemi. (lei però nega) a posticipare il prelievo e gli ha addirittura dettato la lettera di giustificazioni da inviare all'Itf. A parte Troicki è il tennis tutto che si trova ad un bivio delicatissimo per quanto concerne il doping. Le invettive dei top player hanno portato sì all'annuncio dell'introduzione del passaporto biologico. Ma tale introduzione, che in un primo momento parve diventasse realtà già nel circuito che precede lo US Open, pare invece slitterà a fine anno per diventare del tutto operativa all'inizio del 2014. Tuttavia nemmeno questa mossa ha sgomberato il campo dalle nubi: perché se è vero che in primavera l'Itf e i tornei dello Slam hanno annunciato che stanzieranno tre milioni e mezzo di dollari (uno in più rispetto a oggi) per finanziare i controlli è altrettanto vero che secondo molti osservatori non basterebbe nemmeno il doppio per far si che il tennis si lasciasse definitivamente alle spalle dubbi e sospetti. Senza dimenticare, ma questo è un altro capitolo della vicenda, che il pericolo reale è che con uno schema di controlli antidoping così strutturato potremmo assistere a qualcosa di simile a quanto è successo nel ciclismo: coni nomi dei dopati del Tour '98 che sono stati resi noti l'altro ieri, sollevando più che giustificati problemi di opportunità.


Tennis senza doping, la farsa sta finendo (Davide Re, Avvenire, 27-07-2013)

Il tennista serbo ViktorTroicki ha annunciato appello - dichiarandosi innocente - contro la sospensione di 18 mesi arrivata giovedì sera per violazione delle regole antidoping imposte dalla Federazione Tennis Internazionale (Itf).Troicki 27 anni, attualmente 53 giocatore del mondo, ma ex numero 12 Atp, aveva rifiutato il 15 aprile di sottoporsi a un esame del sangue al torneo Masters 1000 di Monte Carlo. Un fulmine a ciel sereno? Forse. Sta di fatto che ormai non sono pochi quanti reputano il circuito professionistico di tennis contaminato dal doping. Il problema in realtà è un altro, ovvero i controlli. Già perché se le sentenze di squalifica arrivano dall'Itf, le verifiche le fa l'Atp, con il risultato che nasce l'dea (e il dubbio) che i controlli fatti dagli stessi giocatori siano in realtà, se non "aggiustati", per lo meno benevoli. E giovedì sera a poche ore dalla notizia della squalifica di Troicki, il talentino italiano Gianluigi Quinzi con grande coraggio ha detto quello che tutti pensano e che nessuno dice. «Il doping nel tennis? Quando vedi giocatori come Djokovic disputare match lunghi 5 ore e poi presentarsi in campo, il giorno seguente, con la stessa intensità, è difficile non pensar male — ha detto il fresco vincitore di Wimbledon junior in un'intervista a Mediaset Sport — . Non sto dicendo che Noie o altri tennisti in particolare si dopino, questo non lo so. Ma a me vengono dei dubbi, quando vedi certi recuperi incredibili (tipo le partite viste agli Australian Open, ndr)». Troicki, compagno di Djokovic nella squadra serba che nel 2010 vinse la Coppa Davis, si era rifiutato, appunto, sottoporsi ad un prelievo di sangue durante il Masters 1000 di Montecarlo. Il serbo aveva fornito il campione di urina ma non aveva voluto sottoporsi al prelievo di sangue, sostenendo di non sentirsi bene e che la persona che avrebbe dovuto effettuare il prelievo gli aveva detto che poteva rifiutarsi.

