28/07/2013 08:07 CEST - Rassegna Nazionale

Fognini, che show (Crivelli); Adesso è nei Top 15 (Azzolini); L'Italia torna agli anni Settanta (Rossi); Cilic, infortunio al ginocchio per nascondere la positività (R.C.); Tennis, l'ombra del doping (Semeraro, Colledani, Parks)

28-07-2013

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A cura di Davide Uccella

Fognini, che show - Follia e talento è la terza finale (Riccardo Crivelli, La Gazzetta Sportiva, 28-07-2013)

l Rinascimento italiano fiorisce sotto le mani di quel Michelangelo che si chiama Fognini, con l'estro di chi a volte prende ancora a martellate i suoi capolavori, eppure crea bellezze come le tre finali consecutive di un'estate che non finisce mai. Peccato solo per Seppi, che nella corrida podistica con Robredo fa match pari però cede per quelle 3 o 4 palle che spostano i destini. Niente finale tutta italiana, sarebbe stata l'apoteosi.

Alla carica Sembra quasi che Fabio voglia salire tutti i gradi della follia agonistica, tastare il sapore e poi domare gli psicodrammi che una volta gli bruciavano tra le mani vittorie ormai ad un passo, quasi a dimostrare che ormai non riesce a perdere neppure quando non esiste più un filo di logica.Perché la partita con Monfils, dopo 18 minuti, praticamente ha già suonato le trombe della ritirata per il francese. Una carica di cavalleria contro un povero soldatino. Fogna mette la prima con continuità, aggredisce ogni palla e e spinge non appena l'altro accorcia: 25 punti a 10, con «Lamonf» dal braccio dolorante che non tira il servizio (lo perde tre volte) ed è vicinissimo al k.o. tecnico, fisico e mentale, tanto che dopo ogni scambio deve prendere fiato. E quando nel secondo gioco del secondo set il ligure ha due palle per l'8-0 d'amblée, si scartabellano gli almanacchi per cercare tra le vittorie più rapide di sempre: «Ho iniziato alla grande, con grande solidità , specialmente da fondo», dirà Fabio. Però, superata la buriana, l'ex numero 7 del mondo (ore è 56), talento sicuramente bizzoso ma limpidissimo, ritrova orgoglio e vincenti, mentre il tocco magico di Fabio, che adesso gioca troppo di fretta, ed è statico da fondo, si spegne: «Non puoi concedere a un guerriero come lui che ti faccia giocare un colpo in più - confesserà l'allievo di José Perlas - e io sono sceso, giocavo troppo lento».

Pazzia Il secondo set finisce 6-3 per Gael, ma bastano pochi altri scambi per accorgersi che si è trattato dell'ultimo anelito del condannato. Basta che Fognini ritrovi la battuta e la profondità dei colpi a rimbalzo, che alzi il livello dei game di risposta contro un avversario che serve solo di braccio per ritrovarlo 5-0 e di corsa verso la terza domenica consecutiva con una finale. E invece, d'improvviso, è il manicomio, con papà Fulvio che tira pugni alla balaustra e il figlio che getta occasioni su occasioni, frettoloso e senza lucidità: «Era solo una questione mentale, non è facile resettarsi dopo tre settimane a questo livello». Eppure ha due match point sul 5-3 (rovescio in rete suo e ace del francese), ma non può arginare la rimonta che esalta il francese e accende il pubblico. Sul 6-5 e dopo una racchetta frantumata Fogna serve incredibilmente per restare dentro una partita che poteva aver vinto da mezz'ora, fronteggia tre match point come già contro Delbonis ad Amburgo, ringraziando Monfils per una sciagurata risposta in rete su una seconda e poi si affida alla prima e al dritto. E' tiebreak, l'azzurro va sotto 2-0 ma ormai vale tutto: infatti ritrova d'incanto almeno la freddezza per evitare errori banali e quando ci aggiunge un paio di prodezze, finalmente fa saltare il tappo.

E' la 13a vittoria consecutiva, la 28a sulla terra, meglio quest'anno ha fatto solo Nadal. Che momento: «E' stata una partita pazza, adesso sono stanco ma felice. E ho conservato ancora qualcosa per il gran finale». Sogni d'artista.

 

Fognini è un ciclone, adesso è nei Top 15 (Daniele Azzolini, Tuttosport, 28-07-2013)


UN NUTRITO lancio di racchette ha fatto da festosa cornice alla terza finale consecutiva guadagnata da Fabio Fognini in questo felice angolo di stagione, mentre le note di una corposa colonna sonora modulata su imprecazioni e doglianze squillavano nel cielo terso di Umag? "Fin qui la cronaca", era la chiosa obbligata negli articoli di qualche tempo (decennio?) fa, quando si dava per scontato che la semplice narrazione dei fatti, a volte, meritasse maggiori attenzioni di quante siamo soliti concederle di questi tempi. Tanto più se la cronaca all'apparenza spicciola di un match di tennis si presenta composta di infiniti e contrastanti ribaltoni, come misteriose tessere di un inestricabile puzzle. Così, merita attenzione la facilità di gioco ormai in dotazione al nostro Fognini, quella armonica sincronia di dritti e rovesci dalla quale non emerge un colpo migliore degli altri, ma tutti sembrano far male allo stesso modo. E colpisce l'attenzione che Fabio pone al divenire del match, alle sue implicazioni, agli indecifrabili gangli che ne costruiscono l'architettura. Non sfugge che simili partite, in altre occasioni, il nostro le avrebbe perse. Ne ha gettate mille, di simili, e se oggi le trattiene e le fa sue, magari conficcando le unghiette nei glutei dell'avversario fino a farsi trascinare nei momenti meno propizi, per poi uscire in un lesto sorpasso proprio sul rettilineo d'arrivo, significa che molto è cambiato nella natura del ragazzo.

NOTE LIETE Tutte note liete, quest'ultime, apprese in poche settimane, che sarebbe bene, però, non dare per scontate. Evidentemente, mentre in molti si attardavano a giudicare il nostro tennista una sorta di monello un po' confuso e un po' sprecone (e non v'è dubbio che lui ce la mettesse tutta per avvalorare simili tesi), Fognini e Perlas (il coach) si portavano avanti con il lavoro, fino a riuscire nella delicata operazione di far combaciare tutti i lembi del patchwork che rappresenta piuttosto fedelmente la carriera da talentoso sconsiderato del nostro. Eppure, battere uno come Gael Monfils ha le sue implicazioni, non soltanto per l'ascolto in diretta delle oscure imprecazioni che gli suggeriscono le origini, per metà della Martinica (la ma-man) per metà della Guada-lupa (il padre). II fatto è che Gael, in questa stagione dedicata al recupero fisico dopo un 2012 funestato di infortuni, ha esaltato una sua caratteristica, quella di uscire ed entrare nei match senza un perché definito. Lo ha fatto nei quarti di questo torneo di Umag, e lo ha rifatto ieri, nella semifinale contro Fognini. Nella quale all'inizio Gael ha operato da pessimo sparring, sovrastato dal nostro in termini persino imbarazzanti Sei giochi filati in 18 minuti. Per poi decidere di fare la sua rentrée dal secondo game della seconda partita. Un po' in calo, o forse sorpreso, Fognini ha mollato la presa sul 2 pari e ha accettato di andare al terzo. E qui di nuovo si è portato avanti, fino al 5-0 addirittura, complice il nuovo abbandono della scena da parte di Monfils. Ha avuto due match point per chiudere un match quasi privo di senso (che dire di un punteggio fissato sul 60 36 60?), e non essendovi riuscito si è ritrovato Monfils a corrergli dietro, quasi volesse menarlo. Rincorsa che li ha visti d'improvviso appaiati sul 5 pari, poi con Monfils avanti addirittura 6-5 e tre match point stavolta a suo favore. Assurdo? Non è finita. Fognini ha annullato, ha guadagnato il 6 pari ed è tornato a dominare la scena nel tie break finale. II festoso lancio di racchette, ovviamente, è stato a spese di Monfils.

TREDICI CENTRI Sono tredici match di seguito che Fognini vince. La terza finale gli consegnerà una posizione nei primi quindici. I numeri dicono ormai che vale i più forti. Potrà dimostrarlo oggi nella finale contro quell'abile gestore di match che è Tommy Robredo. Non contro Seppi, purtroppo battuto dallo spagnolo trentunenne in una semifinale tutta ai vantaggi. «Sono stanchissimo, ma ho in serbo ancora qualcosa", ha detto Fognini. Gli servirà.