Gianluigi e i suoi fratellini (Fabrizio Salvi, Sportweek, 27-07-2013)

La meglio gioventù dello sport italiano non ha confini. Attraversa il tennis, il nuoto, lo judo, il basket, la pallavolo. Non mette limiti alla sua voglia di crescere e affermarsi, ha solo bisogno che qualcuno (qualcosa: lo Stato, che gestisce e distribuisce i pochi fondi a disposizione dell'attività agonistica nel nostro Paese) l'aiuti a non deprimersi, fino a disperdersi, come troppe volte succede alle migliori intelligenze della ricerca scientifica, costrette a emigrare là dove sapranno valorizzare il loro talento. La meglio gioventù dello sport italiano, quella non ancora maggiorenne almeno, ha i nomi e le storie che avete letto nelle pagine precedenti, ma anche di questi ragazzi.

GIANLUIGI QUINZI (TENNIS) Alla sua età (17) Becker e Sharapova vincevano il Wimbledon dei grandi, non il torneo juniores come è appena riuscito a lui. Ma nel nostro tennis maschile è tutto grasso che cola. Perché un italiano che  vince sull'erba è in ogni caso un'eccezione, e se lo fa un ragazzo il sapore di impresa riempie la bocca. Quinzi è un predestinato: ha talento, determinazione e mezzi atletici fuori dal comune per uno della sua età. Almeno, per uno della sua età nato e cresciuto alle nostre latitudini. Oggi fa la spola tra le Marche, dove è cresciuto, l'Argentinae Miami,dovesi allena. Viaggia intorno al numero 400 dell'Atp, in Marocco ha vinto il suo primo torneo da "pro" e di se stesso dice: «Voglio trionfare in uno Slam». A naso, non dovrebbe fare la fine di Diego Nargiso, che da junior vinse Wimbledon nell'87 e da allora rimase un grande incompiuto, tanto da dire, a fine carriera: «Quel trofeo fu la mia rovina». Quinzi sembra già più avanti, se non altro perché ha imparato a perdere. «C'è stato un tempo in cui pensavo che vincere fosse tutto, e anche dalla mia famiglia arrivava più o meno lo stesso messaggio. Poi ho capito che la sconfitta non è un dramma. Ed è stato da quel momento che ho iniziato a vincere».

Ricordando un maestro di vita: nasce l'Associazione Belardinelli (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport, 27-07-2013)

CI sono uomini che con la lungimiranza, la dedizione, la competenza e l'amore per il loro lavoro sono stati capaci di segnare un'era: Mario Belardinelli ha firmato in modo indelebile l'epoca d'oro del tennis italiano. Era un uomo d'altri ternpi,ma aveva capito con largo anticipo che in questo sport, nato come divertimento per una nicchia di fortunati ricchi di talento, il lato fisico e quello mentale avrebbero rivestito un ruolo sempre più fondamentale. Fondò così il centro tecnico di Formia e creò dal nulla la prima scuola di alto livello in Italia, che fu ben presto copiata da molte federazioni estere.Burbero ma con un cuore d'oro, educatore prima ancora che tecnico di grande valore, trovava sempre la chiave per entrare nell'animo dei ragazzi, istruendoli al sacrificio senza mai perdere di vista la costruzione dell'uomo. Alcuni fra i suoi allievi hanno raggiunto traguardi sportivi di rilievo assoluto; altri si sono affermati nella vita arrivando a ricoprire incarichi di prestigio in ambiti diversi della società.

Per ricordare la sua figura a quindici anni dalla scomparsa noi ex allievi di Formia abbiamo così deciso di costituire una associazione senza fini di lucro, a lui intitolata. Il nostro scopo è mantenere viva la sua filosofia, la lezione di alta moralità e grande passione che Belardinelli ci ha trasmesso nello sport come nella vita, proponendoci di aiutare attraverso borse di studio giovani di entrambi i sessi che dimostrino di possedere valori e qualità che sarebbero piaciuti al nostro maestro.

Ci riuniremo oggi a Orbetello, con qualche capello in meno e qualche chilo di troppo, ma con lo stesso spirito di allora, per formare il primo consiglio. Perché se abbiamo combinato qualcosa di buono nella vita in gran parte lo dobbiamo a quella splendida persona che tutti chiamavano «signor Mario», ma che per noi era, e sarà sempre, «Belarda».

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