 

Fognini, sei un romanzo (Il Corriere dello Sport, 28-07-2013)

Non è più in Germania, terra che gli ha regalato una storica doppietta, ma la sinfonia non è cambiata. Per la terza settimana consecutiva, Fabio Fognini è in finale in un torneo Atp. Stavolta la corsa è al torneo croato di Umago, dove il ligure aveva già raggiunto due semifinali, nel 2008 e nel 2011. Battendo il francese Monfils (6-0 3-6 7-6 il punteggio), ieri Fabio ha centrato la tredicesima vittoria consecutiva, che lo dovrebbe portare anche a fare il suo ingresso nei Top 15 del mondo. Gliene manca solo una per eguagliare le 14 messe in fila dal grande Adriano Panatta nella storica primavera del 1976, quando sollevò i trofei di Roma e del Roland Garros.

E' ancora Monfils a regalare una soddisfazione a Fognini. Il 26enne parigino era stato infatti battuto in un match-maratona molto caro all'azzurro, vinto per 9-7 al quinto nel secondo turno del Roland Garros 2010. Che il francese fosse un giocatore totalmente imprevedibile, lo si sapeva già. E così è stato anche nel match di ieri, un'altalena di emozioni, up e down, buio e luce, errori e vincenti da ogni parte. Una partita che sembrava non finire più, non trovare mai una soluzione in un verso o nell'altro. Con due giocatori di istinto come Fognini e Monfils, c'era da aspettarselo.

EMOZIONI - Nel primo set non c'è stata storia. Forse stanco per i tre set giocati contro Montanes nei quarti, il francese non ha mai impensierito l'azzurro, volato sul 5-0 in soli 13 minuti di gioco. Ne basteranno altri cinque per portare a casa la frazione: 6-0. Ci vorrà mezzora, invece, per vedere Monfils alla conquista del primo game, sull'uno pari nel secondo set. Grazie anche a qualche errore di troppo dell'azzurro, il n.56 del mondo si ritroverà presto a condurre per 4-2. Ora a Monfils riesce tutto, e a Fognini non più come prima. E con un doppio fallo del ligure, il francese conquista la seconda frazione. Come in una fotocopia del primo set, il terzo parziale vede l'azzurro volare in men che non si dica su un nettissimo 50. Al momento di servire per il match, però, Fognini fallisce due tentativi, permettendo al francese - che annulla anche due match-point - di risalire fino al 5-4. Fabio perde la testa: rompe una racchetta, prende un warning, e fallisce anche il terzo tentativo di servire per il match. Sul 6-5 in favore del francese, regala un match-point a Monfils con un altro doppio fallo. In totale saranno tre, tutti annullati da Fabio. Alla fine è Fognini a portare a casa la partita, per 7-3 al tie-break. «Giocare contro Gael non è facile, ho lottato tanto» le prime parole di Fabio, che ha dedicato la vittoria alla nonna Ines, che ieri festeggiava il compleanno. «Sono veramente contento di essere arrivato fino a qui, nella terza finale di fila. Ci vediamo in finale» ha poi detto al pubblico di Umago, per la gran parte italiano. Quello di ieri è solo il terzo set lasciato per strada dal ligure in questa striscia di 13 vittorie. Davanti a papà Fulvio e alla fidanzata Sveta, Fabio non ha mai mollato, forte di una sicurezza che non sembra lasciarlo più. E ora c'è un altro appuntamento con la storia.

 

L'Italia torna agli anni Settanta Fognini, terza finale e n.15 Atp (Paolo Rossi, La Repubblica, 28-07-2013)

COMINCIAMO dalla fine, con tanto di happyend: a Umago Fabio Fognini accede alla sua terza finale consecutiva (le precedenti due le ha vinte, a Stoccarda e Amburgo) e, da domani, sarà numero quindici del mondo. Non accadeva, per l'Italia, dal 1979. Premesso tutto ciò alzi la mano chi ha per caso assistito al match (su Supertennis) e non abbia pensato che Fognini fosse ricaduto nelle sue paturnie nella semifinale contro Gael Monfils. Quando? Ad esempio nel terzo set, quando ha spaccato la racchetta dopo aver sbagliato una facile volée: si era sul 5-4 in suo favore ma, messa così, sembrerebbe un normale punteggio di gioco. Ed invece, per comprenderci, va spiegato che Fognini aveva iniziatola partita con un 60 al francese. Così. Poi, però, ha rallentato il ritmo per rifiatare mentre Monfils (un altro bel cavallo pazzo) ha deciso di tirare il tutto per tutto ad ogni colpo ed ha pareggiato i conti (6-3). Terzo set, pronti via e Fognini s'invola sul 5-0. Pratica chiusa? Macché. Non chiude due match point (sul 5-3), e addirittura deve salvarne poi ben tre al parigino sul suo servizio, sul 5-6. Approdato al tie-break, riesce a conquistarlo (7-3) grazie ad una maggiore lucidità rispetto all'avversario. Una partita bizzarra, se non folle. Ma Fognini piace per questo, per il suo essere senza mezze misure. Soprattutto ora, con i risultati in essere. Il ligure ha fatto tredici (questa è la sua striscia di vittorie consecutive) e, per dirla con le stesse parole di Monfils, «He is on the road». Speriamo che non la smarrisca più: ieri, per un momento, sembrava aver perso il navigatore.

 

Fognini da impazzire ora è n. 15 del mondo (Marco De Martino, Il Messaggero, 28-07-2013)

Non è la fine del mondo, ma certo che le si avvicina parecchio. Per entrare nella storia del tennis italiano, Fabio Fognini sceglie il modo più vicino alla sua meravigliosa follia, quindi spreca un vantaggio di 5-0 nel terzo set, butta nel fosso due match-point, poi si fa rimontare, spacca una racchetta, va sotto 5-6, in bilico sul cornicione annulla tre-match point e alla fine di una partita da bourbon e psicofarmaci vince 7-3 il tie-break contro neuro-Monfils, uno che dovrebbe essere ricoverato con una certa urgenza. Tutto questo a Umago, in Croazia, in cima al match più pazzo del mondo, prima dominato e poi ripreso per i capelli 6-0 3-6 7-6. Chi non ha visto, non capirà mai; e chi ha visto sta ancora chiedendosi come mai.

Non sarebbe Fognini, il ragazzo che ha rivoluzionato il tennis italiano. Tredicesima vittoria consecutiva (solo Adriano Panatta una volta ne ha messe giù 14, ma era il 1976...). Terza finale Atp in tre settimane, come nessuno mai. E da ieri numero 15 del mondo, una classifica da sgranare gli occhi e fare 000h visto che non la vedevamo dal 1979 di Corrado Barazzutti, e sono passati 34 anni. Vero, anche ad Amburgo Fognini aveva annullato tre match point in finale a Delbonis, ma stavolta il copione è stato ancora più pazzo. È il suo anno, ormai è evidente, faticherebbe di meno andando a Montecarlo e mettendo tutto sul rosso. Di Fognini ne restano ancora due, la scissione della sua personalità ogni tanto ancora emerge, però vince sempre lui, fatato e dannato, esaltato e ulcerato, e magari finalmente maturato a 26 anni. Con i 150 punti Atp conquistati ieri ha scavalcato in classifica Tipsarevic, Janowicz e Simon, roba grossa, affiancando Cilic a quota 2.075 punti (ma il croato sorpreso a un controllo antidoping non lo vedremo per un po'). Mentre oggi, se vincerà la finale contro lo spagnolo Tommy Robredo che ha battuto Seppi per 6-3 2-6 6-4, scavalcherà addirittura Almagro e si accomoderà al quattordicesimo posto subito dietro un fenomeno come Raonic. Non svegliatemi sto sognando? Ecco, è proprio così. Uno che era tondo è che è diventato quadrato, tutto insieme, quando sembrava tutto impossibile.

 

Cilic, l'infortunio al ginocchio per nascondere la positività (Riccardo Crivelli, La Gazzetta Sportiva, 28-07-2013)

Dopo Troicki, Cilic. Due casi in tre giorni e il tennis si ritrova improvvisamente messo a nudo di fronte al doping, sotto una patina vischiosa di domande e perplessità.

Colpa della mamma Il croato, numero 15 del mondo, è stato trovato positivo (sostanza non ancora comunicata) il 2 maggio, dopo il match di secondo turno del torneo di Monaco perso contro Dodig. Era già stato testato due settimane prima a Montecarlo, con valori normali. La violazione gli è stata contestata a Wimbledon e per questa ragione ha abbandonato Londra senza disputare il secondo match (nel primo turno aveva battuto Baghdatis) adducendo un infortunio a un ginocchio. Da allora ovviamente non ha più giocato e questa settimana ha rinunciato al torneo di casa di Umago dove era campione uscente. Prima di Wimbledon, però, era andato in finale al Queen's e a questo punto il premio in denaro verrà annullato. Secondo i siti e la stampa del suo paese, Cilic (che si allena a Sanremo con Bob Brett) si sarebbe giustificato adducendo l'uso di un integratore di glucosio acquistato in farmacia dalla mamma, senza leggere le avvertenze perché la confezione era simile ad altre già comprate e che non avevano mai creato problemi.

Omertà? Ma l'aspetto che più fa discutere è che la positività è stata amici- Preso a Monaco, si è ritirato a Wimbledon dopo il 1 turno: la Federazione non ha comunicato niente N pata da un sito di Spalato che avrebbe avuto una soffiata da un medico dell'antidoping, mentre la Federazione internazionale ufficialmente non ha ancora comunicato nulla, pur confermando che il caso è pendente e che il giocatore ha presentato le con-trodeduzioni. L'Itf, poiché ha un proprio organo giudicante in materia di antidoping, non deve appoggiarsi alle federazioni nazionali e dunque può decidere di rendere pubblica la sanzione anche dopo che questa sia stata addirittura già scontata dal giocatore. Sembra che il croato abbia annunciato l'iscrizione a Montreal, che scatta il 5 agosto, facendo pensare che gli sia stata comminata una sospensione di tre mesi. Nel frattempo, però, e senza quello scoop, per i tifosi e gli appassionati Cilic era lontano dai campi di gioco per un infortunio. Una sorta di omertà, seppur legale, che certo non aiuta in un momento in cui ogni prestazione e ogni assenza misteriosa viene vivisezionata. Cosa accadrà la prossima volta che un big, come è successo di recente a Nadal e Federer, annuncerà di stare lontano dai campi per un periodo di tempo piuttosto lungo? Chi lo salverà dalle illazioni? L'Itf spende due milioni di dollari l'anno per l'antidoping, ma togliere qualsiasi ombra di presunte coperture sarebbe un'operazione di verità e buonsenso.

 

Tennis, l'ombra del doping "Cilic positivo, ma coperto" (Stefano Semeraro, La Stampa, 28-07-2013)

E' una nebbia cupa, un clima pesante che soffoca più di Caronte, l'anticiclone che sta arroventando la nostra estate. Ma per scacciare l'afa da doping, la paura che ci stiano inquinando lo sport, non basta un ventilatore. Nel tennis l'aria cattiva è tornata due giorni fa, con la notizia della squalifica di 18 mesi impartita a Viktor Troicki - serbo, 27 anni, numero 53 del mondo con un passato da numero 12 - perché a Monte-carlo aveva rifiutato un controllo sul sangue. Ma le polveri sottili del sospetto, ancora più pericolose, si sono sollevate nella serata di venerdl quando i media croati hanno iniziato a parlare di una possibile, inquietante «squalifica occulta» di Marin Clic, il numero 15 del mondo. Un pesce grossetto, dopo i tanti pesci minuscoli puniti negli ultimi anni.

Secondo la soffiata (velenosa) di un medico croato, il ragazzo di Medjugorie sarebbe stato beccato ad un controllo durante il torneo di Monaco di Baviera, due settimane dopo Montecarlo: positivo a una sostanza proibita non meglio precisata, contenuta in alcune zollette di glucosio comprate dalla madre e che Mariti avrebbe buttato giù senza controllare l'etichetta. A Wimbledon, sempre secondo la ricostruzione dei media croati, la Federazione Internazionale gli avrebbe comunicato gli esiti senza però renderli pubblici, imponendogli in cambio di non giocare per tre mesi. E Clic per nascondere il fattaccio si sarebbe ritirato dai Championships simulando un infortunio al ginocchio. Trattasi del famigerato «silent ban», la sospensione silenziosa di cui si parla (spesso si favoleggia) da tempo e che secondo i colpevolisti sarebbe stata utilizzata in passato per tutelare alcuni dopati eccellenti e non compromettere l'immagine del tennis.

A evocarla in maniera concreta è stato soprattutto Andre Agassi nella sua biografia «Open»: positivo alla metamfetamina, nel 1997 l'ex n.1 sarebbe stato graziato allora dall'Atp (che ha sempre negato) schivando i tre mesi di quarantena.

Il caso Cilic per ora non è neppure un caso, attenzione, ma una semplice indiscrezione giornalistica, e tutto potrebbe risolversi in una bolla di maldicenze. Oppure, tra due settimane l'Itf potrebbe rendere nota una squalifica (nel suo caso tre mesi e la perdita dei prize-money guadagnati da aprile) come ha fatto per Troicki, e la presunta comunella fra controllori e controllati svanirebbe nel caldo agostano.

Per ora non sono giunte né conferme né smentite, e l'afa cresce. L'hanno resa più spessa i veleni collegati all'Operation Puerto, con relativi sospetti di insabbiamento, e le tante (avventate) illazioni nei confronti di campioni fino a prova contraria pulitissimi come Serena Williams o Rafael Nadal avanzate ad esempio due anni fa da Yannick Noah, a gennaio da Cristophe Rochus, e due giorni fa persino dal giovane Gianluigi Quinzi. Se una qualche forma di copertura dovesse essere confermata la mazzata sarebbe pesantissima, paragonabile alle connivenze nell'affaire Armstrong nel ciclismo. Auguriamoci che arrivi presto una ventata fresca a ripulire quest'estate malsana. Perché a respirare sempre aria di doping, vero o presunto, alla lunga ci si intossica. Tutti.

 

L'eterno ritorno del doping (Maria Luisa Colledani, Il Sole 24 Ore, 28-07-2013)

Hanno preso un po' troppo alla lettera l'invito del barone de Coubertin, Citius, altius, fortius, scelto nel 1894 come motto per i nuovi Giochi olimpici. Sono andati più veloci, più in alto, più forte. Ma troppo e son caduti sotto i colpi di controlli antidoping a sorpresa: gli ultimi della serie sono i velocisti Asafa Powell e Tyson Gay. Pronti peri Mondiali di Mosca, li vedranno in tv.

La caduta degli dei ha qualcosa di evangelico: gli ultimi saranno i primi (lo sport è riscatto sociale), e i primi ultimi. Ultimi, screditati e sbugiardati: piste macchiate di record e imbrogli. Ma perché per lo sport, che fattura miliardi e campioni, azzerare il doping è più difficile di un tuffo con doppio salto mortale?
Aspettando la vittoria. La giustizia sportiva, che non ha poteri investigativi, fa quel che può: si basa su campioni di sangue e urine, ma gli "stregoni" del doping, quelli che non inciampano nelle margherite, sanno come evitare i controlli: «L'arma che fa la differenza è la giustizia penale», dice Raffaele Guariniello, il magistrato cresciuto nei fasti di Alfredo Di Stéfano e Omar Sivori e nella determinazione di scovare le farmacie allestite nel retro degli spogliatoi. «L'Italia-prosegue - ha la migliore legge al mondo contro il doping ma la lotta si fa con perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, cioè coi sistemi della giustizia penale». La magistratura deve essere più incisiva: nel 2006, ai Giochi di Torino, il laboratorio di Orbassano scoprì solo un'atleta positiva; alla magistratura bastò una perquisizione nel ritiro dell'Austria per trovare le sacche di sangue. I controlli sono indispensabili, ma il cambio di passo verrà dalla magistratura: «Serve una procura nazionale perché il rischio è che ogni Procura veda un pezzo della storia e non l'intero disegno criminale», è la riflessione di Guariniello. Che si spinge oltre perché l'uso di sostanze bandite è un crimine internazionale: «In Europa non ci sono frontiere peri criminali, ma poliziotti e magistrati faticano a superarle. L'articolo 86 del Trattato dell'Unione prevede la figura del Pm europeo: una Procura internazionale sarebbe una pietra fondante per debellare il fenomeno», che permea ormai la vita di milioni di amatori: per emulazione, si impasticcano e rischiano la vita.

Alle spalle del Pm, fra tomoni di diritto, foto e decine di cd, anche un libro, Le lacrime degli eroi. Sembra messo lì apposta a ricordarci che le lacrime, l'ultimo atto di molti atleti pescati con le mani nella marmellata, non deve far cambiare strada: «Io - confessa Guariniello- sono un ottimista della volontà più che della ragione». E la sua storia professionale, dal processo contro la Juve alle indagini sul rapporto tra farmaci e Sla, è l'atto di fede di questo ottimismo.

Pareggiare con onore. Contro il doping anche la ricerca di scienziati al servizio di sport e salute pubblica Il futuro è nel passaporto biologico: adottato da ciclismo e atletica, è la mappatura delle caratteristiche genetiche dell'atleta Nel caso siano stati somministrati geni per migliorare le prestazioni, si dovrebbero trovare alterazioni nel metabolismo. «Non possiamo cantare vittoria - dice Mario Plebani, docente di Biochimica all'ateneo di Padova - è un primo passo, perché il bersaglio doping è mobile: ora bisogna trovare valori basali certi su cui rilevare eventuali alterazioni». Stessa cautela da Giuseppe Novelli, genetista di Roma Tor Vergata: «Temiamo che ci siano già atleti geneticamente dopati: questa scienza raffinata può essere arginata, ma non bloccata solo grazie a investimenti in ricerca».

Il passaporto biologico può dare una mano a giudici e avvocati. Dice Jacopo Tognon, docente all'Università di Padova, avvocato e giudice italiano del Tas (Tribunale arbitrale dello sport): «Lo scostamento dei valori rispetto al passaporto determina una presunzione al 99% di avvenuta manipolazione: i dati interpretati da medici indipendenti garantiscono una procedura ipergarantista e offrono ragionevole certezza che l'atleta sia stato alterato in modo significativo con sostanze o metodi vietati».

Strade possibili, ma prima si deve vincere il grande equivoco dello sport: «L'istituzione sportiva è interessata ai risultati, da quelli deriva il business, fatto di sponsor e diritti tv: come pretendere che essa stessa sia intransigente controllore della regolarità delle gare?», si chiede Sandro Donati, ex allenatore dell'atletica azzurra e grande esperto di lotta al doping. E prosegue: «Nella storia i controlli sono sempre stati introdotti con ritardo rispetto all'uso delle sostanze dannose perla salute: in questi ritardi, medici, dirigenti e allenatori disinvolti si sono fatti belli di risultati "sporchi", hanno consolidato le loro posizioni di potere e si guardano bene, dai posti che occupano, di dare la caccia a chi inquina lo sport. Senza dimenticare la complicità totale fra istituzioni sportive e politica, che usa lo sport come nell'antica Roma si usavano gli spettacoli dei gladiatori: per distrarre il popolo dalla miseria. La complicità, tutta italiana, è riassunta in un fatto: non è stata ancora creata un'autorità indi-pendente dal Coni che svolga attività antidoping, nonostante la legge 376/2000 la imponesse entro 90 giorni dall'entrata in vigore della norma». Ed era il 14 dicembre 2000.

Irrimediabilmente sconfitti. Lo sport pulito è un traguardo che ballonzola all'orizzonte: «Il doping esiste fm dall'antica Olimpia, è endemico come il crimine», spiega Stefan Szymanski, direttore del centro per il management dello sport, all'Università del Michigan, e autore, con Simon Kuper, del prezioso Soccernomics. «Il doping esiste perché si fa di tutto pur di vincere e non si riconoscono né si accettano le regole». E la maledizione ancestrale della sconfitta perché vincere è sfida, ostinazione e rivolta. E i Governi non fermano questa corsa folle: «Nel1908 i Giochi di Londra furono Regno Unito contro Germania, ora lo sport è la battaglia Cina-Usa - continua il docente -. Come pretendere che i Governi sanzionino chi dà loro gloria e medaglie?».

La storia degli onesti che fanno guerra al doping il paradosso di Zenone applicato allo sport: il doping la lenta tartaruga che prosegue indefessa il suo cammino; chi insegue - medici, scienziati, magistrati - è Achille, piè veloce sì, ma sempre un passo indietro rispetto alla malefica tartaruga e al suo male subdolo. Achille riduce la distanza ma è ancora un passo indietro. E la sua maledizione.

 

E la diffidenza rende i successi provvisori (Tim Parks, Il Sole 24 Ore, 28-07-2013)

Nella mitica gara tra re Enomao e Pelope, il primo ingannava usando cavalli divini, il secondo facendo sostituire i perni degli assali del carro di Enomao con la cera. Nei secoli venturi qualche storico atleta greco avrebbe fatto ricorso alla più prosaica bustarella per vincere la medaglia olimpica; scoperto l'inganno doveva ripagarlo offrendo una statuetta al tempio di Zeus che commemorava per sempre la sua slealtà. Diversa la sanzione dei romani, che applicavano la damnatio memoriae, eliminando il nome del colpevole da ogni documento. Infinite le sostanze ingerite durante il corso della storia per migliorare le prestazioni in gara, dai testicoli di pecora consumati dagli atleti dell'antichità al brandy corretto con la stricnina assunto dall'americano Thomas Hicks prima della vittoria alla maratona olimpica del 1904. Nel VI secolo dopo Cristo l'imperatore Giustiniano I trovava necessario vietare l'uso di maledizioni per ostacolare i concorrenti; una mossa esagerata.

Ai nostri tempi gli inganni e i dispetti anche bizzarri non si contano. Atleti paralimpici che fingono di essere handicappati (squadra spagnola di basket 2000), la spada truccata che segnava punti a volontà (Boris Onishchenko,1976), la palla da cricket truccata con lo zucchero del lecca-lecca (Rahul Dravid, 2004), la scagliola per indurire il guanto del pugile (Jack Dempsey, 1919), il disco sottopeso usato dal britannico Perris Wilkins nel 1999. Nel calcio l'inganno fa parte del gioco, dalla mano di Maradona che segnò un gol ai Mondiali del 1986 alle mani enormi del portiere Manuel Neuer che sottrassero il pallone dalla rete evitando un gol in quelli del 2010.

Ufficialmente, nella gerarchia dei valori si antepone l'onestà al successo, ma non ci sono premi per essere stati bravi e leali; è il vincitore che viene incoronato, festeggiato e finanziato, e questo vale in politica quanto nello sport. Se poi uno gareggia non solo perse stesso, ma per una squadra, una comunità, una nazione, diventa ancor più facile dimenticare la dimensione morale, fmgendo di agire per il bene collettivo. Ma se la slealtà dell'atleta nella passione della gara non ci scandalizza più, anzi c'è chi ammira la sua cieca volontà di vincere, al doping, quello moderno, studiato in laboratorio, nascosto e invisibile, iniettato più e più volte nei mesi precedenti all'evento, non ci stiamo. Ci indigniamo.
Perché? Il doping non ci offre lo spettacolo dell'incidente in gara, non vediamo la personalità dell'atleta che emerge sotto stress; vanifica ogni sforzo del concorrente già in partenza, e non solo mette a rischio la salute ventura di chi lo pratica, ma invita altri a correre lo stesso rischio o ritirarsi per sempre da ogni attività agonistica. Nel ciclismo in particolare, dove l'eroismo sta proprio nella resistenza fisica spinta al massimo, il doping sembra togliere ogni senso allo sport.

Il che ci porta al caso curioso di Chris Froome, che ha vinto l'ultimo Tour de France, accusato di doping dopo le sue straordinarie prestazioni sul Mont Ventoux. Curioso perché il Team Sky per cui Froome gareggia sembrava voler investire in ciclisti lontani da ogni sospetto di doping. Bradley Wiggins, che ha vinto il Tour l'anno scorso con Sky, non vi aveva partecipato durante gli anni di Lance Armstrong appunto perché convinto che Armstrong si dopava. Quest'anno Sky ha invitato David Walsh, il giornalista che per tanti anni aveva reso difficile la vita a Lance Armstrong accusandolo continuamente di doping, a viaggiare con la squadra per tutto il Tour, offrendogli accesso ad ogni aspetto della preparazione. Adesso, dopo le accuse, Sky ha esteso questo invito ai membri della Wada (World anti-doping agency), insistendo che i loro successi si basano su un sistema rivoluzionario di allenamento, dieta e sostegno di ogni tipo (la squadra porta il materasso personale di ogni ciclista in giro perla Francia in modo che dormano sempre nello stesso letto).

Eppure gli esperti dello sport scuotono la testa e ci dicono che le prestazioni di Froome non sono possibili senza l'assistenza di qualche sostanza. Così la gara di Froome non è finita su les Champs Elysees domenica scorsa, in quanto sono già in tanti a fare scommesse sull'anno in cui la triste verità del suo inganno emergerà. Avrà vinto provvisoriamente, fmché non viene sbugiardato.E anche se non verrà mai sbugiardato ci sarà sempre chi crede che tra ancora dieci o vent'anni i suoi campioni di sangue e urina risulteranno positivi a qualche nuovo test. Effettivamente Froome avrà vinto il Tour de France 2013 solo quando non rimarrà più neanche una goccia, neanche una molecola della sue sostanze corporee da sottomettere all'ennesimo test. E temo che a quel punto il ciclista sarà già morto da anni. In un certo senso, tale è la diffidenza collettiva che non è più possibile vincere il Tour de France, se non appunto provvisoriamente. Noi però, affamati di intrattenimento e di narrativa, affascinati dalla psicologia dell'atleta, emblematica di ogni ambizione folle, continueremo a seguire il Tour come assistiamo ancora a partite di calcio nella cui trasparenza crediamo ben poco. Lo sport, come osservava Leopardi nel suo A un vincitore nel pallone, «è un modo perfetto per riempire il vuoto esistenziale».

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